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La fine di Oslo e un barlume di speranza Commento di Mordechai Kedar (Traduzione di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz) Oslo, al tempo dell'illusione Mordechai Kedar A qualcuno era parso che la “primavera araba” avrebbe attecchito in Giudea e Samaria, durante le manifestazioni di protesta contro il rialzo dei prezzi di gas e cibo. I funzionari dell’Autorità Palestinese attribuirono la colpa di tutti i problemi - poteva essere altrimenti? -a Israele, indicandone anche la fonte nel “ Protocollo di Parigi “, che lega l’economia della Anp a quella israeliana, compreso il valore della moneta e il regime fiscale legato ai prezzi che circolano in Israele. La situazione è invece molto più problematica, perché l’economia è solo il sintomo della malattia. Il vero problema è il fallimento del progetto palestinese di voler creare un unico “popolo palestinese”, con un’identità nazionale condivisa, sulla cui base poter istituire un sistema civile, con un’economia e un’auto-amministrazione legittime. L’intenzione di Oslo, dal punto di vista di Israele, era - come Yitzhak Rabin aveva ammesso – far sì che Fatah trattasse con Hamas, “senza i vincoli della Corte Suprema o delle organizzazioni dei diritti umani”, il che avrebbe posto Fatah quale garante della sicurezza israeliana, diventandone anche collaboratore. L’Anp e i suoi apparati di sicurezza non hanno mai combattuto seriamente contro il terrorismo, anzi, l’hanno sempre praticato . Per cui Hamas è cresciuto e si è sviluppato, fino ad impadronirsi di Gaza. Problemi irrisolti Un’altra caratteristica fondamentale e negativa degli Accordi di Oslo è che questa intesa ha rinviato la soluzione dei problemi fondamentali alla fase degli accordi sullo status definitivo: nulla è stato concordato per quanto riguarda i confini, gli insediamenti ebraici di Giudea e Samaria, Gerusalemme, i profughi, l’acqua, le disposizioni di sicurezza e altri problemi, rinviandone la soluzione a negoziati che avrebbero avuto luogo entro cinque anni (“periodo di transizione”). Gli artefici di Oslo avevano ingenuamente pensato che entro cinque anni le due parti sarebbero state in grado di giungere a un accordo sullo status definitivo. Il grande fallimento degli architetti di Oslo è che non avevano previsto negli accordi che cosa sarebbe successo se le due parti non avessero raggiunto un’intesa sullo status definitivo. Nel caso di scadenza degli accordi, tutto ciò che era stato sottoscritto sarebbe stato cancellato? Ciascuna delle parti sarebbe stata libera di fare ciò che voleva? Il fatto che gli accordi non abbiano previsto queste ipotesi è un segno di grave negligenza: se una persona affitta un appartamento, e l’inquilino non paga l’affitto, il contratto deve stabilire che cosa accadrà fra le parti, e quale sarà la soluzione. Senza una descrizione dettagliata di un procedimento di uscita, nessun accordo ha più valore. Nel luglio 1999 il “periodo transitorio” di cinque anni è finito senza il raggiungimento dello status definitivo, per cui gli accordi di Oslo sono ora sospesi, soggetti all’interpretazione di ognuna delle parti: i palestinesi sostengono che è loro diritto dichiarare unilateralmente uno stato, nonostante l’opposizione di Israele. I palestinesi perseguono il riconoscimento a livello internazionale, Israele si oppone ma non fa nulla per impedirlo. L’Autorità Palestinese getta discredito su Israele in ogni organismo internazionale, e Israele pensa che quando arriva una tempesta stia solo piovendo. Uno stato palestinese in Giudea e Samaria continuerà a essere ostile a Israele, dato che Israele non permetterà ai profughi del '48 di tornare a Jaffa e Netanya. Un tale stato potrebbe poi finire sotto Hamas poco dopo la sua nascita mediante elezioni, come è già avvenuto nel gennaio del 2006, o per mezzo di un violento colpo di stato, come è successo a Gaza nel giugno del 2007. Chi può garantire che questa ipotesi non si verificherà ? Chi può impedire che non nasca un patto di alleanza con l’Iran? I politici che controllano l’Autorità Palestinese non sono veri leader, quindi è possibile che un movimento come quello di Hamas possa conquistare e rovesciare la Palestina poco dopo che essa si sia resa Stato indipendente; la domanda che sta di fronte a Israele e al mondo è: dovremmo essere complici di tale scenario?
Chiaramente, l’Anp esiste solo grazie a tre fattori: l’IDF (esercito di difesa d’Israele), che la protegge e controlla l' opposizione, i sussidi che riceve a livello internazionale, preziosi come il sangue per le vene, e il trattato economico con Israele. Senza queste tre componenti l’Anp collasserebbe in un solo giorno, come un palloncino punto da uno spillo. Il popolo arabo s’identifica con l’Anp solo fino a quando dimostrerà di essere politicamente ed economicamente utile, e se ne sbarazzerà non appena finirà di essere un’agenzia di collocamento, il più grande fornitore di monodopera . La soluzione realistica Il popolo arabo in Giudea e Samaria resta sostanzialmente fedele alla tribù, non all’etnia nazionale araba o alla propaganda palestinese. In questo non è diverso dagli altri paesi arabi che circondano Israele, le “Terre del Mashreq (Oriente)”: Giordania, Siria, Iraq e Libano. Anche il fatto che i regimi del Medio Oriente sono per lo più dittature, deriva dal fatto che la maggior parte della popolazione vede il proprio sovrano o presidente come illegittimo. È giunto il momento in cui Israele deve smantellare il quadro artificiale e illegittimo chiamato “Autorità Palestinese” e sulle sue rovine istituire otto entità, una a Gaza, che è già in essere da cinque anni, e altre sette nelle città della Giudea e Samaria. Israele dovrebbe annettere il territorio rurale e offrire la cittadinanza agli abitanti dei villaggi. Dal punto di vista demografico questa soluzione non rappresenta un problema, e dal punto di vista della sicurezza è una condizione necessaria perchè Israele possa essere in grado di esistere in un Medio Oriente così turbolento e instabile, dove non vengono rispettati i trattati, dove la Giordania potrebbe andare in pezzi con la formazione di uno Stato palestinese e uno beduino,dove l’Egitto sta diventando sempre più islamizzato, dove la Siria si sta disintegrando per diventare uno stato di terroristi e dove il Libano potrebbe cadere totalmente sotto il controllo di Hezbollah. Un ritorno alle linee dell’armistizio del ‘49, che significherebbe abbandonare la valle del Giordano e ritirarsi dal crinale della montagna, sarebbe un suicidio per Israele. C’è da sperare che i nostri leader scelgano di tutelare l’interesse di Israele a lungo termine piuttosto che preferire quella calma artificiale, superficiale che Israele acquista da “contraente”dell’Anp a costo di centinaia di milioni di shekel e dollari. Il riconoscimento internazionale di uno Stato palestinese potrebbe perpetuare il disastro di Oslo, e sarebbe molto difficile aver a che fare con un tale stato dopo che sia stato dichiarato e riconosciuto. Non è ancora troppo tardi per impedire la creazione di un secondo stato di Hamas, questa volta in Giudea e Samaria, e ogni giorno che passa senza che venga smantellata l’Anp, avvicina Israele ad una situazione più difficile, una vera minaccia esistenziale, che uno stato di Hamas può far nascere in Giudea e Samaria. Un buon anno a tutti e l’augurio di essere iscritti nel Libro della Vita. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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