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La Stampa Rassegna Stampa
14.10.2012 Usa: Terzi in sintonia con Hillary, dall'Iran una buona notizia
Articoli di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 14 ottobre 2012
Pagina: 14
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «In Siria decisivo il ruolo di Mosca-Panetta: l'Iran minaccia una Pearl Harbor cibernetica»

Il nostro Ministro degli Esteri Giulio Terzi ha incontrato il Segretario di Stato Hillary Clinton a Washington, come riferisce oggi, 14/10/2012, sulla STAMPA Maurizio Molinari, in un pezzo dal titolo "In Siria decisivo il ruolo di Mosca". Preoccupa la sua dichiarazione di essere in 'sintonia' con l'Amministrazione Obama, con i giudizi di Hillary in particolare. Sembra che -insieme- abbiano scoperto che " c'è un rischio jihad nel Nord Africa", ma no ! ci sono arrivati, alla buon'ora !
Se queste notizie ci hanno preoccupato, ce n'è un'altra che, invece, ci ha rallegrato, sempre riferita da Molinari a pag.15, con il titolo "Panetta: l'Iran minaccia una Pearl Harbor cibernetica". Ricordando come la decisione di bombardare Pearl Harbor dell'imperatore Hirohito aveva spinto l'America ad uscire dall'isolamento ed entrare in guerra, vien da dire speriamo che Panetta abbia visto giusto e che l'Iran colpisca il più duramente possibile. Forza Iran ! lo gridiamo anche noi, dagli sotto, magari il gigante addormentato si risveglia.
Ecco i due articoli di Maurizio Molinari:

" In Siria decisivo il ruolo di Mosca "

Giulio Terzi, Hillary Clinton

La sicurezza in Nordafrica dopo l’assalto di Bengasi e la necessità di recuperare la Russia sulla crisi siriana sono stati al centro nell’incontro del ministro degli Esteri Giulio Terzi con il Segretario di Stato Hillary Clinton, dal quale esce quella che i portavoce Usa definiscono «una partnership sui temi globali».

Ministro, con l’euro più stabile, come cambia l’agenda Usa-Europa?

«La stabilità dell’euro resta rilevante per l’economia Usa ma questo aspetto viene seguito con minore ansia perché Washington vede i progressi europei. Le importanti parole di Hillary Clinton sul Nobel per l’Ue nascono dal fatto che l’Amministrazione conta su un’Europa che, più stabile, pesi di più».

In cima ai timori di Washington c’è la Libia. Cosa può fare l’Italia per contribuire a renderla più stabile?

«Vogliamo incoraggiare tutte le forze politiche a formare un governo, garante di stabilità e sicurezza. Il consolidamento deve avvenire dall’interno, ma i Paesi più amici possono incoraggiare le forze politiche ad avere una visione nazionale e non regionale, affinché la Costituzione maturi in una direzione che coincida con la Carta dell’Onu. Inoltre possiamo contribuire a creare un ambiente economico favorevole».

Dopo l’assalto di Bengasi al consolato Usa, quanto è seria la minaccia di Al Qaeda in Maghreb?

«C’è una realtà di movimento di gruppi jihadisti nella regione che va dal Sahel al Mediterraneo, a Libia e Egitto. Sono macchie di presenza jihadista che si sono avvantaggiate della diminuita capacità di controllo di alcuni Paesi, come Libia, Mali, Niger e Nigeria. Il rischio di Al Qaeda c’è ma non è generalizzato. Non bisogna vedere nei fatti di Bengasi un allarme rosso, ma dobbiamo impedire che i jihadisti si consolidino nel Nord del Mali».

In Mali l’Ue è pronta a fare la sua parte contribuendo finanziariamente alla missione africana sotto l’egida dell’Onu?

«Quanto avviene in Mali è cruciale per l’intero Sahel. La stabilità interna serve alla missione Onu. La Francia è il Paese Ue più impegnato ma l’Europa è coinvolta e vogliamo accrescere gli investimenti sullo sviluppo. Spero l’Ue trovi volontà politica e mezzi per affrontare la situazione».

Che cosa manca ancora all’opposizione siriana?

«Un’agenda unitaria. L’opposizione fa fatica a uscire dalla morsa dei personalismi, a porsi come vera alternativa al regime. Vi sono leadership credibili ma resta una galassia di realtà. C’è ancora molto da fare».

Che idea ha delle resistenze russe?

«La Russia dà un’interpretazione critica delle Primavere arabe. Le considera un segno di instabilità regionale, non un progresso verso la democrazia. Di conseguenza dà una valutazione negativa della guerra civile in Siria e continua a sostenere il regime».

È un dissenso recuperabile?

«Credo di sì perché le gravi conseguenze della guerra civile in Siria sono una minaccia per la comunità internazionale, Russia inclusa. Ciò che preoccupa tutti è il jihadismo, che si sta radicando in Siria».

Come pensa che si possa superare lo stallo con Mosca?

«Serve un cambio di marcia fra Russia e Ue. Vi sono stati elementi di incomprensione, ma la Russia è un partner fondamentale. Sono convinto che ci siano le premesse per maggiore convergenza, anche sulla Siria».

Quanto contano le nuove sanzioni Ue all’Iran?

«Contano molto. Investono il sistema finanziario, l’economia e i trasporti, toccando settori strategici dell’economia iraniana».

Italia e Usa sono più vicini a una soluzione della vicenda dei 23 agenti della Cia condannati per il sequestro di Abu Omar?

«Abbiamo la sentenza della Corte di Cassazione. Non è compito del governo commentarla. Riteniamo che gli accordi “Sofa” abbiano una precisa connotazione per quanto riguarda il trattamento dei militari americani in Italia. Dobbiamo chiarire questi aspetti».

Il 2013 sarà l’anno della Cultura italiana negli Stati Uniti. Vedremo esposti alcuni dei grandi tesori d’arte italiani?

«Credo proprio di sì. Abbiamo molte richieste e c’è grande attesa, sulla scia delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità».

" Panetta: l'Iran minaccia una Pearl Harbor cibernetica "



Leon Panetta                                  Hacker iraniani
Potrebbe arrivare dall’Iran il primo attacco terrorista cibernetico contro gli Stati Uniti. Ad affermarlo è il capo del Pentagono, Leon Panetta, in un intervento davanti al Business Executives for National Security di New York nel quale ha tenuto a sottolineare che «gli Stati Uniti sono in grado di individuare da dove un attacco cibernetico potrebbe arrivare» e di conseguenza «le forze armate risponderebbero con i mezzi necessari».

Si tratta di un monito esplicito nei confronti di Teheran, al fine di allontanare l’idea che gli Usa rimarrebbero inerti davanti ad un blitz di «terrorismo cibernetico». Per avere idea di cosa intende Panetta basta ascoltare ciò che dice: «Una nazione o un gruppo terrorista potrebbero adoperare strumenti cibernetici per ottenere il controllo di snodi critici delle nostre comunicazioni al fine di far deragliare treni passeggeri o, ancora più pericoloso, convogli che trasportano sostanze chimiche letali, potrebbero contaminare le risorse idriche di grandi città o causare estesi black out in intere regioni degli Stati Uniti». Senza contare l’incubo più ricorrente dell’anti-terrorismo che riguarda il pericolo di intrusioni di hacker nel sistema di controllo dei voli civili sui cieli del Nord America. Sono scenari catastrofici che spiegano perché Panetta si richiami al precedente di Pearl Harbor, l’attacco a sorpresa del Giappone contro gli Usa nel dicembre del 1941, per evocare il pericolo di subire migliaia di vittime a causa di un’azione terroristica portata con modalità inattese.

Nelle ultime settimane l’amministrazione Obama ha lamentato le ricorrenti intrusioni di hacker cinesi, anche per violare l’ufficio militare della Casa Bianca, così come in passato i sospetti si erano indirizzati su pirati cibernetici russi ma nel discorso di New York Panetta ha scelto di puntare l’indice contro l’Iran. Per avvalorare l’entità della minaccia cibernetica di Teheran, Panetta ha detto di ritenere che sono stati alcuni «hacker situati in Iran» ad aver lanciato attacchi che hanno recentemente devastato i sistemi computerizzati di società petrolifere in Arabia Saudita e Qatar. Quella è stata interpretata come una possibile prova generale di un assalto via web contro Israele o gli Stati Uniti. Il virus che ha neutralizzato 30 mila computer della saudita Aramco si chiama «Shamoon» e sostituisce i files distrutti con una bandiera Usa che brucia.

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