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Il Foglio Rassegna Stampa
05.10.2012 Libano, dalla padella alla brace con l'arrivo dei salafiti
Susan Dabbous a colloquio con il salafita libanese Ahmed al Asir

Testata: Il Foglio
Data: 05 ottobre 2012
Pagina: 4
Autore: Susan Dabbous
Titolo: «Vis à vis con il leader salafita del Libano che vuole spodestare Hezbollah»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/10/2012, a pag. 4, l'articolo di Susan Dabbous dal titolo "Vis à vis con il leader salafita del Libano che vuole spodestare Hezbollah".

Ahmed al Asir, Susan Dabbous

Sidone (Libano). “L’antiamericanismo nel mondo arabo non si è mai assopito. I musulmani hanno guardato a Barack Obama con fiducia all’inizio del suo mandato. Ma una volta al potere al di là della facciata ha optato per una politica di continuità col passato”, dice al Foglio il leader salafita Ahmed al Asir, che ci accoglie nel suo ufficio accanto alla moschea Bilal bin Rabah a Sidone, nel Libano meridionale. Dalla finestra si intravede la sala da dove pronuncia abitualmente le sue prediche contro gli sciiti di Hezbollah. Mobili in legno, tv al plasma, sul tavolo del salone una trentina di giornali libanesi sono pronti ai certosini ritagli del suo staff che archivia gli articoli che lo riguardano. Tra i ragazzi che lavorano per lui, abiti informali e barba lunga, alcuni di loro parlano bene l’inglese, altri sono invece palestinesi cresciuti in Libano, usciti dalla miseria dei campi profughi di Sidone. L’ultimo successo mediatico di Asir (44 anni e due mogli) risale alla manifestazione di venerdì 21 settembre a Beirut contro le caricature del profeta Maometto del settimanale francese Charlie Hebdo. Cinquemila persone in piazza, tante bandiere salafite nere con le scritte bianche e nessun disordine. A fine dimostrazione il servizio d’ordine dei fedeli si è occupato anche di raccogliere i rifiuti dalla piazza dei Martiri. “Ciò che non capite in occidente è che i musulmani tengono al profeta più che alla propria vita – prosegue il religioso sgranando i suoi grandi occhi azzurri – Questo non giustifica certo la ferocia delle manifestazioni avvenute sull’onda dell’emotività. Ma se gli Stati Uniti non avessero pubblicato quel film offensivo, a quest’ora l’ambasciatore americano a Bengasi sarebbe ancora vivo”. Il nesso di consequenzialità viene condiviso anche dai suoi seguaci. L’“emotività” omicida invece, secondo lo sheik, è arginabile solo con un buon livello di organizzazione. E in effetti chi più di lui, il più mediatico dei salafiti, capace di chiedere il disarmo di Hezbollah in sella alla sua bici mentre blocca assieme ai fedeli le strade della sua città, è in grado di dare lezioni di organizzazione? “Al Asir è un religioso prestato alla politica, in grado di colmare il vuoto di leadership creato dall’assenza fisica del principale politico sunnita, Saad Hariri”, spiega Salah al Mashnun, politologo dell’American University of Beirut. Il figlio dell’ex premier Rafiq assassinato nel 2005, si trova a Parigi per ragioni di sicurezza da oltre un anno e mezzo. A seguire Asir ormai sono in molti anche tra le file della cosiddetta ala moderata, perché il religioso è sì un uomo che predica l’applicazione della legge coranica (sharia), ma è anche un altoparlante del popolo “che può permettersi di denunciare ciò che la gente pensa e che i partiti non dicono”, prosegue Mashnun. E piuttosto che averlo contro, il partito di Hariri preferisce inglobarlo, in vista delle elezioni del 2013. A Bab Tabbane, quartiere di Tripoli (nel nord del Libano) dove nacque il primo gruppo del salafismo jihadista, le foto di Saad e Rafiq Hariri sono attaccate ovunque. Poco importa se si tratta dei leader più filoamericani che abbia mai conosciuto il Libano. Nel cuore proletario della città, dove è concentrato il 40 per cento dei poveri di tutto il Libano, a contare sono solo i favori politici elargiti attraverso il più classico dei sistemi clientelari: l’assistenza diretta. A Bab Tabbane è l’ufficio del parlamentare Mohammed Kabbara, appartenente al partito di Hariri, a dare assistenza a chi perde il lavoro: un sussidio di disoccupazione informale. Quanto alle armi, i salafiti vivono un eterno complesso di inferiorità rispetto al partito di Hassan Nasrallah, Hezbollah, ora alla guida della coalizione di governo. “I sunniti posseggono solo armi leggere – spiega al Asir – io sono per il disarmo della popolazione civile nell’intero paese, ma è ovvio che deve essere Nasrallah a fare il primo passo, perché Hezbollah possiede un arsenale superiore a quello dello stesso esercito nazionale”. Al ricco mercato delle armi leggere in Libano si rifornisce anche l’Esercito libero siriano (Els) all’interno del quale la presenza salafita si fa sempre più consistente. “Le modalità di finanziamento sono piuttosto semplici – spiega un membro dell’Els che chiede di non rivelare il suo nome – I soldi possono arrivare direttamente in contanti, attraverso businessmen provenienti dai paesi del Golfo o su conti individuali di cittadini libanesi”. I piccoli gruppi di combattenti, invece, che maneggiano poche migliaia di dollari alla volta, hanno iniziato a utilizzare anche “il servizio di money transfer della Western Union”. Basta entrare nel variegato mondo delle ong islamiche a sostegno dei profughi siriani, nate negli ultimi mesi, per vedere con quanta facilità avvengono piccoli e grandi spostamenti di denaro. E’ un sistema più che collaudato: negli anni Ottanta il primo gruppo salafita armato al Jaish al Islami (i soldati musulmani), fondato a Tripoli da Salem Alshahal, era legato a un orfanotrofio. L’associazione caritatevole, tuttora esistente, Jamaa muslimoon, raccoglie ogni anno le donazioni dell’elemosina islamica obbligatoria (zakat) provenienti soprattutto da ricchi signori libanesi, sauditi e kuwaitiani. “Un sistema del tutto trasparente”, assicura al Asir mentre si congeda per la preghiera del tramonto.

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