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Informazione Corretta - L'Opinione Rassegna Stampa
20.09.2012 Sabra e Shatila, unico massacro ricordato. Perché?
Commenti di Deborah Fait, Dimitri Buffa

Testata:Informazione Corretta - L'Opinione
Autore: Deborah Fait - Dimitri Buffa
Titolo: «Sabra e Shatila, il massacro visto con gli occhi del vero carnefice»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 20/09/2012, a pag. 6, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo "Sabra e Shatila, il massacro visto con gli occhi del vero carnefice " .
Ecco il pezzo, preceduto dal commento di Deborah Fait dal titolo "Come mai si commemora e ricorda solo Sabra e Shatila ?" :

INFORMAZIONE CORRETTA - Deborah Fait : "Come mai si commemora e ricorda solo Sabra e Shatila ? "


Deborah Fait, il massacro di Damour

Perdonatemi, amici , se torno sull’argomento Sabra e Shatila, lo faccio  perche’ per me e’ come aver mangiato un cipollone enorme che non riesco a inghiottire.

Sono trent’anni di menzogne che noi abbiamo dovuto subire come israeliani e come ebrei.

Trent’anni di accuse, trent’anni di insulti, trent’anni di  maledizioni .

Ad ogni settembre , con anticipo di mesi,  incominciavano le elucubrazioni  con le solite menzogne, le solite accuse, I soliti ebrei nazisti, il solito Israele covo di nazisti colonialisti e assassini, lI solito augurio “ Non avete diritto di esistere”. 

Ogni anno, da 30 anni,  arrivano puntuali gli articoli su Sabra e Shatila,  sulle vittime palestinesi, naturalmente sul cattivo Sharon, sulla perfida Israele, sui soldati israeliani che non sono intervenuti,

Sempre le stesse menzogne e le stesse accuse.

La verita’ e’ che non si commemora Sabra e Shatila per le vittime ma per poter diffamare Israele.

Che il massacro sia stato fatto dai cristiano libanesi per vendetta, per ripagare I palestinesi colla loro stessa moneta, per vendicare l’assassinio di Bashir Gemaiel,  non interessa a nessuno.

Avete forse  notizia di altre stragi dove Israele non entri nel quadretto? Vi risulta che qualcuno ne parli o che , le rare volte che lo fa, abbia la stessa animosita’ ?

Vi risulta che  il 3 e 4 settembre di ogni anno, dal 2004, si ricordino I 350 bambini  massacrati nella loro scuola di Beslan dai musulmani ceceni che hanno fatto il tiroasegno su di  loro dopo averli tenuti prigionieri e terrorizzati, senza cibo e acqua per due giorni?

Vi risulta che , al di la’ della notizia di cronaca, subito dimenticata, si commemorino le migliaia di vittime cristiane ammazzate dai musulmani in Nigeria?

Non voglio e non posso qui elencare tutte le stragi islamiche ai danni degli infedeli cristiani e ebrei e addirittura la barbara ferocia di musulmani che ammazzano I loro stessi correligionari.

Ce le siamo dimenticate le bombe gettate da musulmani dentro moschee in Iraq? Le bombe islamiche  che hanno fatto stragi a matrimoni islamici in Afghanistan perche’ la felicita’ e’ peccato? 

Ma visto che si parla di Sabra e Shatila, quindi del Libano, avete mai sentito commemorare le infinite stragi perpetrate dai palestinesi contro decine e decine di villaggi cristiani ?

Mai , assolutamente MAI, si  ricorda il comportamento barbaro dei palestinesi , al comando di Arafat, in Libano.

E allora diciamolo chiaro e forte: I palestinesi di Arafat in Libano hanno assassinato piu’ o meno 40.000 civili .

Diciamolo chiaro e forte che la barbarie perpetrata a Sabra e Shatila dai falangisti libanesi e’ stata un atto di atroce vendetta contro la stessa identica  barbarie dei palestinesi contro I civili cristiani di quel paese.

Sharon aveva chiesto ai falangisti di scovare I terroristi nascosti nei campi e I falangisti hanno ammazzato tutti quelli che incontravano, ne’ piu’ ne’ meno di quello che I palestinesi facevano contro I libanesi.

40.000 civili assassinati negli anni in cui Arafat, colle sue bande di feddayin, occupava il Libano creando una tremenda guerra civile dopo essere stati coinvolti in un’altra guerra civile in Giordania  dove Arafat aveva tentato di prendere il potere detronizzando re Hussein . I palestinesi sopravvissuti alla vendetta del re di Giordania (Settembre Nero con piu’ di  10.000 morti) , entrarono nel confinante Libano (altri purtroppo anche in Cisgiordania , cioe’ Giudea e Samaria) dove si  espansero con una  violenza spaventosa come testimoniano vari massacri compiuti ai danni delle popolazioni cristiane.

Dal 1975 I palestinesi  ammontavano a più di 300.000,  crearono uno Stato nello Stato in Sud-Libano, dove era predominante la minoranza islamica sciita, nel Libano tuttavia particolarmente consistente. Pretendevano tasse che riscuotevano puntualmente e chi non pagava era morto prima di poter chiedere pieta’.

L'OLP divenne una forza potente e svolse un ruolo decisivo nella Guerra civile libanese scoppiata  per lo sconvolgimento provocato (specialmente nel meridione libanese sciita e contadino) dai profughi palestinesi, presenti  in gran numero anche a Beirut, dove i miliziani usavano girare armati.

Erano diventati I padroni del Libano, un tempo considerato la Svizzera del Medio Oriente, hanno distrutto il paese, hanno scorazzato in lungo e in largo ammazzando , stuprando, facendo la gente a pezzi, bambini compresi.

Tra I tanti massacri compiuti dai palestinesi, uno e’ diventato famoso ,  il massacro di Damour, la Madre di tutti I massacri palestinesi in Libano. Vi risulta che qualcuno lo commemori? Vi risulta che qualcuno lo ricordi? Vi risulta che qualcuno osi parlar male dei palestinesi per tutte le  atrocita’ commesse?

IL MASSACRO DI DAMOUR

Damour era una cittadina accanto all'autostrada Beirut-Sidon, circa 20 kilometri a sud di Beirut, nell'area pedemontana del massiccio libanese. Sull'altro lato dell'autostrada, al di là di una striscia pianeggiante di terra, c'era il mediterraneo. Era una città di 25.000 abitanti con 5 chiese, tre cappelle, sette scuole tra pubbliche e private ed un ospedale, ove, a spese del comune, vennero curati, assieme ai cristiani, anche i mussulmani dei  paesini circostanti.

Il 9 di gennaio 1976, tre giorni dopo la Befana, il parroco di Damour, Don Mansour Labaky, stava praticando il rito maronita della benedizione delle case con acqua santa. Quando stava di fronte a una casa vicina all'adiacente villaggio mussulmano di Harat Na'ami, una pallottola fischiò accanto al suo orecchio e colpi la casa. Poi udì delle raffiche di mitra. Si rifugiò all'interno della casa e apprese presto che la città era stata presa d'assedio. Poco dopo seppe da chi: le truppe di Sa'iqa (terroristi dell'OLP affiliati alla Siria), 16.000 terroristi tra palestinesi, siriani, unità di Mourabitoun, rafforzati da mercenari provenienti dall'Iran, dall'Afghanistan, dal Pakistan e dalla Libia.

Don Labaky chiamò subito lo sceicco mussulmano del distretto e li chiese, a mo di collega spirituale, cosa poteva fare per venire in aiuto della popolazione. "Non ci posso fare nulla", li fu detto, "vogliono distruggervi. Sono i palestinesi. Non posso fermarli."

Mentre le raffiche di mitra e i colpi di mortai continuarono per tutta la giornata, Don Labaky chiamò una lunga lista di politici sia della destra sia della sinistra, chiedendo aiuto. Tutti risposero, con scuse e rimpianti, che non potevano farci nulla. Poi chiamò Kamal Giumblat, rappresentante parlamentare druso del distretto di Damour. "Padre", disse Giumblat, "non ci posso fare nulla, perché tutto dipende da Yassir Arafat." E diede il numero personale di Yassir Arafat al sacerdote.

Quando Labaky chiamò il numero in questione, gli fu risposto da un aiutante di Arafat e non potendo raggiungere lo stesso Arafat, Labaky li disse, "i palestinesi stanno sparando colpi di mortaio e raffiche di mitra contro la mia città. Posso assicurarvi come esponente religioso che non vogliamo la guerra e che non crediamo nella violenza." E aggiunse che quasi la metà degli abitanti di Damour aveva votato per Kamal Giumblat, un uomo che stava vicino all'OLP. "Padre, non si preoccupi. Non vogliamo farvi del male. Se vi stiamo distruggendo, lo facciamo solo per pure ragioni strategiche."

Don Labaky non pensava che non ci fosse da preoccuparsi, anche se la distruzione era "solo per pure ragioni strategiche" e insistette nel chiedere ad Arafat di richiamare i suoi combattenti. Alla fine, l'aiutante disse che loro, il quartiere generale dell'OLP, avrebbero detto loro "di cessare il fuoco".

Erano già le undici di notte, e il fuoco non aveva cessato, quando Don Labaky chiamò di nuovo Kamal Giumblat per dirgli cosa aveva detto l'aiutante d'Arafat. Il consiglio che Giumblat diede al sacerdote era di continuare a chiamare Arafat e altri amici suoi, "perché", disse, "non mi fido di lui".

Mezz'ora più tardi furono tagliate le linee telefoniche, l'acqua e l'elettricità. La prima ondata d'invasione avvenne mezz'ora dopo la mezzanotte, dal lato della città da cui è stato sparato al sacerdote prima. Gli uomini di Sa'iqa assalirono le case e massacrarono quella notte una cinquantina di civili. Don Labaky udì le grida e scese nella strada. Donne in camicie da notte stavano correndo verso di lui "strappandosi i capelli e urlando 'Ci stanno massacrando!' I sopravissuti, evacuando quella parte della città, si rifugiarono nella chiesa più vicina. All'alba, gli invasori avevano già preso il quartiere. Don Labaky descrisse la scena come segue:

"La mattina riuscii, nonostante i colpi di mortaio, ad arrivare all'unica casa non occupata per recuperare i cadaveri. E mi ricordo qualcosa che ancora mi fa rabbrividire. Un'intera famiglia, la Famiglia Can'an, quattro bambini tutti morti, e la madre, il padre, e il nonno. La madre stava ancora abbracciando uno dei bambini. Era incinta. Gli occhi dei bambini erano stati cavati e i loro arti amputati. Erano senza gambe e senza braccia. Li abbiamo portati via in un Apecar. E chi m'aiutava a portare via i cadaveri? L'unico sopravissuto, lo zio dei bimbi. Si chiamava Samir Can'an. Egli portava con me i resti del suo fratello, del suo padre, della sua cognata e dei poveri bambini.
Li abbiamo sepolto nel cimitero, sotto i colpi di mortaio dell'OLP. E mentre li seppellivamo, trovammo altri corpi ancora nelle strade."

La città cominciava a difendersi. Duecentoventicinque giovani, la più parte di loro sedicenni, armati di fucili da caccia e senza addestramento militare, resistettero per dodici giorni. La popolazione si nascose nelle cantine con sacchi di sabbia davanti alle porte e alle finestre dei pianterreni. Don Labaky fece spola tra nascondiglio e nascondiglio per visitare le famiglie e portare loro latte e pane. Spesso incoraggiò i giovani a difendere la città. L'assedio senza sosta alla città causò gravi danni. Dal 9 di gennaio 1976, i palestinesi avevano tagliato l'acqua e qualsiasi rifornimento di viveri e rifiutavano alla Croce Rossa di evacuare i feriti. Neonati e bambini morirono di disidratazione. Solo tre altri cittadini caddero sotto il fuoco dell'OLP tra il primo e l'ultimo giorno dell'assedio che terminò il 23 gennaio del 1976. Però, quel giorno, quando avvenne il massacro finale, centinaia di cristiani furono ammazzati, come racconta Don Labaky:

"L'attacco cominciò dalle montagne. Era un'apocalisse. Vennero in migliaia, urlando a squarciagola 'Allahu akbar! Iddio è grande! Attacchiamoli in nome degli arabi, offriamo un olocausto a Maometto'. E massacrarono chiunque li si metteva sul cammino, uomini, donne e bambini".

"Intere famiglie sono state uccise nelle loro case. Molte donne furono violentate in gruppo, alcune di loro furono lasciate vive. Una donna salvò la sua figlia adolescente dalla violenza sessuale spalmando la sua faccia con dell'indaco per farla apparire ripugnante.
Mentre le atrocità continuavano, gli invasori si scattavano delle foto e le offrirono, più tardi, per soldi ai giornali europei."

"Alcuni sopravissuti testimoniarono l'accaduto. Una ragazza sedicenne, Soumaya Ghanimeh, testimoniò la fucilazione del padre e del fratello da parte di due degli invasori, e vide la propria casa, assieme alle case dei vicini, saccheggiata e bruciata. Ella disse:

'Quando mi stavano portando in strada, tutte le case intorno a me stavano bruciando. Di fronte alle case erano parcheggiati dieci camion nei quali erano stipati i bottini. Mi ricordo quanto ero spaventata dal fuoco. Stavo urlando. E per molti mesi non riuscii a sopportare che qualcuno accendesse un fiammifero accanto a me. Non ne sopportavo il puzzo.'

"Lei e sua madre, Mariam, assieme alla sorella più piccola e al fratellino neonato, sono stati risparmiati dall'essere fucilati in casa quando si nascose dietro a un palestinese cercando protezione da un fucile puntato contro di lei. Urlò: 'Non permettergli d'ucciderci!' e l'uomo accettò il ruolo di protettore che la ragazza gli aveva inaspettatamente assegnato. 'Se li ammazzi, devi ammazzare anche me, disse al suo commilitone. Così vennero risparmiati, radunati con altri nelle strade e caricati sui camion che li portarono al campo palestinese di Sabra a Beirut, ove vennero imprigionati in una prigione sovraffollata. 'Dovevamo dormire per terra, e faceva un freddo cane.'"

Quando Don Labaky trovò i corpi carbonizzati del padre e del fratello in casa Ghanimeh non poteva neppure distinguerne il sesso. Nella frenesia di voler, a tutti costi, infliggere il massimo dell'umiliazione alle loro vittime, come se neppure i limiti assoluti della natura umana potevano fermarli, gli invasori devastarono le tombe e sparsero le ossa dei defunti nelle strade. Chi era riuscito a scappare dal primo attacco continuava a scappare con ogni mezzo, con le macchine, con i carri, con le bici e con le moto. Alcuni si rifugiarono sulla spiaggia sperando di poter scappare con le barche a remi. Ma il mare era in tempesta e l'attesa della salvezza era troppo lunga, erano consapevoli dell'eventualità che i loro nemici potevano accanirsi contro di loro a qualunque momento.

Circa cinquecento persone si radunarono nella chiesa di Sant'Elia. Don Labaky arrivò lì alle sei del mattino quando i tumulti dell'attacco l'avevano svegliato. Predicò un sermone sul significato del massacro d'innocenti. E quando non sapeva che consigliarli li disse: "Se vi dicessi di rifugiarvi sulla spiaggia, so che vi ammazzeranno. Se vi dicessi di rimanere qui, so che vi ammazzeranno".

Un vecchietto suggerì di esporre una bandiera bianca. "Forse ci risparmieranno se ci arrendiamo." Don Labaky gli diede il suo benestare e mise una bandiera bianca sulla croce processionale che stava davanti alla chiesa. Dieci minuti tardi sentirono bussare alla porta, tre colpi in successione rapida, poi altre tre volte tre colpi in successione rapida. Rimasero impietriti. Don Labaky disse che andava lui a vedere chi ci fosse. Se era il nemico, magari li risparmiavano. 'Ma, se ci ammazzano, perlomeno moriremo tutti insieme e avremo una bella parrocchia in cielo di 500 persone senza posti di blocco che ci separano". Risero e il sacerdote aprì la porta.

Non era il nemico, ma due cittadini di Damour che erano riusciti a scappare e che avevano visto la bandiera bianca dalla spiaggia. Erano venuti per metterli in guardia sul fatto che la bandiera bianca non sarebbe stata di nessun aiuto. 'Anche noi abbiamo issato una bandiera bianca davanti a Nostra Signora e ci hanno sparato addosso.'

Di nuovo discussero quello che c'era da fare. Labaky li disse che una sola cosa sarebbe rimasta a fare, anche se era 'impossibile': pregare affinché Iddio perdonasse coloro che stavano per venire a ucciderli. Mentre che pregavano, due dei giovanissimi difensori della città che, a loro volta, avevano visto la bandiera bianca entrarono e dissero 'Correte verso la spiaggia adesso, vi copriremo.'

I due giovani stavano davanti al portale della chiesa e spararono nella direzione dalla quale proveniva il fuoco dei fedayin. Ci vollero dieci minuti finché tutte le persone presenti nella chiesa poterono lasciare la città. Tutti e cinquecento sono riusciti, meno un vecchietto che non poteva camminare e che avrebbe preferito morire davanti alla propria casa. Non è stato ucciso. Don Labaky lo trovò settimane più tardi in una prigione dell'OLP e sentì quello che è successo dopo che lui era scappato.

Un paio di minuti dopo che erano scappati, 'venne l'OLP e bombardò la chiesa senza entrarvi. Buttarono giù la porta e gettarono le granate. Sarebbero rimasti tutti uccisi se non fossero scappati.

Don Labaky aveva condotto la sua congregazione lungo la spiaggia di Camille Chamoun. Quando arrivarono lì, videro che era stata già saccheggiata e parzialmente bruciata. Trovarono, comunque, protezione in un palazzo di un mussulmano che 'non era d'accordo con i palestinesi', e successivamente riuscirono a prendere il mare in piccole imbarcazioni, nelle quali salparono verso Jounieh. 'Una povera donna doveva partorire in una piccola barca nel mare invernale in tempesta'.

In tutto, 582 persone morirono assassinate nell'assalto a Damour. Don Labaky tornò con la Croce Rossa per seppellirli. Molti dei cadaveri erano stati smembrati e dovettero contare le teste per stabilire il numero delle vittime. Tre delle vittime maschili furono trovati con i loro genitali amputati, messili nel cavo orale. (pratica mussulmana d'umiliazione postmortem assai nota dalla guerra d'Algeri in poi, NdT).

Ma l'orrore non finì lì, anche il vecchio cimitero cristiano venne profanato, i sarcofaghi aperti, i morti spogliati dei loro vestiti, le cassette delle elemosina saccheggiate, e le ossa e gli scheletri sparsi sul campo sacro. Dopo Damour fu trasformata in un baluardo di Al-Fatah e del PFLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina). Le rovine di Damour divennero uno dei maggiori centri dell'OLP per la promozione del terrorismo internazionale. La chiesa di Sant'Elia è stata trasformata in un autorimessa atta alla riparazione dei veicoli dell'OLP, così come in un poligono di tiro con i bersagli dipinti sul muro orientale della navata.

Il comandante delle forze terroristiche che si accanirono, il 23 gennaio del 1976 era Zuhayr Muhsin, capo di al-Sa'iqa, noto d'allora alla popolazione cristiana libanese come il 'macellaio di Damour'. Fu assassinato il 15 luglio del 1979 a Cannes, nel sud della Francia.

tradotto dall'inglese da Motty Levi

fonte: http://www.geocities.com/CapitolHill/Parliament/2587/damour.html

La prossima volta che leggerete di Sabra e Shatila, sappiate  che in Libano e’ accaduto molto altro, barbarie , ferocia, violenza, morti a decine di migliaia per mano delle “povere vittime palestinesi”.

Sappiate che Sabra e Shatila e’ una delle tante stragi avvenute in quel paese e scandalizzatevi perche’ e’ l’unica ad essere ricordata.

L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Sabra e Shatila, il massacro visto con gli occhi del vero carnefice "


Dimitri Buffa, Sabra e Chatila

In questi giorni i media mainstream stanno sprecando fiumi di inchiostro per ricordare la vulgata della strage di Sabra e Shatila, a venti anni dai tragici fatti. Per tutti, la colpa è di Sharon che addirittura avrebbe fatto saltare in aria, mediante il Mossad, l’esecutore materiale, Elie Hobeika, nel 2002. Hobeika, infatti, avrebbe dovuto deporre contro di lui nel processo intentatogli in Belgio per crimini contro l’umanità. Ma le cose stanno veramente così? O questa è la realtà percepita degli anti-sionisti?
Era stata sarcastica la reazione degli israeliani ai primi di febbraio del 2003 alla notizia che  Corte di Cassazione belga aveva annullato  la sentenza che stabiliva l’irricevibilità della denuncia per crimini contro l’umanità (depositata contro  il premier israeliano Ariel Sharon): “pensate ai pedofili di casa vostra”, “tra cui quelle teste coronate che hanno fatto da anni pressioni sulla pubblica accusa perchè non si celebrasse il processo al mostro di Marcinelle, Dutroux”. “Che se parlasse...”.
A dare avvio alla procedura erano stati alcuni libanesi residenti in Belgio, che avevano accusato il premier israeliano di essere responsabile oggettivo  dei massacri perpetrati nei campi profughi di Sabra e Shatila, nella notte tra il 16 e il 17 settembre 1982, in Libano. 
Il tribunale belga di primo grado aveva dichiarato irricevibile il ricorso, affermando che fosse possibile dare seguito alle denunce solo se gli accusati si fossero trovati in territorio belga.
Pochi, però, conoscono quella verità, certo non politically correct, raccontata da Robert Fatem, cioè il gorilla di Elie Hobeika, il capo militare falangista che materialmente diede il via alla strage.
Elie Hobeika non può più parlare perchè nel 2002 gli hanno chiuso la bocca per sempre, usando il metodo che lui stesso aveva brevettato in Libano.
Infatti è stato dilaniato da una carica di esplosivo (che ha provocato anche altri tre morti e quattro feriti) nella notte di martedì 27 gennaio 2002 a Beirut nella propria abitazione, iperprotetta dai servizi segreti siriani, nel quartiere Hazmiyeh.
Hobeika stranamente non era stato citato neppure come testimone nel primo processo dei belgi. Però, poco prima di morire, aveva minacciato rivelazioni. Che non potevano che essere quelle che coinvolgevano la Siria nella strage, visto che un’eventuale accusa a Sharon tutto poteva essere tranne che circostanza inedita.
Ma se Hobeika non può parlare, Robert Fatem, alias “Cobra”, la propria versione dei fatti l’ha addirittura raccontata in un libro che chiunque può leggere su Internet. Nei capitoli 7 e 8 di “From Israel to Damascus” (il sito è omonimo), pubblicati in rete su licenza dell’editore “Pride international publications” di La Mesa in California, c’è infatti la chiave per capire l’arcano delle stragi nel campo profughi: far ricadere la colpa su Sharon e costringere il governo Begin alle dimissioni. Cosa che puntualmente accadde.
Questo libro fu bandito in Libano e lo stesso Hobeika, quando era vivo, è riuscito a non farlo pubblicare nemmeno in Francia, pagandosi i migliori avvocati con i soldi del governo di Beirut,  telecomandato dal sanguinario dittatore di Damasco, Assad.
Nessuno lo sa, o magari fa finta, ma Hobeika, in Libano, è stato fino a due anni prima di morire un ministro molto stimato: prima a capo del dicastero dell’elettricità, poi di quello  per la sistemazione dei profughi (visti i precedenti...),  infine responsabile dell’aiuto ai disabili.
Secondo il suo ex braccio destro che adesso vive rifugiato chissà dove, gli eventi quel maledetto 16 settembre 1982, all’indomani dell’attentato che aveva fatto secco il presidente Bashir Gemayel, “uno che doveva durare 6 anni e che invece restò in carica 20 giorni”, sarebbero andati così: “erano stati gli uomini di Maroun Mashaalani, sconvolti dal loro uso regolare e non modico di eroina e cocaina, quella mattina a perpetrare uno dei peggiori macelli che la storia ricordi, nel campo al confine dell’ospedale all’entrata di Sabra.”
L’ordine sarebbe partito per iniziativa di Hobeika, che faceva il doppio gioco tra Israele e la Siria. Hobeika aveva convinto Sharon che in quei campi profughi ci fossero “almeno 2000 terroristi dell’Olp”.
Sharon aveva dato ordine di evacuare i civili e di arrestare i terroristi, se del caso, ricorrendo anche alla forza.
Lui invece trasmise al suo sicario e alla banda di miliziani drogati che quest’ultimo comandava un altro comando: «Cancellare tutti dalla faccia della terra».
Sharon, avuta notizia della strage, alle 6 del mattino  «convocò immediatamente me e Hobeika al quartiere generale».
«Lo raggiungemmo - dice oggi Hatem - sul terrazzo di quell’alto edificio prospiciente l’ambasciata del Kuwait... gli ufficiali israeliani intorno a Sharon erano furiosi con Hobeika, attribuendogli l’iniziativa della strage. Lui rispose che tutto era successo per via dell’oscurità. Sharon urlò: “Nessuno ti aveva detto di fare questa carneficina, se avessi voluto potevo procedere da solo con i miei carri armati...” qualche minuto dopo, Hobeika ebbe un messaggio sul proprio walkie talkie da uno che disse di essere Paul. Gli chiedeva istruzioni: “ci sono donne e bambini che devo fare?” E Hobeika rispose, senza sapere che potevo sentirlo, “è un problema tuo, non mi chiamare più”. Vista la mala parata e le insignificanti scuse di Hobeika, Sharon  ordinò agli israeliani di aprire il fuoco, da quel momento, su chiunque si fosse avvicinato a quei campi profughi, ma ormai era troppo tardi».
Così finisce il racconto di “Cobra”, il guardaspalle di Hobeika.
«Non posso provarlo - dice oggi “Cobra” - ma per me il piano diabolico era stato concepito dai siriani per fare cadere il governo di Begin in cui Sharon era ministro della difesa». Cosa che puntualmente accadde.
E dopo quella trappola il governo israeliano fu costretto a lasciare il Sud del Libano, vista la campagna stampa che i soliti pacifisti scatenarono in maniera unidirezionale. Risultato? La frontiera del terrorismo palestinese si spostò svariate miglia in avanti dal Sud del Libano agli attuali Territori.

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