Libia, Hillary Clinton poteva evitare l'assassinio dell'ambasciatore Stevens ? Se lo scrive pure Repubblica, sarà vero
Testata: La Repubblica Data: 12 ottobre 2012 Pagina: 20 Autore: Federico Rampini Titolo: «Hillary sotto accusa per Bengasi: Contraddizioni e allarmi ignorati»
Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 12/10/2012, a pag. 20, l'articolo di Federico Rampini dal titolo "Hillary sotto accusa per Bengasi: Contraddizioni e allarmi ignorati". Se lo scrive Repubblica e non un giornale critico verso l'Amministrazione Obama, deve proprio essere vero.
Hillary Clinton, Chris Stevens,in alto da vivo, in basso come dovrebbe essere ricordato, per non dimenticare
NEW YORK — Non bastavano i guai di Barack Obama, ora è in difficoltà anche colei che potrebbe essere la “prossima” candidata democratica alla Casa Bianca: Hillary Clinton. È il segretario di Stato il primo bersaglio nel mirino delle polemiche sull’attentato di Bengasi in cui perse la vita l’ambasciatore Usa in Libia. Il Dipartimento di Stato è al centro di un’inchiesta parlamentare, che il partito repubblicano usa apertamente in chiave elettorale. È la storia ideale per far dimenticare agli americani che questa Amministrazione ha al suo attivo l’uccisione di Osama bin Laden. Anche i media più progressisti riconoscono che Obama e la Clinton devono delle spiegazioni all’opinione pubblica. Quelle che stanno fornendo, in ritardo e col contagocce, rendono ancora più imbarazzante la vicenda. Improvvisamente anche il terreno sul quale Obama sembrava più forte — la politica estera — si trasforma in un campo minato. E proprio la politica estera sarà al centro del secondo duello tv tra il presidente e Mitt Romney, martedì 16. A manovrare l’indagine del Congresso, la destra ha messo uno dei suoi uomini di punta: il deputato Darrell Issa, della California. Cruciale è il fatto che l’indagine sia partita dalla Camera dove i repubblicani hanno la maggioranza. Ma per quanto li si possa accusare di strumentalizzazione, è la stessa Amministrazione Obama ad offrire a Issa un arsenale di argomenti. Merco-ledì, il Dipartimento di Stato ha dovuto ammettere di avere respinto in passato ripetute richieste venute dall’ambasciata Usa in Libia, per un rafforzamento delle protezioni anti- terrorismo. In una drammatica testimonianza, un funzionario dell’ambasciata ha detto di essersi sentito abbandonato, «come se i veri Taliban fossero i nostri capi». L’altra accusa contro l’Amministrazione è di avere distorto gli eventi di un mese fa, quando l’11 settembre scorso morirono l’ambasciatore Christopher Stevens e tre altri funzionari. La prima versione, autorevolmente diffusa dall’ambasciatrice all’Onu Susan Rice, parlava di manifestazioni di protesta davanti al consolato Usa di Bengasi per il film contro Maometto. Ora la versione ufficiale è ben diversa: si trattò di un attacco di al Qaeda, premeditato e preparato con largo anticipo. Obama è dovuto intervenire a spiegare questa contraddizione, parlando l’altroieri alla tv Abc: «Abbiamo fornito informazioni in tempo reale, dicendo quel che sapevamo nel momento in cui lo sapevamo ». La versione del presidente riconosce l’errore nella prima ricostruzione di quei tragici eventi, e lo descrive come un errore in perfetta buona fede. Non lo aiuta il fatto che la Casa Bianca decise di condannare il film su Maometto, che con quel-l’assalto non c’entrava nulla: per i repubblicani è la conferma che questo presidente “chiede scusa” al mondo islamico anziché far rispettare l’America. Martedì sera quando il presidente si troverà di nuovo davanti a Romney, avrebbe bisogno di usare tutto il dibattito televisivo per incalzare il suo rivale e metterlo nell’angolo. Ma almeno sulla vicenda di Bengasi, è lui che dovrà dare delle spiegazioni e rischia di apparire sulla difensiva.
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