Su LIBERO di oggi, 23/09/2012, a pag. 19, con il titolo "I capi libici scatenano la folla contro i terroristi", Carlo Panella commenta la rivolta di Bengasi fra 'estremisti' e 'governativi'. Un titolo che ci pare alquanto azzardato, se ripensiamo all'attacco al consolato americano, alla barbara fine dell'Ambasciatore (impalato !), il tutto durato ore senza che le forze 'governative' intervenissero. Se ne accorgono ora, forse dopo aver valutato il danno economico che potrebbe derivare dal mancato arrivo dei dollari americani. Panella mette in luce questo aspetto, ma chi ha confezionato la pagina ha messo un titolo senza aver letto l'articolo.
Carlo Panella
La Libia precipita a grande velocità verso una situazione somala, con un di più di follia senza pari. Quanto è successo ieri a Bengasi non ha precedenti e fa presagire giorni sempre più neri. Incapaci di affrontare il gruppo terrorista responsabile dell’assassinio dell’ambasciatore Usa Chris Stevens, la polizia e le autorità libiche non hanno trovato di meglio che promuovere una grande manifestazione popolare che facesse quel che non sono in grado di fare. Dietro lo striscione «Bengasi è in trappola », incitati da agenti di polizia e agenti dei servizi, trentamila manifestanti - che scandivano slogan eloquenti «No alle milizie!», «Ma dov’è l’esercito?» - hanno assaltato la sede di Ansar al Sunna, mentre «qualcuno» rafforzava la pressione della folla con opportuni lanci di razzi e colpi di mitragliatrice. Ovviamente hanno trovato resistenza - 4 i morti, decine i feriti - ma alla fine gli assediati hanno capitolato e la loro sede è stata saccheggiata. Iniziativa non esattamente da Stato di Diritto, ma l’obiettivo dei governanti «democratici» della nuova Libia format Nato è stato comunque conseguito. Ma qualcosa non ha funzionato secondo i piani delle autorità libiche. Distrutto il covo dei miliziani terroristi, i manifestanti si sono infatti diretti contro le sedi della «Brigata 17 febbraio » e della milizia «Scudo della Libia», organizzazioni paramilitari, fedeli al governo. Inutili gli sforzi degli agenti di ricondurre la folla nell’alveo della ben strana legalità del post-Gheddafi. Anche queste due sedi sono state espugnate e conquistate. Non basta. Ringalluzziti dal successo, i manifestanti hanno assaltato - sempre con razzi e mitragliatrici sapientemente manovrati da «quacuno» - la caserma governativa Raf Allah al Shati. Qui, i militari hanno reagito con forza e dopo due ore di battaglia sul terreno sono rimasti altri 4 morti e 40 feriti. Un caos dalle tinte medioevali, la prova provata che la «nuova Libia » costruita a suon di bombardamenti Nato è un monstrum ingovernabile. Così come è peggio che ingovernabile, quella Bengasi, culla della rivolta, per la cui liberazione intellettuali alla Bernard Henry Lévy, saldamente installati al Café Flore di Saint-Germain-des-Prés a Parigi, tanto hanno parlato e lanciato appelli. Un lavorìo mediatico, una mobilitazione corale delle «anime belle» del mondo politically correct che - assieme a ben più solide ragioni petrolifere e inconfessabili mire elettorali - ha convinto politici incauti come Sarkozy, Cameron e Obama a combattere e vincere dall’aria con i bombardamenti Nato una guerra contro Gheddafi che i ribelli, deboli e divisi, non sapevano che perdere sul terreno.Passati mesi e mesi dalla fine della guerra una sola cosa è ora chiara: i pozzi hanno ripreso a funzionare e a pompare petrolio e metano nelle pipelines, ma il Paese, la Libia, tutt’attorno, è peggio che nel caos. Non un esercito, non forze di polizia, non tribunali, carceri in cui si pratica la tortura, città e piazze in mano ai «katiba» i miliziani dei vari Signori della Guerra che si sono spartiti il territorio. Un quadro somalo, appunto. Un disastro confermato dallo stesso ministro degli Interni libico Fawzi Abdellahi, che da una parte si è congratulato con i manifestanti per l’assalto a quella sede di Ansar al Sunna che le sue forze regolari non si sognavano neanche di poter intraprendere. Dall’altra, però ha stigmatizzato i «provocatori» tra i quali ha citato anche «agenti dei Servizi» (che in teoria proprio a lui dovrebbero rispondere), che «vogliono il caos e la sedizione». Appunto.
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