Il pregiudizio antisemita in Francia
Manfred Gerstenfeld intervista Nidra Poller
(Traduzione di David Braha)
Nidra Poller Manfred Gerstenfeld
“La mia opinione sul pregiudizio antisemita nei media francesi è cambiata nel corso dell’ultimo decennio. Prima pensavo che derivasse da una sorta di influenza da parte del governo. Poi mi sono resa conto che l’ostilità nei confronti degli ebrei si è mantenuta stabile anche durante i cinque anni di presidenza Sarkozy. Questo riguarda anche i canali televisivi pubblici”.
“Il pregiudizio terzomondista, antisionista, e tendenzialmente di sinistra, si è diffuso in tutto il mondo libero. Ad eccezione di rarissimi esempi, è rafforzato dalla mancanza di integrità morale di giornalisti che fanno ben poco per nasconderlo. Un esempio di questo giornalismo senza scrupoli, è il continuo sostegno che ancora riceve Charles Enderlin – un uomo che dodici anni fa diffuse la menzogna secondo cui l’esercito israeliano aveva ucciso di fronte alle telecamere Muhamed al Dura, un giovane palestinese”.
Nidra Poller osserva ed analizza la Francia tramite le vignette. È una cittadina americana emigrata in Francia nel 1972, da allora ha lavorato come scrittrice di fiction e traduttrice dal francese all’inglese. Da dieci anni si dedica al giornalismo. Oggi scrive per diverse testate americane, sia online che in carta stampata.
“Colpita dalle reazioni dei francesi alla seconda intifada iniziata nel 2000, e successivamente dall’ondata di anti-americanismo a seguito dell’11 Settembre, ho cercato delle spiegazioni nella cultura e nella storia di questo paese. Avendo tradotto testi dal francese all’inglese per un decennio, sono giunta alla conclusione che questa visione perversa dei fatti era dovuta alla lingua francese ed alla sua configurazione filosofica. Vedevo gli Stati Uniti come un paese altamente sviluppato e potente, mentre la Francia mi appariva come in declino, una nazione troppo codarda per difendere se stessa”.
Riguardo alla stampa francese, Nidra Poller afferma: “L’elite mediatica francese adora gli israeliani o gli ebrei che criticano duramente lo Stato Ebraico. Alcuni di essi sono pressoché sconosciuti in Israele, come Michel Warshawski. Altri invece sono volti noti, come Ilan Pappe e Shlomo Zand. Solitamente vengono chiamati per esprimere la propria opinione come se parlassero per la maggioranza degli israeliani. Poi ci sono le star: scrittori come David Grossman, Amos Oz, ed A.B. Yehoshua. Questi ultimi vengono trattati come oracoli – che vanno consultati nei momenti critici”.
Poller afferma che i media usano diversi metodi per diffondere il pregiudizio. “Se, per esempio, Israele invia aiuti umanitari ad un paese colpito da un terremoto, i media ignoreranno o minimizzeranno la notizia. Oppure, in certi casi, riusciranno addirittura a descriverlo in modo negativo. Al contrario, racconti distorti sul conflitto Israelo-Palestinese vengono presentati come documentari. Foto ritoccate di presunte atrocità commesse dai soldati o dai ‘coloni’ israeliani vengono messe in prima pagina. E giorni dopo, quando la falsità viene scoperta, i media non pubblivano la smentita”.
Poller nota inoltre che questo processo avviene lentamente: “Se i media francesi fossero meno omogenei nelle opinioni che esprimono, si riuscirebbe a mobilitare un settore relativamente vasto dell’opinione pubblica, che è pro-Israele. Tuttavia, molti evitano di parlare per paura di venire isolati da una maggioranza che è in disaccordo con loro. Per questo è difficile che quelle opinioni vengano ascoltate”.
“Sul piano internazionale, la ricerca di informazioni indipendenti è estremamente limitata. Gran parte delle notizie dall’estero viene fornita da Agence France Presse, un’agenzia di stampa di cui il governo detiene una parte, che manifesta un forte pregiudizio contro Israele, se ne è discusso pubblicamente, denunciato, analizzato, senza però ottenere alcun risultato, anche a causa della crescente paura della possibile reazione dei milioni di musulmani presenti nel paese. Ma la mancanza di imparzialità nel lavoro di quest’agenzia non riguarda solo gli eventi che riguardano Israele e gli ebrei, ma si estende ad ogni campo”.
“L'attitudine alla critica sui media francesi è estremamente limitata, e ciò è dovuto alla cultura locale, e probabilmente dipendente dal sistema educativo. I francesi infatti criticano continuamente i loro bambini, e nelle scuole avviene lo stesso. Probabilmente le dure critiche che ricevono da giovani fanno in modo che, una volta cresciuti, abbiano paura della disapprovazione, perciò le evitano”.
“Il sistema sociale francese presenta diversi segnali di cedimento. Un numero crescente di insegnanti vengono minacciati o delegittimati dai propri studenti, i delinquenti sparano alla polizia, i tribunali spesso trattano i criminali come vittime innocenti. Il sistema carcerario poi è insufficiente”.
“Il clima violento in Francia colpisce gli ebrei non solo in quanto cittadini francesi, ma soprattutto in quanto ebrei”. Secondo Poller, sono molti gli ebrei francesi a non vedere un futuro in questo paese. “Tuttavia, come sempre nella storia dell’umanità, le scelte sono individuali. Ci sono coloro che dicono ‘rimarrò ancora un per un po’’, oppure, ‘non è così male come sembra’, o ancora, ‘i nostri figli se ne andranno’”.
“Tra gli ebrei francesi esiste una forte tendenza a mandare i figli in scuole private piuttosto che in quelle pubbliche. L’emigrazione verso Israele è costante, ma ancora non rappresenta un fenomeno di massa. Anche se in passato gli ebrei si sentivano rassicurati da una diminuzione degli attacchi antisemiti, sono poi stati oggetto di terribili omicidi. In passato le vittime sono state Sébastien Selam ed Ilan Halimi. Quest’anno Mohamed Merah ha ucciso altri ebrei: il rabbino Jonathan Sandler, i suoi figli Aryeh e Gavriel, e Miriam Monsonego. Da dopo la strage alla scuola ebraica di Tolosa, il numero di attacchi antisemiti è triplicato, e la crisi sta raggiungendo livelli inimmaginabili. Non a caso gli ebrei francesi iniziano a pretendere misure concrete, non solo cerimonie commoventi”.
Manfred Gerstenfeld fa parte del consiglio di amministrazione del Jerusalem Center for Public Affairs, del quale è stato presidente per 12 anni.