Il commento di Stefano Magni
" Un’altra settimane di pace fredda per Israele, con una guerra alle porte in Siria, il terrorismo ... "
Stefano Magni, giornalista de L'Opinione
Un’altra settimane di pace fredda per Israele, con una guerra alle porte in Siria, il terrorismo ritornato nel vicino Libano e la minaccia nucleare iraniana sempre più incombente. Eppure, quando si guarda al Medio Oriente, si parla solo di Gaza. “Sotto embargo” secondo i più. “Sotto assedio” secondo i filo-palestinesi dichiarati. La Freedom Flotilla, che prova a violare simbolicamente l’embargo, è arrivata alla sua terza edizione. Stavolta non è la Turchia, né la Grecia ad averla ospitata, ma una città italiana, Napoli, con un sindaco di sinistra, Luigi De Magistris. La nave a vela Estelle, carica di cemento, materiale medico e giochi per bambini è salpata alla volta di Gaza ai primi di ottobre ed è stata fermata, ieri, da unità della marina israeliana. Il sindaco di Napoli ha subito emesso il suo comunicato di protesta: «Abbiamo accolto il veliero Estelle nel porto di Napoli – scrive De Magistris - da cui infatti è partito nei primi giorni di ottobre, perché sosteniamo la sua missione di pace verso Gaza, dove è in atto un assedio inaccettabile e ingiusto. Nessuna legge od organo internazionale, nessun trattato determina la chiusura e il blocco del porto di Gaza. Ed proprio nella convinzione che il diritto internazionale debba essere rispettato che oggi esprimiamo preoccupazione per quanto sta accadendo alla Estelle ed invitiamo le autorità internazionali a vigilare perché sia garantita ai pacifisti la libertà di raggiungere Gaza e consegnare gli aiuti umanitari». Prima del fermo imposto al veliero, il 19 ottobre, un’altra pattuglia di deputati e senatori italiani (Vincenzo Maria Vita, Maria Pia Garavaglia, Francesco Marinaro, Silvana Amati, Roberto Di Giovan Paolo, Alberto Maritati, Paolo Nerozzi, Lucia Codurelli, Amalia Schirru e Luisa Gnecchi del Partito Democratico, Francesco “Pancho” Pardi e Stefano Pedica dell’Italia dei Valori), avevano firmato l’appello internazionale “Fine del blocco di Gaza, subito!”. In questo documento leggiamo, ancora che: «Il blocco è illegale, inumano e – dal punto di vista di Israele – controproducente; non ha fermato il contrabbando di armi nella Striscia e il lancio di missili dalla stessa, e nemmeno ha allontanato Hamas dal potere». In questo documento, più o meno involontariamente, i firmatari spiegano molto chiaramente quale sia il problema di Gaza. Il contrabbando nella Striscia: armi provenienti dal Sinai, passate attraverso le maglie corrotte o assenti della polizia e dell’esercito egiziano, che vanno a finire nelle mani dei terroristi. Hamas al potere: riconosciuto come organizzazione terrorista dall’Unione Europea. E’ un partito armato, il cui statuto prevede la distruzione dello Stato di Israele e l’uccisione degli ebrei ovunque essi si trovino. Citando testualmente l’articolo 20 dello Statuto di Hamas: “L’ultimo giorno non verrà fino a quando i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno e fino a quando gli ebrei non si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno: ‘O musulmano, o servo di Dio, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo!’”. Non si tratta solo di una citazione coranica. E’ un punto dello statuto, un programma, sistematicamente e coerentemente attuato. Razzi contro Israele: un continuo stillicidio di Qassam, Grad e colpi di mortaio, non contro postazioni militari, ma contro civili, case, scuole, ospedali in territorio israeliano. Con una minaccia simile, costante e mortale, cosa può fare un Paese (non dico solo Israele, ma un Paese qualsiasi) se non provare a difendersi? Il blocco di Gaza è stato imposto, da cinque anni, proprio come forma (incruenta) di difesa. «Nessuna legge od organo internazionale, nessun trattato determina la chiusura e il blocco del porto di Gaza», dice De Magistris. Ma da quando c’è bisogno di un’approvazione di qualche organo internazionale per difendere la vita dei propri cittadini sul proprio territorio? L’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite recita: «Nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite». Israele, sinché ha a che fare con un’enclave ostile, incastonata nel suo territorio, governata da un gruppo terrorista, tuttora armato e tuttora intento a lanciare razzi, non ha diritto di difendersi? Non ha il diritto di fermare, controllare, rimandare indietro, qualunque cosa entra o esca da quel territorio ostile? I firmatari italiani dell’appello su Gaza si immedesimano negli interessi dello Stato ebraico e definiscono il blocco “controproducente”, perché non sarebbe riuscito nell’intento di fermare Hamas o le sue armi. Ma se non ci fosse, Hamas verrebbe cacciato dal potere? Le armi scomparirebbero? Cesserebbero i lanci di razzi su Israele? Questo ragionamento è logico quanto credere che, tolta una diga, un fiume inizi a scorrere in salita. Senza alcun argine, Hamas farebbe quel che ha sempre fatto. E lo farebbe “meglio” (dal suo punto di vista), come quando il blocco non era ancora stato imposto. Prima sono avvenuti gli attacchi di Hamas, solo successivamente è stato imposto l’embargo. Ce lo ricorda, proprio questa settimana, un anniversario speciale per Israele: il 18 ottobre 2011 è stato liberato Gilad Shalit. Fu tenuto in ostaggio, da Hamas per 1942 giorni, circa cinque anni e mezzo, senza poter essere visitato dalla Croce Rossa (e durante la lunga prigionia la Freedom Flotilla si rifiutò di fare da mediatrice, come aveva chiesto il padre del soldato rapito, Noam Shalit). Solo questa settimana, Gilad ha accettato di parlare della sua lunga prigionia con una Tv israeliana (Canale 10). Un lungo e alienante periodo di cattività, fatto di giochi, tentativi di non perdere il contatto con la realtà, qualche notizia alla radio. Così il militare ha passato i “migliori anni” della sua vita, quelli che i suoi coetanei si godono in viaggi, amori, università e inizio di una carriera lavorativa. E’ stato liberato solo in cambio di 1027 prigionieri palestinesi, molti dei quali erano in carcere per aver commesso omicidi di massa e atti di terrorismo. Tutti pronti a riprendere l’attività di guerriglia contro civili e militari israeliani. Ebbene, Gilad Shalit fu rapito il 25 giugno 2006, quando il blocco di Gaza non c’era ancora. Un anno prima, nell’estate del 2005, Israele si era ritirato dalla Striscia, dando ai palestinesi un’opportunità di autogoverno. I palestinesi distrussero subito le sinagoghe lasciate dai coloni ebrei (e alcuni giornalisti parlarono persino di “provocazione” ebraica: “come mai lasciar lì tutti quegli edifici religiosi? Non è ovvio che siano lì solo per esser distrutti?” Era questo il tono dei commenti). Poi, appena ebbero la possibilità di scegliere, i palestinesi di Gaza votarono Hamas. Infine, una volta che il gruppo terrorista fu al potere, non ci fu più alcun limite ai raid contro Israele. Il rapimento di Gilad Shalit fu solo uno dei tanti episodi di guerriglia e terrorismo. Eppure Israele non impose il blocco neppure allora, nonostante il “Quartetto” per il Medio Oriente (Onu, Usa, Russia, Ue) avesse approvato sanzioni economiche contro Gaza, proprio perché nel suo governo era entrato Hamas. La chiusura delle frontiere fu istituita solo nel giugno del 2007, un anno dopo il rapimento di Shalit. Perché Hamas, violando anche tutte le leggi dell’Autorità Palestinese, si era impossessata del potere esecutivo, assassinando decine di palestinesi militanti o simpatizzanti del partito Fatah. Si parla sempre e soltanto di Israele, ma anche l’Egitto chiuse la sua frontiera con la Striscia di Gaza. Quello a Gaza non è un embargo che mira a far morire di fame e di stenti una popolazione. Per assicurarsi che nella sovrappopolata città palestinese non manchi il cibo, l’esercito israeliano ha anche calcolato quante calorie occorrano per gli abitanti (perché non finiscano al di sotto della soglia della malnutrizione) e ha calcolato di conseguenza la quantità minima di derrate alimentari che devono necessariamente passare la frontiera. Con incredibile capacità di fraintendimento, i media hanno ribaltato la notizia: hanno commentato questi documenti militari (declassificati questa settimana), come un metodo per far morire di inedia la città “sotto assedio”. Ormai è un luogo comune: Gaza è il “nuovo ghetto di Varsavia”. Qualsiasi notizia non rientri in questa immagine, deve essere ribaltata e deformata fino a farcela entrare a tutti i costi.