Quando la cronaca ci fa conoscere ciò che accade intorno a noi meglio di una pur dotta analisi. Su LIBERO di oggi, 29/09/2012, a pag. 17, con il titolo " Discriminata perchè bianca: quote nere a rischio", Alessandro Carlini racconta la storia di una studentessa americana discriminata perchè.. bianca. Ovvero, come combattendo una discriminazione se ne favorisce un'altra.
Ecco il pezzo:
Abigail Fisher
Per ironia della storia, proprio mentre alla Casa Bianca c’è il primo presidente nero, rischia di avere i giorni contati la legge che agevola l’ingresso degli studenti afro-americani (ma anche ispanici o di altre minoranze etniche) nelle università degli Stati Uniti. E tutto potrebbe finire proprio dove è cominciato, 50 anni fa, quando la Corte suprema degli Stati Uniti ordinò all’Università del Texas di ammettere un ragazzo di colore alla sua facoltà di legge. La più alta corte il prossimo mese esamina il ricorso di una ragazza bianca, respinta nel 2008 proprio dall’ateneo che ha sede ad Austin. La giovane si chiama Abigail Fisher, ha sfidato i principi che regolano le domande d’ammissione, sostenendo di essere stata scartata perché bianca e di aver subito un torto in aperta violazione della Costituzione e delle leggi federali che assicurano la piena uguaglianza di tutti i cittadini. GIUDICI DI DESTRA Un caso, come tanti altri, di razzismo al contrario, dovuto all’esistenza delle «quote nere» che assicurano un accesso semplificato alla popolazione di colore e anche agli ispanici. E gli altri stanno a guardare. «Selezionare chi beneficerà dei pochi posti disponibili nelle università ha delle conseguenze enormi», ha sottolineato la Fisher. Enormi potrebbero essere le conseguenze anche del suo caso per la selezione degli studenti nelle università americane, pubbliche e private, nel caso la corte le desse ragione. E le possibilità ci sono tutte, visto che a comporla sono soprattutto giudici conservatori, dopo l’arrivo dei due nominati da George W. Bush, John Roberts e Samuel Alito. Verrebbe di fatto spazzato via il principio dell’affirmative action, che proprio da 50 anni, ai tempi in cui le discriminazioni razziali erano ancora molto forti, permise l’ingresso degli studenti neri nelle università. Se però Barack Obama è arrivato alla Casa Bianca non si capisce perché questa via agevolata debba restare tale e quale. Il caso della Fisher è poi emblematico. L’università del Texas - statale - aveva deciso di ammettere ai propri corsi, per il 10% dei posti, i migliori studenti texani fra i diplomati nelle High School, i licei. Quindi ha organizzato una graduatoria in cui contavano i voti scolastici, le esperienze di volontariato, quelle lavorative e le capacità di leadership. Secondo la ragazza se fossero valsi solo i dati legati alla persona sarebbe stata ammessa. Invece è stata superata solo da ragazzi di colore: insomma, sbattuta fuori perché bianca. Il rischio di un cambiamento epocale ha spinto anche la Casa Bianca a dire la sua. Soprattutto perché dalla Corte suprema potrebbe arrivare un colpo letale a poche settimane dalle elezioni presidenziali. E Obama avrebbe ancora più problemi a vincere con lo smacco di aver fatto decadere un principio tanto importante per la comunità nera. L’ammi - nistrazione ha quindi ricordato ai giudici che la diversità è proprio la forza del Paese e ha strappato anche il consenso di alcune multinazionali. PARITÀ DI DIRITTI Non sarà di certo un alleato di Obama l’unico afro-americano che fa parte della corte, Clarence Thomas. Le sue posizioni conservatrici sono ben note agli americani, soprattutto quando si parla di minoranze etniche. Nel 2003 si era schierato contro l’affirmative action proprio in un caso simile, riguardante l’università del Michigan. Thomas votò contro la maggioranza dei colleghi che invece avallarono, con prudenza e moderazione, la politica delle preferenze razziali adottata dall’ateneo. «Voglio vedere che tutti gli studenti abbiano successo a prescindere dal colore della pelle», affermò Thomas, che, a dire il vero, ha fatto strada nel mondo del diritto anche grazie alla politica delle quote. Venne, invece, abrogato un programma «a punti» di più ampio respiro adottato dall’università: concedeva agli studenti neri, ispanici e indiani americani un vantaggio di 20 punti su un totale di 150 necessari per conquistare l’accesso. L’affirmative action, nelle scuole e nei posti di lavoro, è già stata abolita da alcuni Stati che si sono mossi in modo autonomo. Si tratta di California, Michigan (nel 2006) e Washington, che si sono così opposti al principio introdotto dal presidente John F. Kennedy nel 1961.
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