Sempre più grave la situazione in LIbano, l'occupazione del potere da parte di Hezbollah - longa manus dell'Iran - destabilizza tutto il paese. I nostri media riferiscono sui disordini, ma il ruolo dell'Iran viene in genere sottovalutato.
Fra le molte cronache di oggi, 22/10/2012, riprendiamo quella di Francesca Paci, sulla STAMPA, a pag.14, con il titolo "Beirut in piazza, assalto al palazzo del Premier", che invece di sottolineare il coinvolgimento dell'Iran, riferisce voci di fonte Hezbollah su non dimostrati atti di spionaggio di Israele. Lo Stato ebraico diventa come il sale in cucina, è d'obbligo citarlo anche se non c'entra nulla, altrimenti ne va di mezzo il sapore della notizia.
Libano: Iran, i nuovi padroni ?
Dopo aver lottato tre giorni contro lo spettro della guerra civile, Beirut si addormenta con l’odore dei lacrimogeni e l’eco degli scontri che ieri hanno sottratto la scena alle esequie del capo dell’intelligence Wissam al Hassan ucciso venerdì da un’autobomba. Per diverse ore, mentre poche centinaia di manifestanti sganciatisi dalla folla in preghiera nella moschea di piazza dei Martiri davano l’assalto al palazzo del primo ministro accusato di complicità nell’assassinio attribuito a Damasco, i libanesi hanno temuto il flashback della violenza settaria che ha sequestrato il Paese dal 1975 al 1990. Ma in serata, nonostante il protrarsi degli scontri a Tripoli e sulla strada tra la capitale e Sidone, molti hanno letto con ottimismo l’appello alla calma dei due gruppi avversari (il movimento di opposizione 14 marzo facente riferimento all’ex premier sunnita Hariri e la coalizione 8 marzo, filo-siriana e legata al partito sciita Hezbollah oggi al governo).
«Se non avremo l’escalation sarà proprio grazie ai disordini scatenati dopo il funerale da militanti delle Forze Libanesi di Geagea, simpatizzanti del Libero Esercito Siriano e salafiti» giura un analista del quotidiano di sinistra as-Safir. Il rischio di accendere la miccia insomma, avrebbe persuaso tanto Saad Hariri a richiamare i suoi uomini dalla strada quanto Hezbollah a tenere le milizie a casa. Prova nei sia che il premier Najib Miqati, sunnita ma considerato «amico» del partito sciita al governo e della Siria, sarebbe pronto a partire per il pellegrinaggio in Arabia Saudita (che ospita i luoghi sacri dell’islam ma soprattutto sponsorizza Hariri) ritenendo evidentemente d’aver scongiurato le dimissioni invocate dall’opposizione. Anche perché, confermano diverse fonti, di fronte agli almeno 2 feriti di ieri gli ambasciatori francese e britannico avrebbero intimato al presidente Suleiman di evitare lo scioglimento del governo.
L’omicidio del super 007 Wissam al Hassan, che nei mesi scorsi aveva indagato su una rete di spie israeliane ma anche su presunti attentati organizzati dal regime di Assad contro prominenti connazionali anti-Damasco, invade la scena libanese con tempistica da manuale. Da un lato c’è la crisi siriana che da mesi è sconfinata nelle città di frontiera come Tripoli, dove ieri è stata uccisa una bambina di 9 anni negli scontri. Dall’altro ci sono le elezioni di primavera la cui campagna elettorale, sostengono in tanti, è cominciata proprio in queste ore.
«Lo scioglimento del governo lascerebbe il Paese nel caos e ci porterebbe al voto senza legge elettorale» spiega il politologo Kamel Wazne. Per questo, forse, dopo aver infiammato piazza dei Martiri (meno gremita del previsto), l’ex premier Siniora ha ridimensionato i toni. Per questo il mufti sunnita Qabbani è apparso in tv affermando che cacciare un premier con manifestazioni in strada è «vietato». Per questo Hezbollah, che quando nel 2007 era all’opposizione sfidò la coalizione di governo mettendo a ferro e fuoco Beirut per tre giorni, mantiene un profilo bassissimo. Ma in Libano nulla è meno scontato della logica.
«L’attentato di venerdì è un messaggio chiaro, colpisce l’uomo alla guida dell’unico dei nostri 5 servizi segreti indipendente dalla Siria, quello che aveva intercettato alcune spie israeliane ma anche il complotto dell’ex ministro dell’informazione Samah per destabilizzare il Libano a vantaggio di Assad» nota il giornalista Saad Kiwan, presidente della fondazione Samir Kassir e vicino al 14 Marzo. A Beirut c’è chi, sulla scia di Teheran, vede Israele dietro la morte di al Hassan. Kiwan non ci crede: «Per convincermi bisognerebbe che Hezbollah facesse accedere i giudici alle intercettazioni telefoniche degli ultimi giorni in modo da svelare la verità». Su Beirut invece, incombe il fumo e non solo quello dei gas lacrimogeni.
«Ho l’impressione che ci stiano fregando di nuovo e che noi libanesi resteremo ancora esclusi a lungo dalla primavera araba, vedo una polarizzazione che taglia fuori quelli come me, né con Hezbollah e gli islamisti filo-iraniani né coni nostalgici degli anni corrotti di Hariri» ammette l’informatica trentaquattrenne Samia Mikhdashi.
Voleva andare in piazza ieri contro il ritorno delle autobombe «ammazza-futuro» ma, come molti coetanei, ha rinunciato perché ritiene che in questo momento una crisi di governo sarebbe «catastrofica».
«Tanto rumore per nulla, almeno fino al voto americano» scommette l’editor del quotidiano di sinistra nazionalista alAkhbar, Omar Nashashibi. Miqati resterà dov’è, dice, e i pochi irriducibili accampati davanti al palazzo del Gran Serraglio imbrigliato nel filo spinato dovranno rassegnarsi: «Il premier sta tentando di mantenerci neutrali tra quei politici che in ogni modo aiutano i ribelli siriani e quelli che sostengono il regime di Assad. In piazza contro il premier c’erano bandiere del Libero Esercito Siriano e perfino di al Qaeda... La neutralità è fragilissima ma per ora tiene».
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