Siria: ribelli contro Assad e contro al Qaeda cronaca di Daniele Raineri
Testata: Il Foglio Data: 02 ottobre 2012 Pagina: 1 Autore: Daniele Raineri Titolo: «In mezzo ai ribelli siriani che sparano ai rivali di al Qaida»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 02/10/2012, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " In mezzo ai ribelli siriani che sparano ai rivali di al Qaida".
Daniele Raineri, al Qaeda
Idlib, nord della Siria. Ecco che comincia la guerra tra i ribelli e le bande di al Qaida. Quella contro il governo del presidente Bashar el Assad è una rivoluzione con due anime: la prima è l’originale e nazionalista, è maggioritaria, è nata disarmata e poi si è militarizzata per autodifesa contro la spietata macchina di repressione del partito Baath siriano; la seconda è sopravvenuta più tardi, è minoritaria, è islamista (nel senso che non ha a cuore la Siria in sé ma combatte per la causa musulmana globale), è parente nelle idee di Osama bin Laden ed è nata già militarizzata (di più, usa anche tattiche terroristiche come le autobomba e gli attacchi suicidi). Era inevitabile che queste due anime si scontrassero tra loro, anche se per ora il conflitto è tenuto molto nascosto dalla necessità tattica di lottare contro Assad. Il posto in cui il confronto è saltato fuori è Bab al Hawa, in arabo la Porta di Hawa, un valico sul confine tra la Turchia e la Siria. E’ una gola di roccia lunga mezzo chilometro, abitata dal fantasma della battaglia estiva per strapparla al governo. La fila dei negozi è distrutta, gli uffici doganali sono vuoti e il vento muove tende sbrindellate dalle raffiche di colpi. Un tir bruciato è appoggiato ai mozzi delle ruote. Un paio di carri armati che si erano trincerati in posizione difensiva dietro montagnole di terra sono fuori uso, con i cingoli sparpagliati in giro come collane rotte. Le auto che infilano la discesa verso il confine turco vibrano per colpa dei solchi impressi nell’asfalto da altri carri armati, che ora sono stati spostati e sono nelle mani dei guerriglieri. Sopra al duty free sventola la bandiera a tre stelle della Siria anti Assad. E’ una costruzione moderna ma senza più le vetrate. Su una parete di pannelli qualcuno ha scritto in rosso: “Non c’è altro Dio all’infuori di Allah. Allah è grande”. Fino a tre settimane fa al valico convivevano due gruppi. Uno fa parte dei ribelli siriani e appartiene alla brigata al Farouq, che nel luglio 2011 è stata la prima a prendere le armi contro Assad, più a sud, nella città di Homs e che ha accettato di accompagnarmi come se fossi “embedded”. Incarna la prima anima della rivoluzione. Gli uomini della Farouq sono tutti siriani, controllano il traffico in uscita e in entrata con un libro mastro e hanno un minimo di organizzazione: per esempio indossano tutti la stessa maglietta verde oliva con lo stemma della brigata e gli stessi pantaloni militari. L’altro gruppo – raccontano – era di centocinquanta jihadisti stranieri, da Egitto, Tunisia, Algeria, Emirati, Arabia Saudita, Kuwait e anche Europa, in ascolto devoto di un ideologo egiziano corpulento e con una lunga barba bianca che li istruiva così: “Siete in guerra contro due eserciti di apostati. Uno è l’esercito di Bashar el Assad. L’altro è l’esercito dei ribelli. Quando avrete finito con uno, toccherà anche all’altro”. I jihadisti passavano il tempo per conto loro ed erano guidati da un siriano, Abu Mohammad al Shami al Abs. La brigata ribelle al Farouq non è di sicuro laica. Prende il nome da Omar al Farouq, compagno del profeta Maometto. Al Farouq in arabo sta per “la differenza d’altezza” tra i credenti musulmani e gli infedeli. Il grido di guerra è “Dio è grande” (gettato in faccia a un regime che da quarant’anni concede o no attenzione a seconda della professione religiosa e a soldati che scrivono sui muri “Non c’è altro Dio all’infuori di Assad”). Però gli uomini della Farouq sono inorriditi quando i jihadisti hanno voluto issare sul valico la bandiera di al Qaida. “Da qua vorremmo far passare gli aiuti della Nato, se e quando arriveranno, quindi togliete quella bandiera”, hanno ordinato. La risposta è stata: “Noi siamo qui per combatterla, la Nato”. Il capo locale della Farouq, un ex ufficiale dell’esercito solido con i capelli fin sulle spalle, Abdullah Abu Zaid, dice: “Né ora né dopo la guerra permetterò la diffusione dell’islam dei takfiri (gli estremisti che s’arrogano il diritto di scomunicare altri musulmani e di ucciderli, come fa al Qaida). Non abbiamo bisogno di quell’islam, è una religione sfigurata, come lo era l’islam di regime”. Il capo dei jihadisti ha detto al reporter anglo-iracheno Ghaith Abdul Ahad, che lo ha incontrato due mesi fa: “Io combatto il regime dal 1992, questi dell’Esercito libero di Siria invece sono tutti disertori che fino a ieri stavano con Assad”. I ribelli hanno dato un ultimatum ai jihadisti: sloggiate. Quelli hanno preso posizione d’attacco sulle colline di pietra che s’affacciano sul valico. I ribelli della Farouq hanno minacciato di usare contro di loro i carri armati presi alle truppe di Assad. Lo stallo è finito il 5 settembre, quando quindici uomini della brigata hanno rapito il capo siriano dei jihadisti durante uno dei suoi numerosi andirivieni attraverso il confine, lo hanno ucciso a coltellate e hanno gettato il corpo in un burrone. Durante la guerra nel vicino Iraq, la guerriglia locale accettò di unirsi con al Qaida, ma poi, nel 2006 e 2007, anche perché disgustata dal fanatismo e dalla violenza degli estremisti e perché poco persuasa sulla possibilità di realizzare la loro utopia di governo coranico, cambiò fronte e si alleò con gli americani. Accadrà anche in Siria? E’ uno scenario per il dopo? Per ora lo stallo contro il governo centrale di Assad, che è logoro ma risponde colpo su colpo, occupa ancora tutta la scena.
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