Turchia, il pianista Fazil Say rischia 18anni di carcere per dei tweet scherzosi sull'islam E' questa la democrazia turca ?
Testata: La Repubblica Data: 19 ottobre 2012 Pagina: 23 Autore: Marco Ansaldo Titolo: «Il pianista a processo per i tweet sull’Islam»
Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 19/10/2012, a pag. 23, l'articolo di Marco Ansaldo dal titolo "Il pianista a processo per i tweet sull’Islam".
Fazil Say
Dedichiamo questo articolo a tutti gli 'analisti' occidentali che vedono nella Turchia una democrazia, un esempio di Stato democratico e islamico. Non c'è democrazia con l'islam. La notizia del processo al pianista Fazil Say, per altro, non è dell'ultima ora, era già stata diffusa dal Foglio il 5/06/2012, con un articolo di Giulio Meotti. Per leggerlo, cliccare sul link sottostante http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=44788 Ecco il pezzo:
È CAPACISSIMO, al termine dei suoi acclamati bis di musica classica, di sorprendere il compassato pubblico di sala esibendosi in una esilarante “Marcia alla turca” a ritmo di jazz. Né — da consumato artista — si nega a sperimentazioni, contaminazioni e collaborazioni fruttuose con concertisti di ogni musica e tipo. Con uno così, famoso in tutto il mondo, ma in grado di prendere in giro sé stesso e pure in modo sublime, come non si può mostrare indulgenza? Eppure ieri mattina Fazil Say, pianista turco ben noto anche in Italia (suoi i concerti nel 2010 e nel 2011 nell’Aula magna dell’Università La Sapienza a Roma, suoi i recital spesso trasmessi da tutto il mondo su Radio3Suite), si è dovuto presentare davanti al tribunale di Istanbul. L’accusa: «Offesa ai valori religiosi». La causa: i suoi messaggi scherzosi sull’Islam inviati via Twitter. Rischia un anno e mezzo di carcere. «Sono stupefatto di trovarmi davanti a una corte — ha detto prima di accomodarsi alla sbarra, seguito però da decine di intellettuali e fan arrivati a sostenerlo per alleviargli la pena del dibattimento — sono forse la sola persona al mondo a essere incriminata per avere espresso il mio ateismo. Ma io ho sempre rispettato la libertà di pensiero e di parola. Questi sono diritti di tutti». Say, 42 anni, lo scorso maggio era stato incriminato dalla procura di Istanbul su denuncia di tre cittadini proclamatisi scandalizzati dai messaggi sarcastici del “Mozart” turco. Un esempio? Quello sul muezzin di una moschea di Istanbul, che in soli 22 secondi aveva liquidato la preghiera dal minareto: «Perché tutta questa fretta? — aveva digitato Say su Twitter — è stata una donna o il raki (il liquore di anice che è la bevanda nazionale, ndr)? ». Altro esempio: il Twitter ispirato al grande poeta persiano Omar Khayyam, che ironizza sui fiumi di vino e le tante vergini che riempirebbero il paradiso: «Tu dici che ci sono fiumi di vino. Vuoi dire che si tratta di un bar celeste? Dici che vergini saranno date a ogni credente. Vuoi dire che si tratta di un bordello celeste?». I tanti artisti confluiti ieri mattina in tribunale innalzavano cartelli con la scritta «Fazil, non sei solo». Una deputata tedesca di origine turca, Sevim Dagdelen, ha portato un documento di solidarietà firmato da 103 deputati di Berlino. Mentre lo scultore Mehmet Ahsoy commentava con amarezza: «Qui sta diventando come l’inquisizione. Vietano tutto quello che spinge la gente a ridere, a pensare». Figlio di un intellettuale di sinistra, Say è da tempo nel mirino dei conservatori islamici. Pochi anni fa era scoppiata una forte polemica perché lui aveva detto di non voler più vivere in un Paese con un partito sempre più orientato sotto il punto di vista religioso. Ma Fazil Say ha risposto da par suo, componendo nel 2007 un Requiem — subito censurato dal ministero della cultura — per il poeta Metin Altiok, bruciato vivo nel 1993 a Sivas con altri 35 intellettuali alawiti a un festival di poesia, in un albergo dato alle fiamme da una folla inferocita di fondamentalisti sunniti. Messaggi gli stanno arrivando da tutto il mondo. Anche se l’artista, ora, sta pensando all’esilio. «Se dovessi passare 18 mesi in carcere — ha detto ieri — la mia carriera può considerarsi finita». Say potrebbe seguire un celebre esempio. Quello del premio Nobel per la letteratura, Orhan Pamuk, nel 2007 fuggito negli Stati Uniti per le minacce degli ultranazionalisti. Fazil Say, invece, medita di rifugiarsi in Giappone.
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