Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 17/09/2012, a pag. 15, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Netanyahu sprona Obama: più duri con Teheran ", l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Iran, le navi americane nello Stretto di Hormuz".
Ecco i pezzi:
Aldo Baquis - " Netanyahu sprona Obama: più duri con Teheran "
Bibi Netanyahu, Barack Obama
L’opportunità o meno di tracciare una inequivocabile «linea rossa», nell’intento di bloccare i programmi nucleari dell’Iran, è al centro di un’accesa schermaglia condotta da Usa ed Israele attraverso i media. Imperterrito (e forse infastidito per il rifiuto di Obama di riceverlo a fine mese) il premier israeliano Benyamin Netanyahu insiste invece che la leadership iraniana è lanciata verso la realizzazione dei progetti atomici e che solo la definizione di una «linea rossa» potrebbe indurla ad una dose di prudenza. Se si vuole esorcizzare il rischio di un blitz preventivo israeliano – lascia intendere il premier – occorre mettere sul tavolo una minaccia credibile.
Non essendo finora riuscito a convincere l’amministrazione democratica (né peraltro leader amici di Israele, come Angela Merkel e David Cameron) Netanyahu si è rivolto ieri direttamente all’opinione pubblica statunitense, con interviste alla Cnn e alla Nbc. «Non mi fiderei della razionalità dei leader iraniani, il loro zelo religioso viene prima della sopravvivenza, hanno uomini-bomba ovunque», ha osservato. «L’Iran è guidato da persone di fanatismo incredibile, lo stesso che ha investito in questi giorni le ambasciate Usa... Vorreste disponessero di armi atomiche?». Ha ricordato Timothy McVeigh, il terrorista della bomba di Oklahoma City: «É come se entrasse in un negozio chiedendo fertilizzanti per il suo giardino. Andiamo, sappiamo che stanno facendo un’arma».
Le antenne del premier devono aver fiutato che nel Dipartimento di Stato spirano anche venti remissivi, di accettazione passiva di un Iran nucleare come «male minore» e come opzione meno catastrofica per la regione che non un blitz di Israele. Netanyahu ha allora messo il dito nella piaga: «C’è perfino chi pensa che un Iran nucleare stabilizzerebbe il Medio Oriente. Significa fissare nuovi standard della stupidità umana».
Ma in Israele i continui appelli di Netanyahu non trovano tutti assenzienti: fra i primi ad opporsi vi è il capo dello Stato Shimon Peres, preoccupato per le condizioni dei rapporti Israele-Usa. Anche un esperto israeliano di questioni strategiche, il dottor Efraim Ascolay, ha ieri espresso perplessità sulla politica suggerita da Netanyahu. Ci sono situazioni (ad esempio, per quanto riguarda l’arricchimento dell’uranio) in cui non è immediatamente chiaro se una «linea rossa» sia stata effettivamente varcata. Le informazioni di intelligence giungono talvolta in ritardo dall’Iran, o in maniera frammentaria. Semmai, suggerisce Ascolay, il gruppo 5 + 1 (i Paesi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e la Germania) dovrebbe stabilire una data precisa entro la quale l’Iran debba adempire alle richieste presentate dalla comunità internazionale. Questo ultimatum dovrebbe essere accompagnato dalla minaccia di un’azione militare. Ma Obama, lo comprende anche Ascolay, non può prendere impegni del genere prima del voto di novembre. Dunque – lascia intendere – Netanyahu sembra trovarsi adesso in un vicolo cieco.
Paolo Mastrolilli - " Iran, le navi americane nello Stretto di Hormuz "
Lo stretto di Hormuz
Non ha precedenti, l’esercitazione navale che una trentina di nazioni hanno cominciato ieri intorno allo Stretto di Hormuz. Almeno sul piano dello spiegamento di forze, come non si era mai visto prima nella regione. L’obiettivo dichiarato è preparare la risposta ad una fantomatica organizzazione estremistica, che potrebbe decidere di minare quel tratto di mare, dove passa circa un terzo del petrolio mondiale trasportato via acqua. L’obiettivo reale, secondo gli analisti, è mandare un segnale all’Iran sulle reazioni che subirebbe nel caso lanciasse un’azione militare, e rassicurare Israele sulla determinazione della comunità internazionale a contenere la Repubblica islamica.
L’esercitazione, dal nome International Mine Countermeasures Excercise 2012, o IMCMEX 12, è enorme, perché copre tre fronti: a Nord il Golfo Persico nella zona del Bahrein, a Sud l’accesso allo stretto davanti all’Oman, e ad Ovest il Golfo di Aden che apre la porta del Mar Rosso. Hormuz non viene toccato direttamente, ma è accerchiato. Tra i Paesi partecipanti ci sono tutti i grandi giocatori dello scacchiere: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, ma pure l’Arabia Saudita e gli Emirati. La flotta mobilitata comprende unità per lo sminamento, ma anche portaerei, navi lanciamissili e sottomarini. Tutto quello che potrebbe servire per annientare una nazione. Le manovre sono cominciate ieri e continueranno fino al 27 settembre, il giorno dopo l’intervento di Teheran all’Assemblea Generale dell’Onu, dove il suo programma nucleare sarà al centro del dibattito. Una volta conclusa l’esercitazione, poi, alcune delle unità impiegate resteranno in maniera permanente nella zona, nel caso il loro servizio diventasse realmente necessario. Qualche settimana dopo, infatti, l’Iran risponderà tenendo una propria operazione difensiva nella stessa area, per dimostrare la sua capacità di proteggere le strutture atomiche.
Non ci vuole molto per collegare i puntini, e capire che il gioco è assai più ampio di quanto non si ammetta ufficialmente. Proprio ieri il generale Mohammad Ali Jafari, capo delle Guardie Rivoluzionarie, ha avvertito che se la Repubblica islamica verrà attaccata, risponderà colpendo lo Stretto di Hormuz, Israele, e le basi americane in Bahrein, Kuwait, Emirati e Arabia Saudita: «E’ - ha detto - una politica dichiarata del mio Paese». Teheran, in effetti, ha minacciato di minare lo stretto. Gli analisti dubitano che lo farà, perché sarebbe contro il suo interesse: anche il petrolio iraniano e le importazioni del Paese transitano per questo tratto di mare largo appena 21 miglia, con due canali di navigazione ampi due miglia ciascuno. Se però gli ayatollah venissero messi con le spalle al muro, impediti a vendere qualunque quantità di greggio, e attaccati nel progetto nucleare, potrebbero rispondere bloccando Hormuz.
L’esercitazione serve a chiarire che questa ritorsione sarebbe inutile, perché le forze in campo potrebbero sminare lo stretto e lanciare risposte molto più pesanti, in grado di mettere in ginocchio il Paese. Nello stesso tempo, però, queste manovre rappresentano anche un segnale per Israele: «Gli Usa - ci spiega Charles Kupchan del Council on Foreign Relations - stanno conducendo una delle più grandi esercitazioni navali nella storia della regione, e hanno una collaborazione militare senza precedenti con lo Stato ebraico. Questa è l’unica cosa che conta davvero, nelle relazioni bilaterali». Intende dire che l’impegno di Obama a difendere Israele è fuori discussione, e questa rappresenta la migliore risposta pratica alla richiesta del premier Netanyahu di imporre «linee rosse» a Teheran. Washington vuole proseguire sulla strada delle sanzioni e del negoziato, e non vuole una guerra alla vigilia delle elezioni presidenziali, ma è pronta ad intervenire.
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