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All’improvviso bussano alla porta Etgar Keret
La forma-racconto è quella prediletta da Keret (che i lettori conoscono da noi grazie alle edizioni e/o, fin da Papà è scappato col circo , 2003), l'effetto prevalente è il grottesco o piuttosto situazioni di teatro da camera, tra la sit e la slapstick comedy la cui mobilità vertiginosa ami naufragare, fatalmente, in sentori di malinconia. Lo confermano ora i brevi racconti, una quarantina, contenuti in All' improvviso bussano alla porta (Feltrinelli) di cui Alessandra Shomroni sa rendere adeguatamente in italiano i bruschi dislivelli linguistici e stilistici e cioè una polifonia ai limiti del virtuosismo. La vita quotidiana in Israele, il governo e la televisione, i coloni ultrareligiosi e i palestinesi, insomma tutti quanti i vissuti reali e immaginari dell'individuo medio e globalizzato che si trovi a vivere in un posto ad alto tasso di conflittualità e di relativa drammatizzazione: sono i temi e gli spunti da cui Keret deduce a man salva la materia prima che poi liberamente ordisce contaminando il nero e il rosa così come gli schemi dell'apologo, dell'aneddoto o dello script da sceneggiatura. Ad essere davvero inconfondibile prima che la sua pagina è la sua stessa voce e perciò prima che uno scrittore in senso stretto egli appare un ottimo performer (più vicino a un Moni Ovadia che a un Englander, appunto) in quanto preferisce rivolgersi a lettori che siano anche e soprattutto spettatori della sua inventiva sbrigliata. Infatti mette volentieri in scena se medesimo e a costoro non dà tregua colpendoli a raffica e insieme vincolandoli con trovate che sanno di complicità e di intesa. Peraltro diverte e dà la netta sensazione che anche lui si diverta, tanto la vena è feconda, dirompente, esilarante, quanto per parte sua Etgar Keret è abile, imprevedibile, instancabile. Certe volte anche troppo.
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