Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 27/09/2012, a pag. 16, l'articolo di Alessandra Farkas dal titolo " Morsi: più comprensione tra Paesi islamici e mondo ", preceduto dal nostro commento, a pag. 17, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo "Cancellati i murales della rivoluzione " .
Ecco i pezzi:
Alessandra Farkas - " Morsi: più comprensione tra Paesi islamici e mondo"
Prevedibile il contenuto del discorso di Morsi, il quale ha esordito definendosi : "il primo civile egiziano eletto democraticamente dopo una rivoluzione pacifica acclamata dal mondo intero". Eletto democraticamente, certo. Anche Hitler venne eletto democraticamente. Questo non cancella il fatto che la sua fu una dittatura che non aveva nulla di democratico, a partire dalle leggi razziali, i rastrellamenti, il genocidio degli ebrei, la censura, campi di concentramento anche per oppositori politici e omosessuali.
Ovviamente non è mancato il riferimento alla questione palestinese. Morsi rivendica la nascita di uno Stato palestinese con capitale Gerusalemme e attribuisce a Israele la responsabilità del fatto che i palestinesi non abbiano uno Stato.
Niente di particolarmente interessante nemmeno nel discorso di Ahmadinejad, che ha suscitato un'attenzione pari quasi a zero sui quotidiani italiani: poche righe nella cronaca di Farkas, una breve su Libero, una cronaca asettica di Francesco Semprini sulla Stampa.



Mohamed Morsi, Mahmoud Ahmadinejad, Alessandra Farkas
NEW YORK — La primavera araba debutta all'Onu. Sono ben quattro — Egitto, Libia, Yemen e Tunisia — i Paesi arabi che, reduci da rivoluzioni spesso sanguinose che hanno detronizzato la vecchia guardia, si presentano alla 67esima Assemblea generale dell'Onu con nuovi leader democraticamente eletti, ansiosi di rassicurare il mondo sulle loro credenziali moderate e delineare la nuova politica estera dei rispettivi governi.
Tutti i riflettori ieri erano puntati sull'esordio dell'islamista Mohammed Morsi, esponente dei Fratelli musulmani, e del presidente dello Yemen, Abed Rabbo Mansour Hadi, che sono riusciti a oscurare il discorso del presidente iraniano Ahmadinejad, il suo ottavo ed ultimo all'Onu, definito «meno farneticante del previsto» e «smorzato» da Cnn e New York Times. (Il debutto Onu dei leader libico e tunisino è previsto per oggi). «Sono il primo civile egiziano eletto democraticamente dopo una rivoluzione pacifica acclamata dal mondo intero», ha esordito Morsi, interrotto dagli applausi. Auspicando una maggiore collaborazione tra Paesi musulmani e occidentali, Morsi ha lanciato un appello a «lavorare insieme per affrontare l'estremismo, le discriminazioni, l'incitamento alla violenza, l'odio basato su religione e razza». Il presidente egiziano ha dedicato gran parte del suo intervento alla crisi siriana e alla questione palestinese. «Il massacro e la crisi umanitaria in Siria vanno fermati», ha affermato, dicendosi «contrario a un intervento militare internazionale in Siria», ed ha rinnovato il suo sostegno ai ribelli e all'inviato Lakhdar Brahimi «per arrivare a una transizione democratica del potere», attraverso libere elezioni.
Intervenendo sul conflitto israelo-palestinese, Morsi ha definito «vergognosi» gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi. «Il mondo deve fare tutti gli sforzi possibili per risolvere il problema palestinese in maniera giusta e dignitosa», ha proseguito, auspicando «la fine immediata della colonizzazione», e la «costruzione di uno Stato palestinese indipendente con capitale Gerusalemme». Morsi ha lasciato al suo portavoce Yasser Ali il compito di chiarire che «per il momento non è necessario emendare il trattato di pace siglato da Egitto e Israele nel 1979», dopo che giorni fa un suo collaboratore aveva affermato che era necessario cambiare gli accordi per modificare la clausola sulla smilitarizzazione del Sinai. Il debutto del leader egiziano arriva all'indomani dell'assalto all'ambasciata Usa al Cairo che ha spinto Barack Obama a definire l'Egitto «né un alleato né un nemico». Morsi aveva chiesto di essere ricevuto alla Casa Bianca, ma, data la delicatezza del momento, dovrà attendere fino a dopo le elezioni presidenziali Usa.
Palestina e Siria hanno dominato anche il discorso dello yemenita Hadi che ha assunto l'incarico nel febbraio scorso dopo più di un anno di proteste antigovernative nel Paese. Hadi si è appellato all'Onu affinché «riconosca ai palestinesi il pieno status di Stato membro» e ha sottolineato come «l'unica opzione per i nostri fratelli in Siria è accettare un'iniziativa per un cambiamento pacifico e per il trasferimento dei poteri tramite le urne elettorali».
Quando sul podio è salito Ahmadinejad, la delegazione americana aveva già abbandonato l'aula, in segno di protesta (quella israeliana era assente in osservanza dello Yom Kippur). Il presidente iraniano non ha rinunciato ai temi che da sempre gli stanno più a cuore. Dopo essersi scagliato contro «i sionisti incivili» e «i poteri egemonici» che «intimidiscono l'Iran e cercano di imporre le loro idee al resto del mondo», ha insultato persino chi lo ospitava. «Gli Stati che controllano il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite utilizzano il potere di veto e la discriminazione per dominare il resto del mondo», ha puntato il dito, aggiungendo che «non c'è più fiducia nell'autorità delle Nazioni Unite», che oggi «rappresentano gli interessi di una piccola minoranza di Stati».
Viviana Mazza - " Cancellati i murales della rivoluzione "

Uno dei murales cancellati
Gli imbianchini sono arrivati all'una di notte, mercoledì scorso, accompagnati da uomini della sicurezza, e hanno cominciato a cancellare quelli che per molti giovani del Cairo erano simboli sacri della rivoluzione: i graffiti di via Mohammed Mahmoud. In quella strada, vicino a piazza Tahrir, sono avvenuti molti degli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine sia prima che dopo la caduta di Mubarak nel febbraio 2011. L'allarme si è diffuso via sms e Twitter, e alcuni giovani sono subito accorsi a filmare gli imbianchini che spazzavano via i ritratti dei manifestanti uccisi, che abbattevano con ampie pennellate gli slogan e le battute contro l'esercito, il volto del generale Tantawi che si fondeva con quello di Mubarak, e poi i simboli musulmani, cristiani... «State cancellando la storia», ha protestato il padre di uno dei «martiri». All'alba si sono fermati. E la notte successiva non sono tornati a completare il lavoro, dissuasi dalla furia dei media.
Il governo dei Fratelli musulmani aveva deciso di abbellire piazza Tahrir: questa la spiegazione ufficiale. Ma, agli occhi dei giovani laici che lanciarono la rivolta contro Mubarak, è un tentativo di riscrivere la storia e di censurare i loro appelli a continuare la rivoluzione. «Quel muro testimonia tutto ciò che sta accadendo in Egitto. Ci ritroviamo ancora a lottare per poter criticare il presidente, mentre i martiri ritratti su quel muro sono morti per il pane, per la libertà, per la giustizia sociale», ha spiegato una ragazza. Le proteste dei laici si sono svolte a pochi isolati da quelle guidate qualche settimana fa da islamisti furiosi contro il film anti-Maometto: due facce del nuovo Egitto in competizione per definire la propria identità, inclusa la libertà di espressione.
Mentre ieri il presidente Morsi debuttava all'Onu, l'Unione dei giovani rivoluzionari, che pure a giugno l'aveva appoggiato, ha annunciato una manifestazione a piazza Tahrir tra due settimane, per valutare i suoi primi 100 giorni al potere: «Non ha mantenuto le promesse e non ha realizzato le rivendicazioni della rivoluzione». Intanto gli artisti sono tornati in via Mohammed Mahmoud per ricoprire i muri di nuovi graffiti, tra i quali spicca la faccia di Morsi. «Dipingete un fiore, un albero — ha detto loro un residente —. Da ogni provocazione nasceranno nuove provocazioni».
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