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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.09.2012 Satira e negazionismo non sono la stessa cosa
ma Sergio Romano li mette sullo stesso piano

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 settembre 2012
Pagina: 49
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Il rispetto della religione e il diritto di espressione»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/09/2012, a pag. 49, la risposta di Sergio Romano a due lettori dal titolo " Il rispetto della religione e il diritto di espressione ".


Sergio Romano

Sergio Romano scrive : "Vi sono Stati che invocano il diritto di espressione quando è in gioco la reputazione dell'Islam, ma lo negano a coloro che mettono in discussione l'esistenza del genocidio ebraico o dei massacri armeni. ". Quello di fare satira sull'islam (come su qualunque altra religione, o persona, o istituzione, o carica pubblica, ...) è un diritto che, nelle democrazie, va garantito. Lo scrive Romano stesso nel finale della sua risposta, la libertà d'espressione prima di tutto, la censura non è accettabile.
Ma è impossibile equiparare, come fa Romano, la satira sull'islam al negazionismo. Quest'ultimo è una menzogna. Negare la Shoah non ha nulla a che vedere con la libertà d'opinione o di espressione.
Ecco lettere e risposta:

Non riesco a capire perché, in caso di mancanza di rispetto alla religione islamica, quasi tutti i cosiddetti «opinion leader» critichino fortemente gli autori di queste mancanze, anche se mascherate da opere artistiche o libertà di opinione; mentre in caso di mancanza di rispetto della religione cristiana, se c'è qualche reazione, si fa immediato appello alla libertà di espressione e di ogni diritto di manifestazione in nome della libertà assoluta. Vorrei una sua opinione sul perché media, politici italiani e stranieri e figure istituzionali hanno condannato il film «blasfemo» sull'Islam, condanna su cui personalmente sono in accordo, ma, pochi giorni orsono, si sono sperticati a difendere le Pussy Riot.
Paolo Cioni
cioni.p@alice.it

L'uccisione a Bengasi dell'ambasciatore Usa e di altre persone, anche libiche, è stata la conseguenza — così dicono i media — dell'immissione in rete di un film blasfemo sulla vita di Maometto. C'è da chiedersi: com'è possibile che venga lasciata senza controlli una siffatta pericolosa e imperdonabile superficialità, foriera di conseguenze tragiche e in grado, da sola, di scuotere i già deboli equilibri internazionali? Oggi si è trattato di offendere il sentimento di vaste comunità religiose, ma domani — se queste iniziative non verranno sottoposte a controllo preventivo (salvaguardando, è ovvio, la libertà di espressione) — le conseguenze nefaste potranno ripetersi anche su scala più vasta.
Lorenzo Milanesi, Milano

Cari lettori,

A Paolo Cioni rispondo in primo luogo che non tutti i difensori delle Pussy Riot hanno condannato il film «blasfemo» sul profeta Maometto prodotto in California e parzialmente diffuso su YouTube. Ma è probabilmente vero che siamo tutti, più o meno, colpevoli di una certa parzialità. Molti cattolici hanno reagito con indignazione e con rabbia all'uso del crocifisso in un film presentato recentemente al Festival di Venezia. Ma non hanno dato prova della stessa indignazione quando hanno appreso che il Maometto del breve film californiano è rappresentato come un incallito donnaiolo.
Vi sono parecchie persone che detestano Vladimir Putin e sono disposte a chiudere gli occhi su un balletto sacrilego se è diretto contro il «tiranno», ma non sono necessariamente irreligiose e anticlericali. Vi sono Stati che invocano il diritto di espressione quando è in gioco la reputazione dell'Islam, ma lo negano a coloro che mettono in discussione l'esistenza del genocidio ebraico o dei massacri armeni. Altri Stati censurano la proiezione di un film contro l'Islam, ma tollerano gruppi che non esitano a manifestare le loro nostalgie naziste. Dietro la nostra apparente obiettività vi sono sempre le nostre passioni, le nostre lealtà nazionali e religiose, i nostri interessi politici.
Esistono formule più eque e obiettive per affrontare questi problemi in una prospettiva democratica? Credo occorra partire dalla premessa che l'abolizione della censura è una conquista democratica a cui non dobbiamo rinunciare. L'improvvisa apparizione del film californiano sulla rete ha provocato disordini e vittime. Ma il ritorno alla censura preventiva darebbe a molti governi il diritto di decidere quali film e libri i loro cittadini abbiano il diritto di vedere e leggere. Gli interventi possono aver luogo soltanto dopo il fatto e devono essere seriamente motivati dalla necessità di evitare nuovi disordini e nuove vittime. Possiamo trattare un'opinione alla stregua di un reato soltanto quando i rischi sono visibili e tangibili. So che questo atteggiamento può comportare molti inconvenienti, ma fra i danni possibili la perdita della libertà mi sembra il peggiore.

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lettere@corriere.it

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