Antisemitismo in ascesa in Francia commento di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 09 ottobre 2012 Pagina: 3 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Intifada francese. Boom di odio antisemita e paura nelle banlieue»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 09/10/2012, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "Intifada francese. Boom di odio antisemita e paura nelle banlieue".
Giulio Meotti
Le vittime dell'attentato di Tolosa
Roma. Con una certa enfasi Richard Prasquier, presidente del Conseil Représentatif des Institutions Juives de France, ha dichiarato che in Francia ha preso piede un “islam di guerra”, una “ideologia mostruosa” che ha paragonato addirittura al nazismo. Altri commentatori hanno messo in guardia dal rischio di una “Kristallnacht” francese, sulla falsariga dei pogrom tra il 9 e 10 novembre del 1938 nella Germania hitleriana. La paura domina nel paese che ospita le più grandi comunità islamiche ed ebraiche d’Europa. In grandi agglomerati come Sarcelles, Creteil, Sartrouville e Saint Denis, dove la sinagoga e la moschea si abbracciano, la tensione è altissima. L’ultima copertina del Nouvel Observateur è dedicata al boom antisemita. Vi si racconta del panico che regna nelle periferie, dove è sufficiente un copricapo religioso, ma anche un “certo taglio di capelli” o perfino un accento diverso, per diventare l’obiettivo di un’aggressione fisica a sfondo etnico. In un saggio sulla Middle East Quarterly, Nidra Poller, saggista e studiosa americana che da quarant’anni vive a Parigi, la chiama “Intifada francese”. Nel fine settimana la retata contro quella che il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ha definito “una cellula molto ben organizzata” di islamisti radicali, è finita con un morto fra i terroristi. A Sarcelles alcuni giorni fa alcuni membri di quella cellula avevano lanciato una granata yugoslava contro una drogheria ebraica. I jihadisti arrestati a Strasburgo si erano già rasati la barba, segno, secondo il procuratore che guida l’inchiesta, che volevano “morire da martiri”. Nelle varie perquisizioni è stata trovata, oltre ai testamenti già firmati dei terroristi, una lista di associazioni israelitiche da colpire. Il presidente francese François Hollande ha rassicurato gli ebrei, aumentando le misure di sicurezza attorno ai loro centri e istituti. Non a caso il programma semi-ufficiale dell’Agenzia ebraica per incoraggiare i francesi all’emigrazione verso Israele è chiamato in codice “Sarcelles d’abord”, innanzitutto Sarcelles, un tempo nota come la “Gerusalemme francese”. Lo scorso giugno il deputato Jacques Myard è stato aggredito proprio a Sarcelles al grido di “questa è terra araba, voi sionisti dovete andarvene”. La Francia si risveglia dunque con l’incubo di Tolosa, la città dove lo scorso 19 marzo quattro ebrei sono stati assassinati da un islamista, Mohammed Merah. Secondo dati del Service de Protection de la Communauté Juive – l’organismo che gestisce la sicurezza della comunità ebraica – c’è stato un boom di attacchi antisemiti nel paese dopo la strage della scuola. Al 31 agosto si contavano già 386 attentati. Jöel Mergui, presidente del concistoro ebraico, ha detto che “non passa settimana senza che ci siano attacchi antisemiti”. Non si contano più casi come quello di Lione, dove il rabbino capo Richard Wertenschlag ha ricevuto lettere minatorie. “D’ora in avanti puniremo un ebreo ogni volta che va in televisione a lamentarsi”, recita una lettera che porta la firma del “Network dei Giusti”. Alcuni giorni fa il governo israeliano ha diffuso i nuovi dati sull’immigrazione nello stato ebraico. 1.775 ebrei sono arrivati dalla Francia, che primeggia dopo Russia, Etiopia e Ucraina. La chiamano “Aliyah Tapis Rouge”, l’emigrazione sul tappeto rosso. L’Agenzia ebraica registra una crescita annua dalla Francia del dieci per cento. Una fuga che aumenta storicamente nei momenti di crisi. Come dopo la Guerra dei sei giorni del 1967, quando in cinquemila lasciarono il paese. C’è una stima di trentamila pronti a partire secondo un sondaggio del Fondo sociale ebreo unificato. “L’aliyah è inevitabile”, dice Laurent Chimouni, che lasciò Parigi vent’anni fa e che oggi è tornato in Francia per sostenere l’emigrazione. “La nostra posizione qui non è buona come un tempo”.
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