Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 16/09/2012, a pag. 12, l'intervista di Gian Micalessin allo sceicco Abu Ayyad al Tunisi dal titolo " I nemici dell’islam? La Lega Nord ". Da REPUBBLICA, a pag. 8, l'articolo di Angelo Aquaro dal titolo "Stranieri tra gli assalitori in Libia. Sicurezza, Obama sotto accusa". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 9, l'intervista di Lorenzo Cremonesi al prof. Eugene Rogan dal titolo " Reprimere i fanatici? Lo facevano i dittatori ", a pag. 11, l'intervista di Serena Danna a Jeffrey Schnapp dal titolo " Giusto rimuovere i contenuti che offendono razza o fede ". Dal SOLE 24 ORE, a pag. 12, l'articolo di Karima Moual dal titolo " La sottile linea rossa fra islam e Occidente ". Dal MANIFESTO, a pag. 1-5, l'articolo di Giampaolo Calchi Novati dal titolo " Il bacio del principe ".
Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti :
La REPUBBLICA - Angelo Aquaro : " Stranieri tra gli assalitori in Libia. Sicurezza, Obama sotto accusa "
Angelo Aquaro, un fotogramma del film. Aquaro vorrebbe chiarire qual è il dettaglio pornografico ?
Aquaro conclude con queste parole il suo pezzo : " Roberts era stato chiamato per dirigere “Il guerriero del deserto” e poi gli hanno doppiato il film con quella becera, e a tratti comicamente tragica, propaganda anti-Islam: questa sì pornografia vera.". Un film su Maometto se non è elogiativo è pornografico? La satira contro l'islam sarebbe pornografia ?
Ecco il pezzo:
NEW YORK — C’è Al Qaeda dietro all’assalto al consolato di Bengasi. Gli americani stanno cercando le prove nelle intercettazioni di quel maledetto 11 settembre bis. A confermare la tesi dell’attacco pianificato è lo stesso presidente libico. «Alcuni stranieri » — dice Mohamed Magariaf — avrebbero partecipato alle violenze. I soliti sospetti sono i fanatici di Ansar Al Sharia, il gruppuscolo che spadroneggia nella Libia del dopo Gheddafi, e quel che resta di Al Qaeda, cioè gli islamisti di Aquim, Al Qaeda in the Islamic Maghreb. Mentre nell’America che si blinda per paura di nuovi attentati nelle città torna la paura. A Chicago, la città di Obama, il 18enne Adel Daoud è stato arrestato mentre cercava di far esplodere un’auto davanti un bar: ma l’esplosivo, finto, era stato fornito dall’Fbi che gli aveva teso la trappola. Le manifestazioni spontanee scatenate da “Innocence of Muslims” stanno continuando a mettere a fuoco l’intero mondo arabo. Ma i morti di Bengasi pagano quasi sicuramente il suggerimento diretto degli uomini di Aquim: che avrebbero teleguidato i militanti di al Sharia nel secondo tragico atto dell’assalto in due tempi. Sì, l’ambasciatore Chris Stevens era già morto, asfissiato dal fumo dell’incendio appiccato, quando i mortai dei militanti hanno trasformato in un’azione di guerra le proteste. Ma gli uomini della Cia e dell’Fbi cercano comunque le prove della pianificazione per colpire i campi della jihad già nel mirino dei droni e due cacciatorpediniere che Barack Obama ha spedito di fronte alle coste libiche. Il presidente ha giurato da subito che «giustizia verrà fatta» e ieri ha ricordato nel messaggio settimanale «che gli Usa stanno facendo tutto quello che possono per proteggere i propri uomini dislocati nel mondo». Una excusatio quasi petita: da più parti si levano le accuse sulla mancata sicurezza al consolato di Bengasi. Un cablo indirizzato all’ambasciata del Cairo aveva avvertito appena due giorni prima del rischio imminente di manifestazioni di protesta per il film anti-Islam. C’è polemica anche per aver affidato la sicurezza di Stevens e degli altri funzionari ai libici che avrebbero tradito: simpatizzando con la folla offesa dal film. E il quadro si chiude con l’entrata in scena degli uomini della compagnia privata Arcadi. È a loro che sarebbe dovuta essere affidata la sicurezza di Bengasi e delle altre sedi a rischio. E dietro Arcadi si cela la famigerata Blackwater: la società degli orrori accusata dell’uccisione di 17 civili in Iraq. Le promesse di Barack trovano un ulteriore ostacolo. Con uno schiaffo diplomatico il Sudan ha respinto l’invio annunciato dei marines — già dislocati in Libia e nello Yemen — a ulteriore protezione delle ambasciate Usa. Così al dipartimento di Stato non resta che ordinare l’evacuazione del personale. Stesso allarme anche a Tunisi. E l’allerta lanciata a tutti i cittadini Usa: non viaggiate in queste zone a rischio. E pensare che il regalo a quel che resta di Al Qaeda è stato confezionato dagli americani stessi. Ora si scopre che il regista del film-spazzatura — che YouTube, malgrado le richieste della Casa Bianca, continua a tenere online — è Alan Roberts, nome d’arte del 65enne autore di b-movie e porno soft d’epoca come “La Prostituta Felice va a Hollywood”. Anche il maestro, si fa per dire, sarebbe cascato come il resto della troupe nella trappola del produttore Sam Bacile, alias Nakoula Basseley Nakoula, il 55enne californiano cristianocopto, truffatore già finito in cella, interrogato ieri dalla polizia. Roberts era stato chiamato per dirigere “Il guerriero del deserto” e poi gli hanno doppiato il film con quella becera, e a tratti comicamente tragica, propaganda anti-Islam: questa sì pornografia vera.
Il SOLE 24 ORE - Karima Moual : " La sottile linea rossa fra islam e Occidente"
Karima Moual dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Critica il film di satira su Maometto, descrivendo i sentimenti degli islamici al riguardo. Poi, però, critica anche le violenze di questi giorni.
«Ma hai visto come /hanno ridicolizzato il nostro profeta Muhammad? Continuano ad umiliarci. Ci hanno insultato nell'intimo e davanti al mondo intero». Non sono le parole riprese da un barbuto a piazza Tahrir, piuttosto che a Bengasi. Sono le considerazioni di un ragazzo qualunque, che non crederesti nemmeno di fede musulmana: scarpe Converse ai piedi e jeans a vita bassa mentre con gli amici italiani discute a Campo dei fiori, a Roma, e non all'entrata della moschea, pur se è venerdì. La sua considerazione a bruciapelo è la più lucida rappresentazione del senso di appartenenza che sta dietro a quelle immagini della folla che grida e incendia bandiere americane, in segno di odio e guerra verso l'Occidente. Appartenenza a un credo anche se non praticato effettivamente, e magari nemmeno conosciuto nella giusta misura Ma che importa E quell'idea di appartenenza che questa folla sente violata e minacciata a riempire le piazze inferocite. Piazze gremite di tutto e di più. Perchè l'appartenenza, e questo i salatiti lo hanno capito molto bene, è l'unico valore che unisce in questo momento. C'è chi davanti all'ambasciata americana, come testimoniano i giornalisti di al-arabiya, non ha nemmeno visto il filmato incriminato, ma è li perchè glielo hanno detto: «Hanno un'altra volta offeso l'islam, il profeta, tutti noi». Le fragilità, gli insuccessi e le insicurezze trovano conforto e riparo intorno a quel che rimane e gelosamente si vuol custodire: l'appartenenza a una religione che è identità collettiva doverci far paura è questa unione che i fondamentalisti, in questo caso i salatiti, riescono a coltivare nello scontro (il male) più che nell'incontro (il bene). Arrivando sino a un ragazzo di seconda generazione a Campo dei fiori. Più che la primavera araba oggi regna l'anarchia e la confusione ideologica, mentre si lascia serpeggiare senza timore, l'ideologia più buia, intransigente e regressiva. Sia chiaro, il diritto di indignarsi e manifestare contro quell'oscenità che pretende il nome di "film" è sacrosanto. Perché un conto è raccontare e criticare, un altro è denigrare e manipolare fatti storici. La storia, e celo insegna la Shoa, va difesa ogni giorno, che sia nostra o degli altri, perchè è un bene comune, perchè è quella memoria che aiuta ad unirci, a riflettere e magari a ripensarci. Preferibilmente migliori. Giusto dunque indignarsi, ma è intollerabile la violenza barbara e l'impulso ad attribuire all'intero "Occidente" un insulto che è il frutto marcio dell'odio di alcuni. Tanto più che dietro quelle violenze - questo deve essere chiaro- c'è un pericolo molto concreto: la strumentalizzazione. È per questo che hanno fatto male i leader arabi, a partire da Morsi, a non equilibrare meglio il linguaggio tra l'indignazione per l'offesa subita e la denuncia e il pericolo incombente della violenza che ne sta conseguendo. La piazza continua ad accendersi anche per questo. Si sono sentite parole ricercate e toccanti in difesa della sacralità del profeta e la dignità dei musulmani, ma non altrettanto forti contro chi si arroga il diritto di togliere la vita altrui. Sarebbe stato opportuno dare il giusto peso a questa violenza inaudita che sotto la parola «linea rossa» giustifica la morte di chi ha la sola colpa di rappresentare l'Occidente. La vera linea rossa che deve valere per tutti è solo l'omicidio. Così facendo si lascia campo libero ai fanatici, al caos ideologico, che magari porterà qualche consenso iniziale, ma è solo un populismo pericoloso che non fa altro che il gioco della destra islamofoba, di chi vuol dimostrare che l'islam è fatto solo di taglia-teste, incapaci di manifestare pacificamente il proprio dissenso.
Il MANIFESTO - Giampaolo Calchi Novati : " Il bacio del principe "
Giampaolo Calchi Novati
Il nocciolo del pezzo di Giampaolo Calchi Novati è tutto nella domanda finale : "Sarebbe troppo chiedere a Barack Obama una riflessione sulla politica della sua amministrazione nel Medio Oriente, in Palestina, verso l’Iran e l’islam, dopo il discorso al Cairo del giugno 2009 che gli meritò di fatto il Nobel per la pace?". Obama, in definitiva, è troppo aggressivo coi Paesi islamici. In Libia assassinano l'ambasciatore americano per via di un film su Maometto, Obama si scusa per il film, manda una manciata di marines, di fatto non succede nulla, al Qaeda continua con le minacce e gli attacchi alle ambasciate...più morbido di così che altro dovrebbe fare, secondo Calchi Novati ? In quale altro modo potrebbe Obama contribuire al declino dell'America e delle democrazie occidentali ?
Sembrava che la bella addormentata – non si parla del film di Bellocchioma della variegata società araba teatro delle tanto pubblicizzate e tanto travisate «primavere» – si fosse svegliata da sola. Era questa la versione ufficiale, persino a costo di minimizzare pressioni, convenienze e intrusioni. Tornava utile a tutti esaltare quella liberazione come un prodotto autonomo ematuro del ciclo positivo innescato dal trionfo della democrazia e del mercato impersonati dall’Occidente. Persino la morte di Gheddafi, dopo il ludibrio del suo corpo, fu attribuita ai libici, sorvolando sul particolare che a centrare la sua macchina era stato un drone proveniente da Sigonella, questa Guantanamo d’Italia, e guidato a distanza da un computer sito in California. Da quando la transizione, almeno nei paesi in cui c’è stata una prima sommaria stabilizzazione, non corrisponde del tutto alle immagini o alle aspettative, si sta facendo strada un’altra narrazione, che lamenta l’ingratitudine verso chi sarebbe stato il vero autore di quella «liberazione ». I più cinici, o più ingenui, arrivano a dire che dopo tutto gli Stati Uniti, ora sotto tiro in molte capitali arabe, hanno compiuto il beau geste di «sacrificare» i loro fedeli alleati (e si pensa soprattutto a Mubarak perché la posta vera, anche per Israele, è ovviamente l’Egitto). Dai commenti prevalenti non risulta in modo chiaro chi avrebbe tradito chi, ma il significato della deplorazione è che in realtà la bella addormentata è stata riportata alla vita dal bacio di un principe. Se ne deduce che su quelle labbra c’era qualche goccia di veleno. Nell’occasione dolorosa dell’assalto al consolato americano di Bengasi, con la morte violenta dell’ambasciatore Chris Stevens e di altri funzionari, siaObama che Hilary Clinton non sono stati irreprensibili. Il presidente ha rivendicato la fermezza degli Stati Uniti su un principio irrinunciabile, che è risultato essere non la difesa della libertà o la giustizia ma la leadership del mondo. Il segretario di stato ha dichiarato che «la tirannia della piazza non può sostituire la tirannia dei dittatori» passando un bel colpo di spugna sulla mitologia di piazza Tahrir e delle altre rivolte, non propriamente pacifiche e alcune ancora in corso. Forse non era il modo migliore per l’ultimo saluto allo sfortunato diplomatico che – come hanno testimoniato anche alcuni giornalisti italiani rivelando per una volta le loro fonti – si trovava a Bengasi già nelle prime settimane della guerra civile a «coordinare » i ribelli in armi. Non è qui il luogo per ricostruire la complessità del movimento che da Tunisi si è andato espandendo in gran parte del mondo arabo. Anche i più sprovveduti sapevano o capivano che si stavano confrontando forze di segno diverso che partivano da premesse diverse e perseguivano obiettivi diversi. Inevitabilmente, sarebbe venuto – e in parte è già venuto, ancorché con responsi provvisori – il momento dei conti e delle verifiche. Tirare delle conclusioni affrettate a un anno circa dagli avvenimenti può essere una conseguenza della cultura del web ma è anche un espediente per ipotecare nella direzione preferita sbocchi ancora tutti da definire. Le oligarchie rimaste al potere per decenni si accreditavano presso i loro protettori occidentali asserendo di essere un baluardo contro il «fondamentalismo »: se era solo un pretesto, la profezia si è autorealizzata. Con le elezioni o con la collera ha preso il via un’altra pagina di storia. Sorprende che a tanti anni dalle denunce degli equivoci dell’«orientalismo» siano ancora in voga analisi pre-Said, che interpretano il mondo araboislamico non per le sue dinamiche reali ma per i pregiudizi e gli interessi dell’Occidente. È questo a ben vedere il vero tradimento delle Primavere arabe. Fra i tanti fraintendimenti il più pericoloso è quello, di inconfondibile stampo coloniale, che concepisce le guerre del Nord civilizzato come un atto dovuto e sostanzialmente a senso unico. La reazione di Obama ai fatti di Bengasi si spiega solo con un sistema che si regge sui postulati di un universalismo rigorosamente eurocentrico. Non solo il nemico esiste solo per essere colpito o sterminato, ma tutti gli «altri», come del resto è insito nella tradizione liberale, non hanno diritti. Fino a ieri si fingeva che la Libia fosse un paese sovrano eppure, come in un Afghanistan o una Somalia qualsiasi, gli Stati uniti mandano in Cirenaica marines e squadriglie di aerei e missili per dare la caccia ai colpevoli. Fra qualche giorno il candidato democratico alla Casa Bianca potrà forse confermare la sua fama un po’ sinistra di «presidente che sa uccidere». Non mancheranno poche o tante vittime fra i civili, ma, come negli assassinii mirati in Pakistan e Yemen, saranno danni collaterali che non fanno notizia. Sarebbe troppo chiedere a Barack Obama una riflessione sulla politica della sua amministrazione nel Medio Oriente, in Palestina, verso l’Iran e l’islam, dopo il discorso al Cairo del giugno 2009 che gli meritò di fatto il Nobel per la pace?
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Reprimere i fanatici? Lo facevano i dittatori "
Eugene Rogan
Ecco con quali parole Eugene Rogan commenta gli avvenimenti recenti in Libia : " Si continuano ad applicare due pesi e due misure. In nome della libertà di parola, dei tanto conclamati diritti universali dell'individuo, ci ostiniamo a dire che chi nega l'Olocausto è giusto venga perseguitato, in Germania l'apologia del nazismo resta un reato, ma se vengono offesi Maometto e la religione islamica allora tutto va bene. Dobbiamo capire che ciò crea risentimento e frustrazione". Che cosa c'entra la Shoah? Lo sterminio degli ebrei è un fatto storico, a negarlo sono i criminali. Questo non ha nulla a che vedere con il diritto d'espressione, nè col diritto di satira. Nessuno vieta ad un islamico di fare un film di satira sulla figura di Mosè, per esempio. Susciterebbe polemiche, ma a nessuno verrebbe in mente, in risposta, di assaltare l'ambasciata di uno Stato islamico e assassinare l'ambasciatore.
L'unico ad applicare due pesi e due misure, qui, è Eugene Rogan con la sua teoria assurda.
Ecco l'intervista:
IL CAIRO — «La grande novità dell'ultimo anno è che adesso in Medio Oriente ci sono governi eletti in modo democratico dove l'opinione pubblica conta come mai era stato prima. In Egitto, Libia o Tunisia, persino in Yemen, i dirigenti politici devono ascoltare le piazze. Non possono più ignorare, incarcerare, torturare o uccidere gli oppositori, come facevano prima Mubarak, Gheddafi, Ben Ali e ancora oggi i dittatori della risma di Bashar Assad. Credo che il cambiamento sia importantissimo e positivo. Nonostante crescano le critiche contro le primavere arabe, io resto ottimista. Però in Occidente sono tanti a ignorare le richieste che vengono da quelle piazze. Si continuano ad applicare due pesi e due misure. In nome della libertà di parola, dei tanto conclamati diritti universali dell'individuo, ci ostiniamo a dire che chi nega l'Olocausto è giusto venga perseguitato, in Germania l'apologia del nazismo resta un reato, ma se vengono offesi Maometto e la religione islamica allora tutto va bene. Dobbiamo capire che ciò crea risentimento e frustrazione». È un grande sforzo di comprensione verso il mondo islamico l'analisi proposta dal professor Eugene Rogan in quest'intervista telefonica dal suo ufficio nell'università di Oxford. Massimo storico del mondo arabo, Rogan ne segue con attenzione anche le cronache.
Ma non crede che le primavere arabe siano scadute nell'odio di religione che uccide le spinte democratiche originarie?
«Non lo penso. Piuttosto, è un lungo processo di adattamento, che il mondo occidentale in larga parte non capisce. Tutte le rivoluzioni nella storia hanno avuto alti e bassi. In Medio Oriente il fanatismo confessionale c'è sempre stato. Semplicemente prima veniva brutalmente represso. Con la fine delle dittature, viene alla luce la realtà di società profondamente impregnate dall'Islam, per le quali l'offesa dei valori religiosi è gravissima».
In piazza Tahrir ieri sostenevano in tanti che Internet va censurata contro la diffusione di contenuti offensivi per l'Islam. Ma non sapevano cosa rispondere quando si ricordava che la loro rivoluzione è figlia di Internet.
«È vero, sono in contraddizione. Pure, è il vecchio discorso dello scontro innato tra libertà di parola e reato per incitamento alla violenza. Il confine è molto sottile e varia con il variare dei valori collettivi».
Ma a Bengasi hanno ucciso. In Sudan hanno attaccato anche le ambasciate tedesca e inglese. Gli estremisti approfittano dell'intolleranza delle piazze?
«I primi risultati dell'inchiesta in Usa paiono dimostrare che un gruppo di guerriglieri ha approfittato delle manifestazioni popolari per compiere l'attentato in Libia che stava già preparando nella ricorrenza dell'11 settembre. Però non dobbiamo elidere il problema con la facile spiegazione delle minoranze fanatiche. In generale le violenze degli ultimi giorni rispecchiano sentimenti popolari diffusi e con questi dobbiamo fare i conti».
Come legge le ambiguità del neo-presidente egiziano Mohamed Morsi? C'è voluto il duro intervento personale di Barack Obama perche finalmente condannasse le rivolte.
«Morsi deve destreggiarsi tra l'interesse a mantenere i buoni rapporti con Washington e le pressioni del suo elettorato. Rappresenta solo una delle tante anime del fronte islamico. Ci sono i Fratelli musulmani pragmatici come lui, che l'anno scorso andavano a braccetto con i militari in attesa di prendere il potere. Ma anche i wahabiti puristi legati all'Arabia Saudita, i conservatori salafiti radicati nel cuore dell'Egitto».
Intanto però l'antico scontro tra sciiti e sunniti monopolizza il conflitto in Siria, domina la regione. Conseguenza del confessionalismo imperante?
«Le primavere arabe non sono avvenute in un vacuum. Sciismo e Sunna erano in guerra anche prima. Ed è diventata più accesa dopo l'invasione americana dell'Iraq nel 2003. Una gravissima sconfitta per i sunniti. Da allora l'influenza iraniana si è allargata sulle sponde del Mediterraneo via Siria e Libano. Non stupiscono le preoccupazioni di Arabia Saudita e monarchie del Golfo. Ciò spiega l'intensità della guerra in Siria. Comunque Bashar Assad cadrà tra violenze indicibili. Non credo proprio che la mediazione del nuovo inviato dell'Onu, Lakhdar Brahimi, abbia prospettive di successo. Qui, come nelle altre realtà rivoluzionarie, le opposizioni sono sempre state perseguitate, non hanno avuto la possibilità per studiare le strategie del dopo, manca una cultura di governo. Sono rivolte contro, non per qualche cosa. Ma ciò nulla toglie al valore di essersi liberati della dittatura».
CORRIERE della SERA - Serena Danna : " Giusto rimuovere i contenuti che offendono razza o fede "
Jeffrey Schnapp
Come può una persona che vive in un Paese democratico schierarsi a favore della censura di un film ? La censura non appartiene alle democrazie.
Ecco l'intervista:
Saranno le origini da filologo romanzo o l'attitudine a mettere insieme arti diverse, fatto sta che quando osserva le dinamiche del web, Jeffrey T. Schnapp non cade nelle polarizzazioni tipiche degli addetti ai lavori. Nella decisione di Google di censurare in alcuni Paesi il trailer del film «Innocence of Muslims», il co-direttore del Berkman Center for Internet and Society di Harvard non vede un attentato alla libertà di espressione. Né tantomeno ritiene un atto coraggioso l'aver respinto la richiesta dell'amministrazione americana di rimuovere il video. Raggiungiamo telefonicamente Schnapp, 58 anni, durante le prove dello spettacolo «The e-info age Remix» in programma a Milano.
Da un lato il no alla richiesta di Washington di censurare il video «anti-Maometto», dall'altro la rimozione del video in India, Indonesia, Libia ed Egitto: come giudica il comportamento di Google?
«L'azienda sta operando all'interno del perimetro tracciato nel 2007 dalle "community guidelines". Ci sono regole chiare sulla pubblicazione dei video e quando vengono violate — ad esempio se offendono la razza, il genere o la religione di un utente — il contenuto deve essere rimosso, altrimenti non c'è alcuna ragione per bloccarlo».
In questo caso però la rimozione del trailer del film, laddove è avvenuta, ha seguito parametri «straordinari».
«La decisione è stata presa basandosi sulle leggi locali dell'India e dell'Indonesia, che considerano il contenuto del video "illegale", e sulla situazione d'emergenza in Egitto e in Libia».
È proprio il potere discrezionale di Google a spaventare i difensori della libertà di espressione.
«Bisognerebbe giudicare le azioni di Google nei fatti, non appellandosi a principi astratti. Credo che l'azienda stia gestendo in maniera responsabile le contraddizioni della Rete. La decisione di resistere alle pressioni del governo americano è un buon segnale per la libertà online. Quando si crea attrito tra i governi e le multinazionali che gestiscono i nostri dati vuol dire che il sistema democratico è sano. Ho criticato Google quando ha deciso di lasciare la Cina per non scontrarsi con il potere politico che voleva imporre i suoi parametri di pubblicazione e distribuzione delle notizie. Il cammino verso la democrazia è lento, l'azienda avrebbe dovuto lavorare per assecondarlo. Non hanno avuto il coraggio di farlo».
Sembra attribuire al colosso di Mountain View un ruolo politico. È giusto che una multinazionale abbia un tale potere sui cittadini?
«Tutto il mondo che riguarda la comunicazione ha un peso politico ed è assurdo far credere il contrario: un giornale decide se dare o meno una notizia e con che tipo di rilevanza. Nel caso dei video su YouTube sono gli utenti, i cittadini, a denunciare direttamente all'azienda se violano le regole stabilite. E i governi vengono trattati come singoli utenti».
Gli interessi di un privato possono essere paragonati a quelli di una nazione?
«Sì, se si vuole resistere alle pressioni. Google ha ricevuto settemila richieste di censure in sei mesi lo scorso anno».
È caduto dunque il mito della «neutralità della Rete»: il principio in base al quale gli operatori di Rete si limitano a trasmettere dati e contenuti senza filtrarli?
«I parametri per filtrare i contenuti online devono essere decisi solo dagli utenti. La neutralità degli «intermediari», le piattaforme e i canali che li ospitano, va garantita. Ma il processo nel suo complesso resta politico».
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " I nemici dell’islam? La Lega Nord "
Abu Ayyad al Tunisi
In questo caso a dover essere criticato è il titolo, non rende l'idea del contenuto dell'intervista, che riprendiamo più che altro per le dichiarazioni dello sceicco salafita. Servono a comprendere quanto sia impossibile dialogare con l'islam.
Ecco l'intervista:
La Lega Nord ha un posto d’onore sul taccuino dei nemici dell’Islam. Parola dello sceicco Abu Ayyad al Tunisi, leader di Ansar al Islam, gruppo ultra jihadista in prima fila nei disordini di questi giorni in Tunisia e omonimo di quello che è dietro l’assalto all’ambasciata Usa di Bengasi. Lo sceicco che uscì dal carcere in seguito alla rivolta tunisina, in questa intervista rilasciata al Giornale nello scorso dicembre anticipava la visione dei salafiti e il loro odio per l’Occidente. Italia inclusa.
La rivoluzione tunisina è stata una rivolta democratica o una rivolta islamista?
«Le definizioni contano poco ma per noi è stata una ribellione contro una dittatura che combatteva la religione. Quindi alla base di tutto c'era l'Islam. La gioventù salafita ha iniziato la rivoluzione nel 2003 e 2004. Abbiamo sfidato il regime dentro e fuori le carceri fin dal 2006. Gli slogan della rivoluzione erano islamici, nessuno inneggiava a Karl Marx o Obama».
Anche Al Qaida si definisce islamista per voi è un movimento legittimo?
«Al Qaida ha il grande merito di aver liberato la gente dalla paura e dalle catene. È un vento di cambiamento storico».
Bin Laden è morto. Al Qaida è stata sconfitta?
«Al Qaida non è stata assolutamente sconfitta. Al Qaida è ovunque e si diffonde soprattutto su internet.
Grazie agli insegnamenti di Al Qaida la nazione islamica sta vincendo. L'occidente è in decadenza, l'islam invece sta crescendo. Al Qaida con una sola operazione nel 2004 ha costretto la Spagna ad andarsene dall'Iraq e ha fatto cadere il governo Aznar. Qualche volta perdiamo ma qualche altra vinciamo. L'Occidente ci accusa di portare solo distruzione e morte ma nasconde il bene che facciamo. Noi ci battiamo per il bene della gente».
Siete pronti a schierarvi anche contro il governo del Nahda?
«L'Occidente e i suoi agenti lo condizionano e loro impediscono a noi di diffondere la verità. Se non ci lasciano svolgere il nostro ruolo, se ci rifiutano il diritto di svolgere la nostra missione ne pagheranno le conseguenze. L'occidente e suoi agenti bloccano a trasmettere la parola giusta.
Il Nahda è un partito islamico non siete soddisfatti del loro governo?
«I mezzi e le idee della politica per noi contano poco. Non possiamo accettarli. Soprattutto se si tratta di mezzi o maniere che vanno contro il libro di Dio e la Sharia del suo profeta. Tra noi e loro rimangono solo relazioni di fratellanza a livello personale. Ci comportiamo con loro come con i nostri fratelli, li invitiamo ad imboccare la strada giusta. Ma non accettiamo la strada che hanno scelto ».
Quindi che governo vorreste ?
«L'unico governo accettabile è quello ispirato alla Sharia alla legge di Dio, solo la legge di Dio, per governare».
Cosa significa essere salafiti
«Il termine salaf é molto antico risale all' inizio del islam, ma il suo significato negli ultimi tempi è molto cambiato. Oggi , questo termine ha assunto il significato di ideologia politica e non religiosa. Il salafita è semplicemente colui che vive in base agli insegnamenti del Corano e dalla sunna del profeta e vuole applicare la legge di Dio.
Ma l'impiego di queste parole nel campo politico, le ha però svuotate di molto del loro significato. L'errore è anche dei musulmani perché discutono con l'Occidente o con degli infedeli i dettagli della loro fede.
Quindi non me li può spiegare?
«Se non sei musulmano non posso discutere con te i dettagli della mia fede. Dobbiamo parlare solo di Dio. Se sarai d'accordo con me significherà che accetti la mia religione e quindi anche i suoi dettagli ».
Secondo voi le donne devono indossare il niqab, la copertura islamica integrale?
«Sul niqab è in corso un dibattito religioso ma noi invitiamo le donne a metterlo. Però non ci mettiamo a discutere questa controversia con un italiano o un francese. Ne possiamo discutere solo con altri musulmani. Voi italiani avete organizzato una compagna feroce contro il “niqab”, perché dietro questo ci sono interessi politici. La Lega Nord è il più grande nemico del islam e ha creato questa polemica per allontanare gli italiani dal islam».
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