Il museo 'antiebraico' di Berlino e altri casi di odio di sé
Il museo ebraico di Berlino, Daniel Boyarin, Judith Butler
Noam Chomsky, Shlomo Sand, Theodor Adorno
Cari amici,
quando la pressione violenta su un piccolo gruppo aumenta e questo viene sottoposto a vessazioni non solo fisiche ma anche morali, è probabile che almeno qualcuno del gruppo ceda e si schieri dalla parte dei propri nemici, forse con la speranza molto illusoria di essere sottratto alle angherie che colpiscono i propri pari, certamente per allentare la tensione psicologica sentendosi dalla parte dei forti e dunque di chi “deve” aver ragione. E' il meccanismo della cosiddetta “sindrome di Stoccolma”, quando alcuni degli ostaggi di una rapina a una banca a lungo sequestrati dai rapinatori finirono col collaborare attivamente coi criminali; è una dinamica che si è ripetuta spesso nella storia del gruppo sociale più angariato nella storia europea, cioè gli ebrei: i convertiti a forza che parteciparono alle persecuzioni dei propri fratelli o almeno si schierarono dalla parte dei persecutori furono numerosi, dai vari informatori dell'Inquisizione, fino al caso Mortara, e così le varie vittime della discriminazione laica intorno ai tempi del nazismo che divennero antisemiti, da Otto Weininger a Simone Weil.
Oggi questo fenomeno è diffuso, soprattutto nel mondo intellettuale, in cui essere ebrei e dunque presumibilmente dalla parte di Israele è un grave danno e dunque gli intellettuali che vogliono far carriere, per cinico opportunismo o per fragilità “svedese” fanno a gara a schierarsi dalla parte dei nemici del lordo popolo. Sono cose che si sanno, ma vale la pena di tenersi aggiornati. E' il caso per esempio di quel Boyarin, di cui ieri Informazione Corretta ha pubblicato gli elogi esagerati del “Corriere della Sera” per la traduzione di un suo libro in cui questo confuso e ideologico commentatore di storia ebraica antica secondo i moduli dei cultural studies (non uno storico vero e proprio, dunque, né tanto meno l'”autorità rabbinica” che il “Corriere” gli attribuisce), contesta la data della divisione fra cristiani ed ebrei. Boyarin è un antisionista militante, un accanito nemico dello stato di Israele, che per lui non doveva essere fondato e andrebbe rimosso. Ma come capita a Shlomo Sand e a molti altri “storici”, trasferisce il suo odio per l'Israele attuale indietro nella storia. Qui contro ogni evidenza, contro la lettera dei Vangeli e degli Atti (il sogno di Pietro...) e le lettere di Paolo, cerca di trasferire la rottura fra le due religioni al IV secolo o dopo, in nome di un ebraismo indefinito, senza confini e senza credenze proprie, “nomadico”, indistinguibile dal Cristianesimo e magari anche dal marxismo ante litteram. Tutto pur di negare l'identità ebraica che Boyarin odia nell'Israele attuale.
Un altro caso del genere è quello di Noam Chomski, celebre linguista, che ha fatto di recente l'ennesima conferenza a Trieste accusando di ogni male Israele e Stati Uniti, colonialisti nemici dei bravi arabi che vogliono solo liberarsi dal loro peso. Il caso più interessante è quella di Judith Butler, una studiosa americana di femminismo e cultural studies, che negli ultimi anni si è dedicata a sostenere il boicottaggio contro Israele, facendo confuse, ma in sostanza benevole dichiarazioni sul carattere popolare di movimenti terroristi come Hamas e Hizbullah. Alla Butler, puntualmente, la Germania, che proibisce la circoncisione, ha assegnato il suo premio culturale più prestigioso, quello assegnato a Francoforte in memoria di Adorno (http://spme.net/articles/8830/4/19/Frankfurt-to-award-US-advocate-of-Israel-boycott.html). Ne è nata una polemica molto dura contro il premio (http://spme.net/articles/8843/4/19/Judith-Butler-and-the-politics-of-hypocrisy.html; http://spme.net/articles/8875/4/19/Frankfurt-ripped-for-honoring-scholar-who-backs-Israel-boycott.html) e contro la stessa Butler (http://spme.net/articles/8871/4/19/Judith-Butler-renounce-the-Adorno-Prize.html; http://spme.net/articles/8837/2/4/SPME-Statement-on-awarding-Judith-Butler-the-Adorno-Prize.html), che peraltro ha rifiutato qualunque critica in termini fortemente provocatori (http://spme.net/articles/8876/2/5/Judith-Butler-responds-to-attack-%91I-affirm-a-Judaism-that-is-not-associated-with-state-violence.html), provocando una grande discussione nell'accademia americana.
Ora, un premio dedicato a un intellettuale mezzo ebreo il quale a sua volta scelse di rinunciare al nome ebraico del padre Wisengrund per privilegiare quello ariano della madre francese Adorno e che benché certamente antifascista e nemico dell'antisemitismo fu certamente poco sensibile alla cultura e all'identità ebraica, può far parte della storia della contrapposizione fra ideologia marxista ed ebraismo, che non risale alla Guerra dei Sei Giorni bensì allo stesso Marx ed ha caratterizzato in diversi modi, spesso sotto la forma di “svedese” odio di sé, tutta la storia del “movimento operaio”. Dunque la questione potrebbe essere analizzata nella categoria del grande equivoco della borghesia europea della modernità, certamente non solo ebraica, che ha colto nel marxismo solo gli elementi di liberazione proclamati propagandisticamente e non l'oppressione reale e concreta degli individui e delle identità collettive (http://spme.net/articles/8862/4/19/Judith-Butler-the-Adorno-Prize-and-the-Moral-State-of-the-Global-Left.html).
La cosa cambia aspetto però se si considera che subito dopo il premio contestato, chi ha festeggiato Judith Butler con una serata di propaganda per il boicottaggio di Israele è stato il Museo ebraico di Berlino (http://www.jpost.com/JewishWorld/JewishFeatures/Article.aspx?id=285289). Un museo ebraico, peggio un museo ebraico in Germania che contribuisce all'estensione allo stato di Israele del vecchio boicottaggio nazista (“Kauft nicht bei Juden!”) è veramente il massimo della sindrome di Stoccolma. E infatti qualcuno ha proposto di ribattezzarlo col nome di “Museo anti-ebraico di Berlino”. Mi associo.
Ugo Volli