Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/10/2012, a pag. 21, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " La partita che l'Occidente può giocare ", a pag. 22, l'articolo di Alaa al-Aswani dal titolo " Dopo i dittatori ora abbattiamo i pregiudizi arabi ", a pag. 25, l'articolo di Joumana Haddad dal titolo " Ma queste sono rivoluzioni senza le donne ".
Con questi tre articoli, il Corriere della Sera tira le somme sulle 'primavere arabe'.
Tre articoli interessanti, sebbene per diversi aspetti. Sicuramente quello più sincero e oggettivo è quello di Joumana Haddad, la quale denuncia senza giri di parole che cos'è successo sul serio nei Paesi colpiti dalla 'primavera': l'ascesa di salafiti e islamisti che, lungi dall'aspirare alla democrazia, hanno reso la condizione delle donne ancora peggiore di com'era prima.
Un articolo che, ci auguriamo, aiuterà gli analisti occidentali a non lasciarsi abbagliare dalla propaganda islamista.
Per quanto riguarda l'articolo di Venturini, niente da obiettare. E' il solito Venturini, molto cauto, molto attento a non sbilanciarsi nè a favore, nè contro. Sì, ci sono gli islamisti e i salafiti, ma sta all'Occidente non appoggiarli e aiutare i laici ad emergere.
Il pezzo di Alaa al Aswani, scrittore e intellettuale laico egiziano, punta contro gli islamisti e sull'importanza della conoscenza reciproca fra islam e Occidente, sulla necessità di investire su creatività e ricerca, sull'importanza di isolare gli estremisti. Molte belle parole, insomma.
Ci chiediamo, però, come si possa prendere sul serio Alaa al-Aswani, il quale da sempre ha posizioni contro Israele. Il suo ultimo attacco risale a poco tempo fa, quando impedì la traduzione in ebraico del suo romanzo 'Palazzo Yakoubian' e la sua diffusione in Israele. Una persona che, per ideologia, si schiera contro l'unica democrazia in Medio Oriente è credibile quando si riempie la bocca di bei discorsi sulla laicità e la democrazia ?
Non c'erano altri intellettuali egiziani disponibili ? Perché il Corriere non ha interpellato Tarek Heggy, per esempio ? Per saperne di più, leggere l'articolo di Mordechai Kedar,cliccare su:
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=44489
Dopo aver letto i tre articoli, risulta evidente che quella della 'primavera araba' è stata solo una bella illusione degli occidentali. Indubbiamente è partita come rivoluzione per abbattere dittature opprimenti. Ma che fine hanno fatto i ragazzi di piazza Tahrir, quelli scesi in piazza i primi giorni contro Mubarak, quelli che, insieme alle donne, chiedevano libertà e diritti?
Il loro posto è stato preso da islamisti e salafiti 'democraticamente eletti'. La 'primavera' non c'è stata, è iniziato l'inverno islamista e l'Occidente sbaglia con il suo atteggiamento accondiscendente.
Ecco i pezzi:
Franco Venturini - " La partita che l'Occidente può giocare "

Franco Venturini
È passato un anno dall'uccisione di Muammar Gheddafi e le Primavere arabe sono tutte a metà del guado, quando non affondano nelle sabbie mobili della guerra e dell'instabilità. Eppure non è ancora tempo di bilanci negativi. E nemmeno di pentimenti occidentali mal riposti.
In Tunisia, dove nel dicembre 2010 scoccò la prima scintilla della protesta, le elezioni libere hanno dato il potere agli islamisti (come ovunque, salvo in Libia). Ma gli islamisti non sono tutti uguali, e preoccupano le aperture che i moderati del partito Ennahda fanno sempre più spesso a beneficio degli estremisti salafiti. Le donne faticano a difendere i diritti conquistati sotto Bourguiba, le formazioni politiche laiche si trovano sempre più isolate. Ma Ennahda rassicura: non dimenticate che qui abbiamo rifiutato la sharia come base della Costituzione e delle leggi.
In Egitto, i Fratelli Musulmani del presidente Morsi sono riusciti a ridimensionare il potere dei militari. Ma piazza Tahrir si riempie ancora di manifestanti, l'economia va di male in peggio ed è in pieno svolgimento il braccio di ferro sulla futura Costituzione: quali prerogative vanno riconosciute al presidente, fino a che punto il fattore religioso deve avere un ruolo condizionante nella Carta? L'Egitto è una pedina essenziale degli equilibri mediterranei e di quelli del mondo arabo. Ma anche al Cairo i giochi non sono fatti, tanto più che i rivali più pericolosi, per Morsi, sono ancora una volta i salafiti.
In Libia siamo al paradosso, ma pochi ne sono sorpresi. Proprio lì dove la Nato e alcuni Paesi arabi (guidati dal Qatar) sono intervenuti militarmente e finanziariamente, proprio lì dove l'Occidente ha fatto una scelta netta contro Gheddafi e a favore della ribellione inizialmente scoppiata in Cirenaica, lì oggi regna la più completa instabilità. La produzione di greggio ha praticamente raggiunto i livelli di un tempo (e per l'Italia non si tratta di poca cosa), ma lo Stato unitario ha difficoltà a esistere per il semplice motivo che sotto Gheddafi non era mai esistito: il raìs gestiva con grande abilità clientelare — e se necessario con la forza — i delicati equilibri tribali e regionali, gli stessi che oggi si traducono nell'esistenza di milizie armate e assai poco propense a riconoscere il primato di un «centro» dirigente. Non stupisce che gli Stati Uniti abbiano deciso, anche a seguito dell'uccisione del loro ambasciatore, di finanziare e addestrare reparti di commando destinati ad affrontare e se possibile a disarmare le milizie tribali uscite dalla guerra.
E poi c'è la Siria. La rivolta di quasi due anni fa — contro il regime di Assad, ma anche dei sunniti contro gli alawiti — si è trasformata in un interminabile bagno di sangue, in una sostanziale dimostrazione di impotenza da parte dell'Occidente e in gravi rischi per il domani. Ci saranno fenomeni di contagio, in un'area geopolitica già esplosiva? La guerra civile continuerà anche dopo l'eventuale caduta di Assad? Quale ruolo svolgeranno le formazioni jihadiste e qaediste che risultano sempre più presenti sul terreno a fianco dell'Esercito libero siriano? E chi (tra gli altri ci sta provando l'Italia) riuscirà a unificare il fronte dell'opposizione? La Siria non è a metà del guado, deve ancora attraversare un mare in tempesta.
Davanti a una transizione tanto incerta e ancora tanto ricca di motivi di inquietudine, è del tutto normale che l'Occidente, e in particolare l'Europa, e all'interno dell'Europa la mediterranea Italia, si interroghino su eventuali errori commessi e si chiedano se l'impatto emotivo delle Primavere arabe non abbia portato a una sottovalutazione del pericolo islamista.
Eccessi di ottimismo sicuramente ci sono stati, soprattutto a livello mediatico. Ed è anche vero che la guerra della Nato in Libia ha fatto storia a sé — una storia controversa — da quando fu deciso di «forzare» l'autorizzazione dell'Onu puntando al regime change. Ma benché gli esami di coscienza politici non siano mai facili, la risposta alle Primavere arabe non merita i mea culpa che pure ogni tanto affiorano.
Non si tratta di negare errori, anche gravi, che sono stati effettivamente commessi. Si tratta di collocarli correttamente. Quando le Primavere esplosero in Tunisia e poi in Egitto, l'Occidente notò con soddisfazione che la rivolta era guidata da giovani in massima parte istruiti ma disoccupati, che jihadisti e islamisti tardavano a scendere in piazza, che venivano reclamate a gran voce libertà e democrazia. Si trattava ancora una volta di un clamoroso paradosso: la protesta invocava valori occidentali mentre l'Occidente fino al giorno prima aveva appoggiato e foraggiato i regimi oppressivi che quella protesta avevano provocato.
Qui, e non altrove, stanno gli errori dell'Occidente. Stanno nella totale sorpresa che investì le cancellerie atlantiche, benché tutti potessero vedere cosa si andava preparando a Tunisi o al Cairo. Stanno in una politica che affidava ai vecchi regimi la tutela di una conveniente stabilità senza interrogarsi sulla tenuta di quei regimi, senza intuire una situazione che non poteva durare. Nell'intelligence cieca o non presa nella dovuta considerazione, e nell'analisi diplomatica troppo prudente e troppo conformista: qui abbiamo tutti sbagliato.
Ma una volta scoppiate le rivolte, quale poteva essere la scelta dell'Occidente? Avremmo forse dovuto difendere Ben Ali e Mubarak, nostri antichi clienti che non avevano più alcuna possibilità di conservare il potere? I primi a capirlo e a scegliere furono gli Stati Uniti, come al solito. E fecero bene, perché la coerenza è di solito un valore ma non lo è più quando si tratta di essere coerenti rispetto a un errore.
Oggi bisogna guardare avanti. Con enorme frustrazione in Siria, con forti timori in Libia, ma anche con una partita tutta da giocare in Tunisia e in Egitto. L'Occidente tifa per gli islamisti moderati e i Fratelli Musulmani contro i salafiti che l'Arabia Saudita (ma non dovrebbe essere amica degli occidentali?) sostiene e moltiplica. La crisi dell'euro e le elezioni americane limitano aiuti economici che sarebbero invece indispensabili per rafforzare i nostri interlocutori a Tunisi e al Cairo. Ai quali vanno anche indicate le linee rosse da non superare: i diritti civili soprattutto delle donne, la libertà di informazione, la divisione dei poteri, la pace con Israele. Al confronto decisivo tra islamisti se ne affianca un altro tra la guardia alta dell'Occidente e la transizione araba ancora incompiuta. È un cammino difficile, ma che va percorso fino in fondo.
Alaa al-Aswani - " Dopo i dittatori ora abbattiamo i pregiudizi arabi "

Alaa al-Aswani
Scrivo questo articolo da Cosenza, dove sono stato insignito del Premio per la cultura mediterranea, tra i massimi riconoscimenti letterari in Italia, organizzato dalla Carical Foundation sotto l'egida del ministero italiano della Cultura. In passato, i vincitori sono stati scrittori di fama internazionale, tra cui due grandissimi autori arabi — Amin Maalouf e Tahar ben Jelloun. Questo è il quarto premio che ricevo in Italia, e il quindicesimo a livello internazionale. Funziona sempre così: ricevo una lettera o una telefonata dalla giuria del premio con le congratulazioni per la vittoria. Nessuna mediazione, nessuna condizione, nessuno scambio di favori né pressioni da parte della giuria, come succede invece in Egitto. In Occidente, gli scrittori si presentano ai concorsi letterari solo se principianti e il premio consiste nella pubblicazione della loro prima opera. A parte questo caso, gli scrittori non sottopongono personalmente i loro romanzi, ma questi vengono selezionati e nominati o dalla giuria o dalle case editrici. La giuria che mi ha proclamato vincitore del Premio per la cultura mediterranea è composta da figure di spicco nel panorama letterario italiano. Da alcune indiscrezioni ho appreso che la scelta finale sarebbe stata tra me e uno scrittore spagnolo e alla fine ho vinto io. Nel corso delle varie cerimonie di premiazione, quando salgo sul palco per ricevere il premio, mi sento invadere da emozioni forti ma contrastanti. Ringrazio Dio per il successo che mi ha elargito e mi sento fiero di essere onorato in quanto egiziano e arabo. Ma poi mi pongo sempre la domanda: come si può fare per trasmettere al mondo intero un'immagine positiva e rispettabile degli arabi e dei musulmani? La risposta è da ricercarsi nelle seguenti considerazioni.
Innanzitutto, dobbiamo approfondire la nostra conoscenza dell'Occidente. Che cosa fai quando viaggi in un Paese straniero? Non chiedi forse com'è il clima, in modo da portare con te gli indumenti più idonei? Che cosa succede se immagini che l'altro Paese sia caldo come il tuo e arrivi indossando abiti leggeri per scoprire che ci sono neve e ghiaccio? Non ti sembrerebbe di aver fatto un grave sbaglio? Ecco, noi ci comportiamo con la stessa stupidità quando siamo alle prese con l'Occidente. Molti di noi si confrontano a un Occidente ipotetico e teorico che esiste solo nella nostra mente. Ogni giorno, nel mondo arabo, decine di articoli vengono scritti e decine di discorsi pronunciati per ribadire che l'Occidente è ostile all'Islam. E noi spesso prendiamo questi articoli per fatti certi che finiscono col condizionare il nostro pensiero e il nostro comportamento. Per anni ho studiato e sono vissuto in Occidente e ho scoperto che nel trattare con gli arabi e i musulmani gli occidentali si dividono in tre tipi: i governi, che solitamente assumono atteggiamenti opportunistici di stampo coloniale, sono presi esclusivamente dai propri interessi, sempre pronti a sostenere i regimi più dispotici chiudendo gli occhi sui crimini commessi contro i loro stessi popoli pur di ottenere petrolio e incrementare i profitti delle multinazionali. Al secondo tipo appartengono gli occidentali razzisti, che odiano arabi, musulmani e chiunque altro non appartenga alla razza bianca. Infine c'è la stragrande maggioranza composta da persone comuni, in tutto e per tutto simili a noi tranne che per la religione, il colore della pelle e la tolleranza dei rapporti sessuali fuori dal matrimonio.
È questo il tipo di occidentale più comune, solitamente altrettanto ignorante dell'Islam come gran parte degli arabi lo è del buddhismo e dell'induismo. Ma che immagine si sono fatti gli occidentali dell'Islam? La risposta, ahimè, è desolante. Le stragi di civili innocenti perpetrate da Osama bin Laden e dai suoi seguaci fondamentalisti hanno prodotto un'immagine talmente distorta dell'Islam che oggi molti occidentali credono che la religione musulmana predichi massacri e violenza. E difatti la parola sharia è entrata nelle lingue occidentali come sinonimo di amputazioni delle mani ed esecuzioni capitali con la spada, mentre la parola jihad in Occidente è l'equivalente di strage. L'immagine dell'Islam è stata appannata e distorta nella mente di milioni di occidentali a causa dei crimini commessi dai terroristi islamici. E come potrebbe essere diversamente, quando tra di noi ci sono persone convinte che lanciare bombe contro civili innocenti rappresenti una versione di jihad che ci avvicina a Dio?
Alcuni potrebbero sollevare obiezioni, del tipo: «Perché parli del terrorismo di Bin Laden e non dei crimini commessi dall'esercito americano in Iraq e in Afghanistan?». Io rispondo che è nostro dovere condannare l'assassinio di persone innocenti chiunque siano gli autori delle stragi, e che la responsabilità di queste azioni ricade sull'individuo, non sulla collettività. Le persone uccise da Al Qaeda a Madrid e a New York non si erano macchiate dei crimini dell'esercito americano, altrimenti, per la stessa logica, ogni arabo in Occidente dovrebbe essere considerato responsabile dell'attentato alle Torri Gemelle. In Occidente si levano molte voci autorevoli a condannare i crimini dell'esercito americano e se non fosse stato per i mezzi di comunicazione occidentali non avremmo saputo nulla degli abusi commessi nel carcere di Abu Ghraib o a Guantánamo. Anzi, le manifestazioni contro l'invasione dell'Iraq sono state molto più massicce nelle capitali occidentali che nel mondo arabo.
Non è lecito rispondere a un crimine con un crimine equivalente, e chiunque conosca la Storia sa bene che i primi musulmani non reagivano ai crimini dei loro nemici macchiandosi di reati simili. Al contrario, animati da sentimenti di giustizia e tolleranza, essi seppero dare un esempio di Islam civilizzatore che convinse milioni di persone ad abbracciare la nostra fede. Basta confrontare la tolleranza islamica verso i copti egiziani dopo la conquista dell'Egitto con gli efferati massacri compiuti dalle armate cristiane, con l'appoggio della Chiesa cattolica, ai danni di musulmani ed ebrei dopo la caduta dell'Andalusia. La strage di uomini e donne innocenti è un crimine atroce che non può mai essere giustificato e va a erodere la legittimità di qualunque causa, persino la più nobile e giusta.
Qualche anno fa ho vinto il Premio Bruno Kreisky per la letteratura e ho ricevuto il riconoscimento dalle mani del cancelliere austriaco. Nel mio discorso di ringraziamento, davanti a un pubblico interamente occidentale, ho detto che il profeta Maometto ci ha insegnato la verità, la giustizia, la libertà e l'uguaglianza. Ho raccontato come un giorno il profeta si era prostrato in preghiera, quando i nipotini Hassan e Hussein gli saltarono sulla schiena per gioco ed egli rimase inginocchiato finché i bambini non ebbero finito. «Se il profeta smise di pregare per non disturbare il gioco dei nipotini — ho commentato — com'è possibile immaginare che un uomo talmente mite potrebbe mai approvare il massacro di gente innocente mettendo una bomba in un ristorante o in una stazione?». Ricordo che il pubblico accolse le mie parole con un lungo applauso e molte persone, alla fine del discorso, vennero a chiedermi dove potevano approfondire la conoscenza del profeta e della sua opera. Perciò, prima di condannare gli occidentali per i timori che nutrono verso l'Islam, chiediamoci quale immagine della nostra religione siamo stati capaci di diffondere in Occidente.
In secondo luogo, dobbiamo imitare il sostegno che l'Occidente sa dare al talento e alla creatività. Il sistema occidentale offre a tutti l'opportunità di distinguersi in qualunque campo e premia il merito, anche se provieni da un'altra cultura. Noi abbiamo molti illustri scienziati che lavorano in Occidente, perché i nostri governi non hanno saputo trarre vantaggio dalla loro esperienza e dal loro successo. In Egitto e nel mondo arabo abbiamo grandi artisti sconosciuti in Occidente e se le loro opere fossero tradotte e adeguatamente presentate certamente meriterebbero quei riconoscimenti che darebbero lustro alla nostra immagine. Talvolta può fare di più un film, coronato dal successo internazionale, di tutti i discorsi pomposi che noi facciamo tra di noi, rivolti esclusivamente a noi stessi.
Pongo la domanda: chi ha fatto di più per l'Islam, Ahmed Zewail e Naguib Mahfouz oppure Osama bin Laden e Ayman Zawahiri? È meglio presentare la nostra cultura al mondo attraverso la mediazione di grandi scienziati e scrittori, oppure tramite le nefandezze di un manipolo di criminali?
Terzo, rispettare i diritti umani. L'umanità ha fatto grandi progressi per stabilire quali sono i diritti che formano l'essenza della civiltà, e chiunque violi questi diritti deve considerarsi un barbaro. La cosa strana è che l'Islam seppe esaltare i diritti umani con secoli di anticipo sull'Occidente, ma oggi ci sono musulmani che li calpestano. Abbiamo sceicchi estremisti convinti che il marito abbia il diritto di usare violenza contro la moglie per ridurla all'obbedienza, e cercano di indorare la pillola dicendo che la violenza fisica non dovrebbe essere eccessiva. Ma la violenza contro la donna ci riporta indietro in un mondo anteriore alla civiltà, perché la donna è un essere umano e la violenza contro la donna è un'offesa alla sua dignità e calpesta la sua autostima. Ci sono sceicchi che invocano il matrimonio delle bambine appena varcata la soglia della pubertà, anche se hanno soltanto dieci anni. Queste opinioni fuorvianti e perverse si fondano sul concetto della donna come mero oggetto sessuale, priva di qualunque sentimento, volontà o comprensione, pari a una macchina che serve al piacere sessuale dell'uomo, anche quando si tratta di creature appena uscite dall'infanzia. Chiunque intrattenga relazioni sessuali con un bambino è un criminale e uno squilibrato, che dovrebbe essere arrestato e processato, poi sottoposto a trattamento terapeutico in prigione.
Le più recenti ricerche confermano che il profeta Maometto sposò Aisha quando la ragazza aveva all'incirca 19 anni, e non nove come si afferma comunemente. In Egitto, ci sono estremisti che manifestano disprezzo per la grande epoca faraonica, e nutrono un odio inveterato per l'arte. Sono incapaci non solo di fruire dell'esperienza artistica, ma addirittura di concepirla. Vogliono mettere al bando la musica e nella loro sconfinata ignoranza gli attori equivalgono a libertini e le attrici a prostitute. Quando tutte queste opinioni barbare e retrive vengono tradotte e diffuse nel mondo, ecco che malauguratamente confermano l'immagine negativa dell'Islam nella mente degli occidentali.
Quarto, valorizzare ciò che noi abbiamo da offrire al mondo. Gran parte dei Paesi arabi e islamici dipendono dall'Occidente, e questa è una verità scomoda. Noi abbiamo smesso di contribuire al progresso dell'umanità da molti secoli a questa parte. Abbiamo migliaia di illustri scienziati che lavorano nelle università occidentali oppure vivono nei loro Paesi nella totale impossibilità di offrire il loro contributo a causa dei regimi totalitari, della corruzione e della burocrazia. I Paesi arabi, nel loro insieme, non offrono nulla al mondo, né industria, né agricoltura, né ricerca scientifica. Persino nei Paesi ricchi di petrolio, i governanti accumulano le loro ricchezze nelle banche occidentali e anziché prodigarsi per la rinascita sociale grazie ai loro petrodollari, molti di essi preferiscono pagare il lavoro di terzi, facendo affluire migliaia di immigrati da ogni parte del mondo affinché lavorino al loro posto, mentre si godono un'esistenza ricca soltanto di piaceri e privilegi e vuota di qualunque altra cosa. Perché mai il mondo dovrebbe rispettarci quando nei nostri 22 Paesi non riusciamo a produrre nulla di utile da offrire all'umanità? Gli estremisti che maledicono l'Occidente dai loro pulpiti urlano nei microfoni prodotti in Occidente, si prostrano in preghiera sui tappeti «made in China» e vivono la loro intera esistenza sfruttando i prodotti della civiltà occidentale da loro tanto odiata. Il mondo saprà rispettarci solo quando saremo in grado di produrre ricerca scientifica seria e manufatti indispensabili per offrire un valido e significativo contributo al progresso dell'umanità.
L'Islam ha dato al mondo una grande civiltà, con il contributo di musulmani, cristiani ed ebrei. È stato un faro di conoscenza per sette secoli e ispiratore di valori umani e sociali fondamentali, quali amore, giustizia e clemenza, ma oggi ci sono musulmani che gettano discredito sulla loro religione. Se vogliamo rilanciare l'immagine dell'Islam, occorre innanzitutto rendersi conto che quell'immagine potrà essere salvata soltanto da una riforma che cominci dalla base. Dobbiamo lavorare, progredire e rispettare i diritti umani, se vogliamo che il mondo ci rispetti.
E l'unica soluzione è la democrazia.
Joumana Haddad - " Ma queste sono rivoluzioni senza le donne "

Joumana Haddad
Sin dal marzo del 2011, quando il mondo intero — l'Occidente in particolare — fu travolto dall'euforia delle Primavere arabe, ho avuto modo di esprimere il mio scetticismo verso quegli avvenimenti, in quanto già intuivo i grandi rischi che correvano le donne, malgrado gli slanci iniziali delle varie rivoluzioni. Sono stata criticata da molti, all'epoca, come «uccello del malaugurio». Ma purtroppo gli eventi mi hanno dato ragione, anche se non mi sentirete mai gongolare «ve l'avevo detto!». Avrei di gran lunga preferito sbagliarmi nella mia analisi dei fatti.
Chi non le ha viste, tutte quelle donne coraggiose scese in strada in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen, per partecipare alle manifestazioni, reclamare la caduta dei dittatori e dare il loro contributo alla rivoluzione? «Le abbiamo viste», dico, ma è un verbo che va usato al passato. Perché difatti dove sono finite quelle stesse donne, ora che vengono erette le nuove strutture degli Stati, ora che si avverte un estremo bisogno di ascoltare la loro voce e di vedere la loro partecipazione attiva e fattiva nel costruire il futuro di questi Paesi, le loro leggi e i loro valori?
Che razza di rivoluzioni sono queste, se le donne si accontentano di farsi manovrare come pedine, per finire scartate e relegate in un angolo quando viene il momento di prendere decisioni cruciali per il futuro del Paese? Che razza di rivoluzioni sono queste, se non sono riuscite a rovesciare i tavoli del patriarcato sulla testa degli oppressori e se promettono una nuova forma di arretratezza — l'estremismo religioso — per sostituire quella appena abolita?
E chi sarebbe il vincitore in un gioco che vede metà della popolazione ridotta a una schiera di spettatrici mute — e imbavagliate?
Non fraintendetemi: con queste mie parole non intendo affatto tessere una lode ai dittatori e alle dittature. Ma non posso non essere preoccupata dalla crescente influenza dell'estremismo islamico negli ultimi anni in Medio Oriente (tanto nel ramo sunnita che in quello sciita). Non posso non essere preoccupata dal fatto che questo Islam fanatico alimenta la causa dell'estremismo di destra in Occidente. Non posso non preoccuparmi del destino della regione, e specialmente delle donne della regione, se quello che viene dopo la dittatura equivale a una nuova dittatura, ovvero, un regime fondamentalista arretrato che si fonda, tra varie atrocità, su un rincaro di misoginia, violenza, patriarcato, segregazione e intolleranza nei confronti delle donne.
Troppo spesso noi arabi siamo costretti a scegliere tra due mostri, e per quanto mi rallegri che il mostro della dittatura sia stato eliminato, vedo con sgomento un nuovo mostro che alza la testa e si prepara a prendere il potere. È fondamentale sbarazzarsi dei dittatori, ovviamente. È importantissimo combattere la fame e l'ingiustizia, non c'è alcun dubbio. È di vitale importanza mettere fine alla corruzione.
Ma è altrettanto importante combattere l'estremismo religioso, come pure rispettare e legittimare i diritti e la dignità delle donne, e questo vuol dire sbarazzarsi degli strumenti e dei sistemi del patriarcato che fingono di proteggere le donne e che sfruttano questa cosiddetta protezione al fine di giustificare l'oppressione.
Anzi, ciò che aggrava la situazione è sentir dire da alcune donne che essere trattate con tanta superiorità fa parte delle loro «scelte». Potrebbe anche darsi, se per scelta esse intendono «annientamento» o «lavaggio del cervello». Perché come si può mai parlare di scelta quando non esistono alternative? O quando l'alternativa è finire ostracizzate, o aggredite, o imprigionate, o persino uccise?
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Pertanto mi chiedo se le rivoluzioni che si sono verificate e che si stanno ancora verificando nel mondo arabo possano definirsi anche rivoluzioni delle donne: in questo senso, si tratta di vere rivoluzioni? Sotto i perfidi regimi arabi (quelli rovesciati e quelli che a breve cadranno, senza ombra di dubbio), fondati per la maggior parte sul disprezzo della donna e sulla negazione dei suoi diritti, non posso fare a meno di chiedermi: quando verrà il giorno in cui la donna del mondo arabo si stancherà di invocare «datemi i miei diritti» per urlare «i miei diritti me li prendo con le mie stesse mani»? Quando capirà che i suoi diritti non sono un lusso, ma la chiave di volta di tutto? Quando capirà che non è nata per sposarsi, fare figli, obbedire, nascondersi e servire i maschi della famiglia? Quando capirà che tutti i discorsi di democrazia sono chiacchiere vuote senza l'affermazione della sua uguaglianza con gli uomini? E che tutti i discorsi di libertà sono scempiaggini se le sue libertà civili non vengono rispettate? E che tutti quei discorsi di cambiamento e modernizzazione non valgono un fico secco se la sua situazione, la sua posizione e il suo ruolo non vengono rivalutati? Quando comincerà a infuriarsi per le offese e le ingiurie che le sono rivolte a ogni istante e che mirano ad annientarla giorno dopo giorno, in ogni ambito della vita? E quando, infine, la smetterà di contribuire al rafforzamento del sistema patriarcale, con i suoi valori retrogradi?
In breve, quando esploderà la «bomba» delle donne arabe? E mi riferisco alla bomba delle loro capacità, ambizioni, libertà, forze e fiducia in sé stesse; la bomba della rabbia per tutto quello che è stato loro imposto, e che spesso esse accettano senza osare criticare.
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Le donne che vivono nella nostra parte del mondo sono gravemente discriminate in tanti modi che costituiscono vere e proprie violazioni dei diritti umani, dai delitti d'onore al matrimonio delle bambine, dal test di verginità alle mutilazioni genitali, dal divieto all'istruzione alle limitazioni alla libertà di movimento fino alla posizione di inferiorità in campo sociale, economico e formativo, e via dicendo. Ma la difesa delle donne non deve limitarsi a diventare uno slogan esclusivamente femminile. Gli uomini sono i compagni indispensabili nella lotta contro le ingiustizie inflitte alle donne che nascono da un'arretratezza in vari ambiti, politici, militari ma soprattutto religiosi, contesti e sistemi che, proprio come la mitica idra, fanno man mano spuntare nuove teste per ognuna delle vecchie che viene recisa.
Per questo motivo ci occorre un nuovo tipo di uomo, l'uomo che non ha bisogno di opprimere le donne, negare i loro diritti e disprezzare i loro sentimenti per sentirsi «virile». Ma ci occorre anche un nuovo tipo di donna, quella donna che saprà lottare con le unghie e con i denti per ottenere i suoi diritti senza dover ricattare o cancellare gli uomini. Vogliamo donne che non si limitino a sostituire il patriarcato con il matriarcato, ma che aspirino a una vera collaborazione e solidarietà con il genere maschile.
«Primavera araba», davvero? Per quanto ne so io, ci si prospetta un nuovo inverno, oppure una primavera semplicemente cosmetica. La soluzione? Ce n'è una sola. Non si tratta di rappezzare il muro che abbiamo davanti, non si tratta di augurarsi che sparisca di colpo. Non si tratta di negare la sua esistenza, né di pregare per la sua distruzione. La soluzione è distruggere, distruggere e distruggere. E ricostruire. Ricostruire insieme, uomini e donne, mano nella mano.
È questa la vera battaglia di cui abbiamo bisogno. È questa la vera rivoluzione che ci meritiamo.
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