Sulla STAMPA di oggi, 03/10/2012, a pag.17, con il titolo "Bengasi, la Cia ha un colpevole", Maurizio Molinari riferisce dell'inchiesta Cia sull'uccisione dell'ambasciatore Chris Stevens e dei diplomatici americani a Bengasi.
La Cia non aveva informato sulla situazione libica, convinta che l'eliminazione di Gheddafi avesse risolto ogni problema, e che in Libia regnasse la primavera araba, secondo la linea politica voluta dal Presidente Obama. Peccato che la realtà sia, ancora una volta, diversa da come la immagina la Cia, che ha scoperto - ma che bravi !- il colpevole di tutto, come riferisce Molinari. Non conta nulla il fatto che l'attacco all'ambasciata, il suo incendio, l'uccisione barbara di Stevens - sulla cui dinamica si continua a tacere- abbiano richiesto almeno due ore. Mentre le autorità governative si guardavano bene dall'intervenire. E questo sarebbe il governo libico che ha poi espresso rincrescimento e scuse ! Ma la Cia ha trovato il colpevole, il caso è dunque chiuso, secondo le migliori tradizioni.
Ecco l'articolo:
L’amministrazione Obama è arrivata alla conclusione che l’attacco al consolato di Bengasi è stato un episodio di terrorismo, ritiene che il regista sia un leader della Jihad egiziana e sta valutando l’ipotesi di affidare ai droni degli attacchi contro la galassia di cellule riunite sotto «Al Qaeda nel Maghreb Islamico».
Al termine di oltre due settimane di esitazioni è stata la Direzione nazionale dell’Intelligence a definire l’assalto a Bengasi, in cui vennero uccisi l’ambasciatore Chris Steven e altri tre americani, «un deliberato e organizzato attacco terrorista realizzato da estremisti».
Sebbene l’Fbi non abbia ancora messo piede a Bengasi e la Cia l’abbia evacuata, le informazioni raccolte dall’Intelligence Usa portano a identificare il mandante in Muhammad Jamal Abu Ahmad. Si tratta di un egiziano nato circa 45 anni fa nel quartiere di Shobra, popolato anche da cristiani copti, e divenuto uno dei più aggressivi leader della Jihad islamica guidata da Ayman al-Zawahiri odierno capo di Al Qaeda - che negli Anni Ottanta lo mandò a combattere l’Armata Rossa in Afghanistan, dove divenne esperto di esplosivi. Tornato in Egitto, rifiutò nel 1997 di sottoscrivere la tregua della Jihad con il presidente Hosni Mubarak e venne imprigionato nel 2000 trasformandosi in un detenuto ribelle che insultava le guardie e violava i regolamenti. Testimonianza raccolte dalla «New America Foundation» e pubblicate dal Wall Street Journal parlano di lunghi periodi di isolamento in celle a cielo aperto, dove la polizia egiziana tentava di piegarne la resistenza esponendolo alle intemperie come alla presenza di cani e insetti aggressivi.
Muhammad Jamal Abu Ahmad è stato liberato nel febbraio 2011, a seguito del rovesciamento di Mubarak, e da quel momento si è dedicato alla creazione di cellule estremiste definite dai servizi di intelligence occidentali come il Network di Jamal. Ad aiutarlo sarebbe stato Mohammed alZawahiri, fratello minore di Ayman e protagonista del recente assalto all’ambasciata Usa al Cairo, e Murjan Salim, anch’egli jihadista reduce dall’Afghanistan, a cui avrebbe affidato i campi di addestramento in Libia dove adoperati per preparare l’assalto al consolato di Bengasi.
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