Su SHALOM , settembre 2012, a pag. 14, con il titolo " La bomba dell'Iran: attaccare o aspettare che esploda ?", Angelo Pezzana racconta come la società israeliana vive nell'attesa di conoscere che cosa avverrà in merito alla decisione se attaccare preventivamente oppure no.
Ecco il pezzo:
Angelo Pezzana
Come vive Israele in questi mesi prima di qualcosa che la maggior parte delle persone al mondo immagina che dovrà, prima o poi, succedere ? E’ Iran la parola che viene pronunciata senza particolare enfasi, il che non vuol dire venga sottovalutata. Anzi. Il pericolo che minaccia oggi Israele è persino superiore a quello rappresentato dall’invasione degli stati arabi durante la Guerra di Indipendenza (1948) e dalla Guerra dei Sei Giorni (1967). Su questo sono ormai tutti d’accordo, hanno assunto un’altra dimensione persino le barriere che segnano abitualmente il dibattito politico, destra e sinistra, laici e religiosi, persino la questione palestinese è retrocessa a un problema che prima o poi troverà una soluzione, dipenderà se prevarranno i pragmatici oppure gli eredi ideologici di Arafat, anche se, in quanto a delegittimazione dello Stato ebraico, tra Anp e Hamas, non è facile collocarli politicamente in un campo o nell’altro.
L’Iran è al centro di tutto, lo si avverte dalle analisi la cui impostazione spesso va in senso opposto alla linea politica del giornale che le ospita, come così come vi sono posizioni in campo militare e dell’intelligence che contrastano con altre della stessa provenienza. Tutto questo però senza che vi siano differenze sostanziali sulla definizione di pericolo. Possono variare le indicazioni su come valutarne l’urgenza, ma sono aspetti secondari di quel qualcosa che ha un nome preciso: guerra.
Guerra contro le installazioni nucleari iraniane, dopo che tutte le opzioni, diplomatiche ed economiche, si sono dimostrate fallimentari. Su questo tutti sono d’accordo, anche se gli scenari che si presentano sono ancora confusi. Il ritardo causato da chi era sicuro dell’efficacia delle sanzioni, è oggi il maggiore ostacolo ad una linea che possa essere accettata dalle forze sul campo. Si è sprecato del tempo prezioso in viaggi e chiacchiere, pur se ai massimi livelli. E’ quindi superfluo affermare oggi che bisognava creare le condizioni di un attacco preventivo un anno fa. Chi lo sosteneva veniva etichettato quale guerrafondaio, il credito lo avevano solo quelli che tranquillizzavano le coscienze dicendo che la guerra – non lo chiamavano attacco preventivo – avrebbe avuto un effetto sconvolgente proprio sui paesi che l’avessero messo in atto, Israele per primo. La sola idea di un ordigno nucleare su Israele, la catastrofe che ne sarebbe conseguita, arrivando alla dissoluzione dello Stato, bloccava quasi del tutto il dibattito.
In Usa, la dottrina Obama, pur continuando ad essere conclamata in difesa di Israele, non prendeva atto che, mentre l’Occidente spendeva il tempo in previsioni inutili, i mullah iraniani, forti dall’aver avuto via libera nell’opprimere con inaudita crudeltà il proprio popolo dalla viltà della politica americana, proseguivano a grande velocità il programma dell’arricchimento dell’uranio, al punto che oggi l’opinione degli scienziati americani e israeliani concorda nel dare quale ultimo termine per un intervento l’anno in corso. Se qualcosa avverrà, dipenderà però dal solo Israele, perché gli Stati Uniti, con le elezioni presidenziali il prossimo novembre, non saranno in grado di prendere nessuna decisione – non importa chi ci sarà alla Casa Bianca – se non nel prossimo marzo. Troppo tardi per una azione che abbia serie possibilità di mettere fuori uso il potenziale nucleare iraniano.
L’attacco va dunque fatto, su come realizzarlo, chi dovrà condurlo, quali stati dovranno appoggiarlo, è ciò di cui si sta discutendo in questi mesi. L’America ha capito in ritardo che l’Iran è anche oggi, attraverso i legami stretti con il terrorismo internazionale, il nemico numero uno dei suoi interessi nazionali. La sua antica volontà isolazionista, torna a galla nei momenti difficili, che ricordano la ventata pacifista che investì l’Europa degli anni ’30, e fu la causa della seconda guerra mondiale. Obama dovrebbe studiare la tragica figura di Chamberlain, che ne fu il massimo rappresentante. Dubitiamo che rientri però nei suoi interessi, vista la linea assunta fin dall’inizio della sua presidenza nei confronti dell’islam.
La frase che convince e rassicura gli israeliani è “ Israele e forte e responsabile,e farà ciò che va fatto”. E’stata pronunciata tutta l’estate, mentre ai suoi confini succedeva l’inferno.
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