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Sic Transit Gloria Mundi: il potere americano (Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)
In passato, gli Stati Uniti erano la “gloria del mondo”, soprattutto dopo che vennero in aiuto dell’Europa nella Seconda Guerra Mondiale, la vittoria su Germania e Giappone nel 1945, e il successo americano nella creazione di uno Stato democratico in Corea del Sud (1953), in seguito alla guerra contro i comunisti che erano alleati con la Cina e l’Unione Sovietica. Tuttavia, la gloria degli Stati Uniti è svanita durante l’ultima generazione. Gli storici indicano la guerra del Vietnam come l’inizio del processo di declino: la guerra è durata 16 anni (1959-1975), costata la vita a circa 60.000 soldati americani e si è conclusa in una disfatta americana disastrosa e Saigon, la capitale del Vietnam del Sud, caduta nelle mani dei Vietcong, la milizia del Vietnam del Nord comunista. La guerra del Vietnam ha tolto ad una parte della società americana la volontà di lottare per i valori della libertà e della democrazia, soprattutto se si tratta di combattere in paesi al di fuori degli Stati Uniti. Dopo il 1975 l’esercito degli Stati Uniti ha partecipato a numerose guerre, ma in Medio Oriente le sue prestazioni non sono sempre andate a buon fine. Ne consegue che la forza militare degli Stati Uniti non impressiona più ill mondo arabo-islamico, già nel settembre del 1970 i terroristi del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina non avevano esitato a dirottare aerei americani e britannici in Giordania facendoli saltare in aria, una azione che colpì tutto il mondo. Nel 1973 l’ambasciatore americano, il suo vice e il vice ambasciatore del Belgio furono sequestrati a Khartoum, capitale del Sudan, da parte dell’organizzazione palestinese “Settembre Nero”, e giustiziati su ordine di Yasser Arafat, in diretta dal suo telefono personale. Nonostante gli americani avessero registrato la telefonata e conoscessero tutti i dettagli in tempo reale, l’umiliazione subita dal rais terrorista li ridusse al silenzio. Arafat in seguito divenne (con l’aiuto di qualche benpensante israeliano ammaliato dal suo carisma e dalle sue menzogne) “un’icona per i pacifisti” " un beniamino dei fans della pace". Aveva preso in giro gli americani, li aveva ingannati senza battere ciglio, eppure gli credettero. L’audacia iraniana nei confronti degli Stati Uniti non conosce limiti: nell’ottobre del 2011, l’Iran ha tentato di assassinare l’ambasciatore saudita a Washington, proprio nella capitale degli Stati Uniti. Gli iraniani non hanno problemi a definire gli Stati Uniti “il Grande Satana”, il cui significato è uno solo: che la guerra santa deve essere condotta contro gli Stati Uniti, un jihad in nome di Allah, che si concluderà solo con la distruzione del governo degli Stati Uniti e la conversione dei suoi cittadini all’Islam sciita. A Beirut nell’aprile del 1983, Hezbollah - la lunga mano dell’Iran in Libano - fece esplodere l’ambasciata degli Stati Uniti, altra violazione della sua sovranità, nella quale furono uccise 63 persone, e nel mese di ottobre dello stesso anno distrusse il quartier generale dei Marines uccidendo 241 persone tra soldati e cittadini americani. La reazione americana fu la fuga dal Libano, cosa che incoraggiò molto Hezbollah ed i suoi burattinai in Iran e Siria, e mostrò al mondo gli USA come un paese senza spina dorsale. Un mese prima, nel marzo del 1983, Hezbollah aveva attaccato l’ambasciata degli Stati Uniti in Kuwait, e nel giugno del 1985 Hezbollah organizzò il dirottamento di un aereo passeggeri americano della TWA. Nel giugno del 1996 Hezbollah attaccò una base militare americana in Arabia Saudita. Tutti questi attacchi effettuati dal movimento sciita Hezbollah di ispirazione iraniana, furono lasciati senza risposta da parte degli americani. Anche la Libia di Gheddafi nel 1986 ha fatto la sua parte nell’aggredire gli Stati Uniti, con l’attacco ad una discoteca di Berlino dove vennero uccisi parecchi soldati americani mentre si stavano godendo una serata di libera uscita. La risposta all'aggressione fu un attacco al palazzo di Gheddafi, nel quale rimase uccisa la figlia adottiva: Eppure il rais non si diede per vinto: nel 1988 fece esplodere un jet della Pan Am sopra Lockerbie, in Scozia, uccidendo circa 300 persone. Quale fu la sua punizione? Nulla, fino al 2011, quando gli Stati Uniti sono stati trascinati ad attaccare la Libia, quasi con riluttanza. Sull’altro piatto della bilancia islamica i sunniti, vista la debolezza americana verso l’Iran e Hezbollah, decisero anche loro di aumentare la pressione sugli Stati Uniti: nel mese di agosto del 1990, Saddam Hussein ignorò gli avvertimenti degli Stati Uniti e invase il Kuwait, uno dei principali fornitori di petrolio per l’Occidente, con la pretesa che il Kuwait fosse una provincia dell’Iraq. In questo caso, l’Occidente si sentì oltraggiato e, sotto la guida degli Stati Uniti, nel gennaio del 1991 iniziò una guerra che con successo liberò il Kuwait, ma non liberò l’Iraq e il mondo da Saddam Hussein. Tuttavia, in questa guerra c’è stato un ulteriore fallimento americano: ci sono stati degli americani, forse agenti della CIA, che avevano lasciato intendere agli sciiti nel Sud dell’Iraq che, se si fossero ribellati contro Saddam, gli Stati Uniti li avrebbero aiutati a rovesciarlo. Nel marzo del 1991 iniziò la ribellione sciita contro Saddam, che era stato sconfitto in Kuwait, ma che ora metteva a tacere con estrema crudeltà la rivolta, che costò la vita a decine di migliaia di sciiti, mentre gli Stati Uniti non muovevano un dito. L’effetto del tradimento americano degli sciiti iracheni, da allora fino ad oggi ha continuato a influenzare il modo in cui gli sciiti in Iraq si comportano con gli Stati Uniti. Nel mese di ottobre del 1993, un commando americano entrò a Mogadiscio, capitale della Somalia, in elicottero, per catturare due terroristi . L’elicottero fu abbattuto dai somali, che poi uccisero 18 soldati americani, i cui corpi furono denudati e straziati. Tutto questo è stato registrato su telecamera, senza alcun timore di una reazione americana. Bin Laden, dopo che i suoi mujahedin erano riusciti a buttar fuori i sovietici dall’Afghanistan e a far accelerare il crollo dell’Unione Sovietica, decise di combattere gli Stati Uniti, con l'accusa di essere i leader mondiali di eresia, permissivismo e cultura materialistica. Nel dicembre del 1992 i jihadisti attaccarono gli hotel vicino al porto di Aden in cui erano alloggiati dei militari americani. Nel febbraio del 1993 ci fu il primo tentativo di far crollare le Twin Towers a New York. Nell’agosto del 1998 furono fatte saltare le ambasciate americane a Nairobi, capitale del Kenya, e a Dar as-Salam, capitale della Tanzania, con 224 morti e migliaia di feriti. Nel 2000 al-Qaeda attaccò la fregata americana Cole al largo delle coste dello Yemen, uccidendo 17 militari. Nell’atmosfera dei primi anni del 2000, in cui gli Stati Uniti sono stati percepiti come vulnerabili, nonostante la loro grande forza, i terroristi islamici non hanno esitato a uccidere cittadini e militari americani, riprendendone l'esecuzione in video, come ad esempio Daniel Pearl nel 2002, Nick Berg, Eugene Armstrong e Jack Hensley nel 2004. In seguito agli attacchi dell’11 settembre 2001 gli Stati Uniti entrarono in una guerra a tutto campo contro al-Qaeda e il regime dei talebani in Afghanistan, che ne avevano sponsorizzato l’organizzazione. Una guerra lampo portò al crollo del regime e allo smantellamento di centinaia di basi di al-Qaeda in Afghanistan. La coalizione guidata dagli Stati Uniti raggiunse il controllo totale su tutta l’area afghana in pochi mesi, ma oggi - dopo più di undici anni di lotta di Sisifo, e al prezzo di molto sangue e denaro - gli Stati Uniti ei loro alleati controllano solo il 5 % dello dello stato, al punto che l’Afghanistan è in procinto di diventare un secondo Vietnam. Nel 2003, una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti aveva vinto contro l’Iraq, ma, da allora, le organizzazioni terroriste alleate con al-Qaeda hanno sfidato la stabilità che gli Stati Uniti avevano cercato di creare nel paese, sferrando centinaia di attacchi che hanno causato la morte di migliaia di soldati americani e decine di migliaia di cittadini iracheni. In effetti, il più grande fallimento americano fino ad oggi è stato l’Iraq: il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, aveva annunciato “Missione compiuta” il 1 ° maggio del 2003 - cinque settimane dopo lo scoppio della guerra. Il numero di vittime americane era allora di circa 170. Cinque anni dopo, dal momento in cui la guerra era effettivamente più o meno finita, altri 4.500 americani sono morti e il sistema politico iracheno che gli americani hanno creato è instabile e fragile. Nel complesso, i contribuenti americani hanno versato in Iraq più di un miliardo di dollari. Il presidente Obama, come aveva promesso, ha ritirato i soldati degli Stati Uniti dall’Iraq nel dicembre del 2011, con la conseguenza che oggi l’Iraq è di fatto controllato dall’Iran. Nonostante il divieto internazionale all’Iran di esportare armi e alla Siria di importarle, l’Iran fornisce il regime assassino siriano di armi, munizioni e caccia che volano sopra i cieli dell’Iraq. Gli americani lo sanno e non fanno nulla. Un altro fallimento americano, non meno importante di quello in Iraq, è l’incapacità di fermare il programma nucleare militare dell’Iran. Basta ricordare la crisi dei missili sovietici a Cuba (1962) per vedere la differenza tra allora e adesso: allora, la determinazione mostrata dal Presidente John F. Kennedy, spinse i sovietici a ritirarsi in sole due settimane, mentre oggi, la debolezza che il mondo - guidato dagli Stati Uniti – mostra nei confronti dell’Iran, ha autorizzato lo stato degli ayatollah a progredire nel suo programma militare nucleare che dura da più di 15 anni. Il mondo condanna, denuncia, mette in guardia e minaccia, ma sono solo parole vuote, come se non vi sia una minaccia credibile. Le sanzioni economiche non sono efficaci quando si ha a che fare con regimi dittatoriali, perché sanno bene come far ricadere l’effetto negativo delle sanzioni sulla popolazione, quindi l’élite al potere ne rimane al di fuori. Così, in un continuo processo d’indebolimento, gli Stati Uniti sono diventati una tigre di carta nei rapporti con il mondo arabo-islamico. I banditi islamici traggono slancio dalla debolezza americana, e sono proprio gli sforzi di Obama ad accattivarsi la loro benevolenza, a cominciare dal discorso al Cairo (giugno 2009), che aumentano le pretese degli islamisti nei suoi confronti. Su questo sfondo di debolezza americana si sono aggiunti altri fatti, che i popoli del Medio Oriente ben conoscono: la Corea del Nord fa quello che vuole con i suoi missili e programmi nucleari, nonostante le contestazioni occidentali e giapponesi. In passato gli Stati Uniti avevano partecipato alla nuclearizzazione di India e Pakistan e persino ritirato le accuse al capo del programma nucleare pakistano, Abdul Qadeer Khan, per aver creato un mercato nero per la strumentazione nucleare, i materiali e il know-how, e aver distribuito la sua merce al miglior offerente. L’assassinio dell’ambasciatore americano in Libia di questo mese, è stato solo un altro anello della catena fallimentare americana nei riguardi del Medio Oriente: per ironia della sorte, l’ambasciatore che era il collegamento tra il governo americano e i ribelli contro Gheddafi, era nel mirino degli islamisti libici, che hanno poi trascinato il suo corpo per le strade di Bengasi. Nonostante ciò, le autorità degli Stati Uniti hanno rapidamente arrestato l’autore del film, giudicato causa della tensione in corso e della turbolenza nel mondo musulmano, dimostrando ancora una volta la loro vulnerabilità di fronte alle estorsioni, arrendendosi alla violenza musulmana. Gli zeloti islamici percepiscono la debolezza americana e aumentano la loro pressione. Gli americani hanno adottato la cultura del “polical correct” che impone loro di “essere gentili”, anche se si occupano di qualcuno o qualcosa che gentile proprio non è. Consentono alle organizzazioni islamiche di agire liberamente negli Stati Uniti, di erigere moschee quasi senza limite e predicarvi la violenza contro gli”infedeli”, con tutto il diritto alla libertà di espressione, naturalmente. L’ignoranza dell’amministrazione nei riguardi del Medio Oriente è stata dimostrata nel corso degli ultimi tre anni, quando, più di una volta, addetti governativi hanno rilasciato dichiarazioni del tipo:
Gli Stati Uniti stanno rapidamente perdendo la volontà di difendere i propri valori, e, in Medio Oriente, questo fatto è evidente: un anno fa il parlamento kuwaitiano ha tenuto un incontro sul tema “ Il Kuwait dovrebbe diventare parte dell’Iran o no?”. La discussione si è basata su due presupposti: il primo è che venga il giorno in cui l’Iran potrebbe tentare di prendere il Kuwait militarmente o con la“persuasione”; la seconda è che nella situazione di debolezza ideologica che caratterizza gli Stati Uniti e la crisi economica che appesantisce Europa e Stati Uniti, non vi è alcuna possibilità che il mondo occidentale si muova di nuovo con tutti i suoi eserciti, per salvare il Kuwait dalla conquista, come accadde nel mese di gennaio del 1991. Cosa succederebbe allora con il petrolio del Kuwait? Gli Stati Uniti accetterebbero il “libero arbitrio” del Kuwait a unirsi all’Iran? E che cosa succederebbe in seguito agli altri Emirati? La conclusione che Israele deve trarre da tutto questo è chiara: la sua sicurezza non deve dipendere dalla determinazione americana in continua dispersione, con alcuni leader che hanno la tendenza a gettare i loro amici - come nel caso di Mubarak - sotto l'autobus. Ci sono parecchie persone nella comunità politica americana che non sono affatto convinte che l’esistenza di Israele sia utile per gli interessi degli Stati Uniti, soprattutto se il sostegno ad Israele provocasse la rabbia dei musulmani. Tuttavia, il malessere degli Stati Uniti non è terminale: ai tempi di Ronald Reagan, George Bush padre e George W. Bush figlio, degli Stati Uniti si aveva un’immagine diversa, perché per lo meno vi era la volontà di affrontare i problemi senza arrendersi , e cercare la pace senza concessioni umilianti. Quelli erano giorni e quelli erano uomini. Ce ne sono ancora ? Dove sono? Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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