Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 23/10/2012, a pag. 49, l'articolo di Marco Ansaldo dal titolo "La lista degli scrittori sopravvissuti al male ".
Marco Ansaldo, Il falsario italiano di Schindler, Rizzoli
«Perché tanti scrittori nati nei Lager? Per varie ragioni. Perché è un evento che non ha cambiato il mondo, ma ha cambiato i sopravvissuti. E tu senti l'obbligo di ricordare, e di scriverne. E perché è un'esperienza che non si digerisce, non ha termine e probabilmente non finirà mai. Auschwitz è come un figlio mai nato». Schietta, mai banale, poco diplomatica per sua stessa ammissione, Edith Bruck, scrittrice di origine ungherese ormai da cinquant'anni in Italia, conosce bene l'argomento. Non pochi deportati, usciti da quella sconvolgente vicenda della loro vita, emergeranno dai campi nazisti prima mettendo insieme i pezzi della loro memoria, poi trasferendo nero su bianco quanto avevano visto e provato. Diventando così narratori, romanzieri, poeti, artisti. Alcuni di essi sono presenti in queste pagine, disseminati in vari capitoli, con i documenti e le schede della loro deportazione: da Imre Kertész a Primo Levi, da Boris Pahor a Elie Wiesel. Altri ancora hanno vissuto storie non meno amare: al punto di togliersi persino la vita, anche decenni dopo, con un estremo gesto di insondabile disperazione. E così sorge spontanea una duplice domanda: come si coniuga l'esperienza dei campi di concentramento con l'esperienza successiva della scrittura? E perché alcuni di questi scrittori non sono riusciti a proseguire il loro percorso umano, decidendo addirittura di fermarlo? Edith Bruck, "Signora Auschwitz" come la chiamò un giorno una studentessa impacciata, fu deportata nei Lager da bambina, e ha dedicato tutta la sua vita alla testimonianza Unfardello non di piccolo peso, come mi dice nella sua casa al centro di Roma. «I sopravvissuti restano tali, purtroppo, anche nella vita normale, quando vanno a comprare il pane dal fornaio o fanno il loro lavoro. Non dimenticano mai di essere dei reduci. Poi, c'è chi ha sentito la necessità e ha avuto il talento di mettersi a scrivere: come gli autori latinoamericani che hanno trasformato i drammi da loro vissuti in grande letteratura». (...) I Lager dunque, proprio perla realtà estrema che rappresentavano, costituiranno uno sfondo imprescindibile e unico per molti scrittori. Gli esempi sono tanti. Giovannino Guareschi è uno di questi. Il futuro creatore dei personaggi di Peppone e Don Camillo, almomentodell'armistizioverrà arrestato e mandato per due anni prima nei campi di Czestochowa e di Benjaminovo, in Polonia, poi a Wietzendorf e Sandbostel, in Germania. (...) Ma a Bad Arolsen, nonostante il lungo soggiorno in tanti luoghi diversi, su Guareschi Giovannino (o Giovanni) non compare incredibilmente nemmeno una scheda. Lo scrittore olandese Jona Oberski, oggi fisico nucleare, nato da una famiglia ebraica che nel 1937 abbandonò il territorio tedesco pervivere ad Amsterdam, raccontò la sua esperienza di bambino di sette anni nel romanzo autobiograficoAnnid'infanzia. Il ragazzino Jona, nella realtà, passò dal Lager di Westerbork a quello di Bergen-Belsen, ma i suoi genitori non sopravvissero. Quando infine Oberski, a quarant'anni, deciderà di scrivere la propria storia, il libro otterrà un grande successo in molti Paesi. In Italia vi si è ispirato il regista Roberto Faenza, che diresse il film dal titololona che visse nella balena. Jorge Semprún, autore spagnolo ma di adozione francese scomparso nel 2011, iscritto al Partido comunista de Espatia, per combattere i nazisti entrò in clandestinità. Fu arrestato dalla Gestapo nel settembre del '43 e mandato a Buchenwald, dove militò nell'organizzazione comunista segreta creatasi nel Lager. Vicende che ripercorrerà in diversi dei suoiromanzi.Altri, comeaccadrà allo stesso Primo Levi, non riusciranno però a sopportare più di vivere. Il viennese Jean Améry, pseudonimo di Hans Mayer, nato da una famiglia di origini ebraiche, decise nel 1938 di fuggire in Belgio e di unirsi alla Resistenza. (...) Malato e prostrato dalle elucubrazioni mentali della sua esperienza nei campi, si suiciderà nel 1978 con una dose eccessiva di stupefacenti. Avivere con grande sofferenza le difficili condizioni nei campi, trasponendole poi nei suoi lavori, sarà anche lo scrittore polacco Tadeusz Borowski. Pure a lui toccherà una lunga trafila nei luoghi famigerati (...). Si toglierà la vita nel 1951 rompendounacondutturadel gas. Aveva ventotto anni. Le sue opere sono state citate e apprezzate da ben tre premi Nobel perla letteratura: il polacco M ilosz, l'ungherese Kertész e il turco Pamuk. Alcuni suoi lavori sono ricordati nel celebre romanzo di Bernhard Schlink Der Vorleser (II lettore), in italiano noto con il titolo A voce alta, diventato una pellicola di grande successo al cinema.
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