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La Repubblica Rassegna Stampa
24.09.2012 Nazismo, com'è stata possibile la sua diffusione ?
La risposta nei libri di George Mosse, di Alessandro Baricco

Testata: La Repubblica
Data: 24 settembre 2012
Pagina: 64
Autore: Alessandro Baricco
Titolo: «Sarà banale, ma la domanda sul nazismo è quella: ma come è stato possibile? Mosse dà una risposta»

Riportiamo da REPUBBLICA del 23/09/2012, a pag. 64, l'articolo diAlessandro Baricco dal titolo "Sarà banale, ma la domanda sul nazismo è quella: ma come è stato possibile? Mosse dà una risposta".


George Mosse,


 le copertine di alcuni suoi libri

Per leggere la scheda su George Mosse in Libri Raccomandati, a cura di Giorgia Greco, cliccare sul link sottostante
 http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=30102

Sarà anche banale, ma la domanda, pensando al nazismo, e ancora sempre quella: ma come è stato possibile? Com’è potuto succedere proprio nel cuore della vecchia, civile, raffinatissima e colta Europa? E soprattutto: come ha fatto a essere sinceramente nazista gente molto normale, di buon senso, medici da cui ti saresti fatto togliere senza problema le tonsille, vicini di casa che alle assemblee di condominio portavano la torta fatta nel pomeriggio, simpatiche domestiche a cui avresti affidato i tuoi figli senza neanche pensarci un attimo? Che razza di follia li aveva colpiti? Il libro di Mosse dà una risposta a questa domanda, e io devo registrare il fatto che nessuna risposta, mai, mi è sembrata pacata, intelligente, credibile, come la sua. Se la dovessi riassumere brutalmente la pronuncerei così: non era una follia, era l’adesione appassionata a un’ideologia che, magicamente, componeva ideali e convinzioni che da un sacco di tempo erano in circolo nel sistema sanguigno della sensibilità tedesca. Non era una malattia mentale, ma una costruzione mentale i cui ingredienti venivano da molto lontano. Per capire il nazismo bisogna capire quasi due secoli di menti tedesche. Se uno lo fa, e Mosse l’ha fatto, scopre i tanti affluenti che, spesso senza saperlo, portarono acqua al fiume devastante del nazismo, venendo giù dalle vette o dalle colline della sensibilità tedesca: tutta la tradizione romantica, una certa vena mistica, le fantasticherie antico-germaniche, il culto della natura, certe bizzarre teorie su razze e destini, il nazionalismo patriottico cresciuto a dismisura nel lungo parto della Germania unita, l’istinto a trova- re sicurezza nel sentirsi un popolo prima ancora che degli individui, la tentazione dell’antisemitismo, il culto per certe forme di élite dorata, la teorizzazione della gioventù come fuoco sacro dove ricomporre la purezza dell’esistere, Nietzsche e Hölderlin, il nudismo e il mito del paesaggio contadino, il culto della bellezza maschile e la passione per il canto polifonico: c’era già tutto, nell’incubatrice tedesca, e da un sacco di tempo. Ma va anche capito che ciascuna di quelle tessere, di per sé, non aveva affatto il nazismo come necessario e inevitabile epilogo: come biglie sul panno della Storia potevano rotolare un po’ dappertutto. Quel che fece il nazismo fu infilarle tutte nella stessa buca, dando forma a un sintetico sistema mentale e poi politico che blindava tante passioni tedesche nell’ordine sferico di un unico proiettile di piombo. Per dire: Nietzsche – un pensatore in cui il nazismo trovò un sacco di legna da ardere – io, cinquant’anni dopo, l’ho studiato sui banchi dell’università come padre nobile del pensiero debole: giuro che era abbastanza di sinistra. Analogamente, va detto che molti dei protagonisti di quei movimenti di pensiero, se mai fossero vissuti davvero sotto il nazismo sarebbero certamente finiti in galera o in esilio: in certo modo portarono i mattoni per la costruzione di una prigione che se li sarebbe facilmente ingoiati. Con questo non voglio dire che i tedeschi erano tutti buoni e che solo i nazisti erano cattivi: voglio dire «Guarda la meraviglia della storia della cultura, e come carambolano le idee, e che spettacolo straordinario è quello degli umani che seminano idee e passioni che poi qualcuno miete riempiendo i granai della Storia: spesso di cibo avvelenato». Naturalmente, di fronte a questo spettacolo, qualcosa bisognerebbe imparare, tanto per evitare di rifare gli stessi errori. E qui è più complicato. Cosa si impara da Mosse? Cosa mette allo scoperto, lui, che possa aiutarci a non sbagliare la prossima volta? Io, personalmente, ho imparato una cosa, statistica: tutti i movimenti di pensiero che, in un modo o nell’altro, finirono per comporre l’ideologia nazista nacquero come ribellione a una qualche modernità. Nascevano tutti dall’idea che l’incursione di un repentino futuro stava svuotando l’umano dei suoi principali valori, strappandolo via dalla sua autenticità. Naturalmente l’idea non era idiota: in effetti spesso il progresso spinge l’uomo lontano da se stesso. Ma il tipo di reazione era molto meno condivisibile: l’istinto era quello di ripristinare una certa purezza dell’umano, mettendolo al riparo dalle mutazioni dettate dal tempo. Così, quello che alla fine mi è parso di imparare da Mosse, è un verdetto che bisognerebbe prendere sul serio: fino a quando ancora sarà percepibile il riverbero dell’apocalisse novecentesca, dovrebbe essere categorico, per gli umani, non ripetere l’errore di inchiodarsi davanti alla modernità e di sospenderla nel tempo vuoto, e pericolosissimo, di un ritorno alle origini. L’ultima volta che ci siamo riscaldati al tepore di una simile utopia abbiamo combinato un disastro colossale. Non potremo certo fare di peggio, se solo accetteremo qualsiasi modernità come un campo aperto in cui mettere in gioco ciò in cui crediamo. Non un baratro davanti a cui fuggire, ma una mappa appena accennata, in cui sarà un privilegio trascrivere i nostri nomi, tutta la nostra storia e ogni bellezza che abbiamo conosciuto.

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