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La Repubblica Rassegna Stampa
13.09.2012 Libia, attacco all'ambasciata americana: le critiche
Charles Kupchan, Ian Buruma, Lucio Caracciolo, Moni Ovadia

Testata: La Repubblica
Data: 13 settembre 2012
Pagina: 6
Autore: Alberto Flores D'Arcais - Antonio Monda - Lucio Caracciolo
Titolo: «Ma non c'è una nuova ondata di odio anti-Usa - E un attacco politico contro l'America, i fanatici hanno troppo spazio in Libia»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 13/09/2012, a pag. 6, l'intervista di Alberto Flores D'Arcais a Charles Kupchan dal titolo " Ma non c'è una nuova ondata di odio anti-Usa ", a pag. 9, l'intervista di Antonio Monda a Ian Buruma dal titolo " E un attacco politico contro l'America, i fanatici hanno troppo spazio in Libia  ", a pag. 1.30, l'articolo di Lucio Caracciolo dal titolo " Libia, il fuoco dell'estremismo sulla Primavera araba  ".

Charles Kupchan, Ian Buruma, Lucio Caracciolo. Tutti accomunati da un buonismo di fondo che rasenta la volontà di autodistruzione. Voltare la testa dall'altra, illudersi che ci sia una 'primavera' da recuperare, che non sia odio per l'Occidente, sostenere che il film sia stato una vuota provocazione e non difendere la libertà d'espressione. Tendere la mano all'islam in cerca di dialogo non funziona. Basta vedere la storia passata per rendersene conto.

Ci eravamo illusi che, almeno questa volta, Moni Ovadia avesse risparmiato i lettori dalle sue assurde teorie. Ci sbagliavamo. In un'intervista su LEGGO (che non riportiamo per non tediare i lettori), fra le varie farneticazioni, riesce a definire George W. Bush e Tony Blair con queste parole : "Saddam Hussein era un dittatore, vero. Ma George W. Bush e Tony Blair come vogliamo chiamarli?".
Ecco i pezzi:

Alberto Flores D'Arcais - " Ma non c'è una nuova ondata di odio anti-Usa "


Charles Kupchan

NEW YORK— «E una guerra interna. Vogliono destabilizzare il governo libico, non penso sia una nuova ondata di anti-americanismo». Per Charles A. Kupchan, uno dei principali esperti di politica estera negli Usa — ha lavorato nell'amministrazione Clinton, è autore di libri di successo (La fine dell'era americana, Come i nemici diventano amici) — i sanguinosi attacchi di Bengasi, «scatenati da quel video anti -islamico», non mettono a rischio i rapporti degli Usa con i Paesi della "primavera" araba Bengasi Indica una nuova strategia anti-americ a n a nei Paesi arabi? «E la risposta, inaccettabile, a un video girato e diffuso in America. Si tratta di milizie armate che combattono contro il governo libico, che vogliono destabilizzarlo. Loro sono anti-americani, ma combattono su un fronte interno». La Casa Bianca ha inviato 200 mari-nes. E possibile un'escalation militare? «E una risposta direi scontata e giusta, considerato che sono stati uccisi l'ambasciatore Usa e altri cittadini americani. L'obiettivo è quello di mettere al sicuro i cittadini e i beni americani in Libia. Non ci saranno interventi militari contro la Libia». Cosa accadrà tra Washington e Tripoli? «Non credo che quanto accaduto possa rovinare le relazioni tra Washington e il governo libico. Non dobbiamo dimenticare il coinvolgimento degli Stati Uniti nell'intervento della Nato in Libia». Il governo libico appare ostaggio delle milizie armate. «In Libia c'è stata una lunga guerra civile. Non vedo un nuovo anti-americanismo. Sono esplosioni di rabbia. L'opposizione armata va isolata, diamo tempo e aiuti al governo eletto. Ritengo che il post-Gheddafi sia migliore di quanto ci potessimo aspettare. Non c'è stata la dissoluzione del Paese». La "primavera" araba è fatata? «E importante vedere gli eventi in prospettiva. Quella che è stata definita "primavera" èunlungo processo di transizione. Il passaggio da dittature e governi autoritari a forme più democratiche non è mai semplice. Nei Paesi arabi è ancora più complesso che altrove, per motivi religiosi, culturali, tradizionali». Egitto, Siria, Libia. Lademocrazia non si sta allontanando? «Ripeto, è un processo molto lungo. E vale anche per la Siria. Quando cadrà As-sad ci vorrà molto tempo perché la situazione diventi stabile. L'importante è che in questi processi gli Stati Uniti el'Europa siano presenti». Mitt Romney ha attaccato duramente Obama sulla Libia. La politicaestera può diventare decisiva nella corsa alla Casa Bianca? «Non credo. E non penso convenga neanche a Romney. Le dichiarazioni sulla Libia fanno parte del"gioco" elettorale. Ma sul terreno della sicurezza nazionale, che è stato tradizionalmente un cavallo di battaglia repubblicano, la Casa Bianca di Obama oggi ha un grande vantaggio». E le difficoltà d i Obama con Israele e il premier Netanyahu sulla questione nucleare iraniana? «Il presidente sull'Iran è molto fermo. Gli Stati Uniti non accetteranno l'atomica di Teheran. La differenza con Netanyahu è sulla cosiddetta "red line": in che momento diventerà necessario un attacco militare contro i siti nucleari iraniani. Quanto alle polemiche sull'incontro tra Obama e il premier israeliano lasciano il tempo che trovano. Il presidente due giorni fa ha parlato un'ora al telefono con Netanyahu e i contatti sono continui».

Antonio Monda - " E un attacco politico contro l'America, i fanatici hanno troppo spazio in Libia "


Ian Buruma

Ian Buruma è sconvolto per quanto è accaduto l'altra notte a Bengasi, e preoccupato perunapossibile escalation diviolenza anti-americana. ma si sforza di comprendere lucidamente le motivazioni profonde di quanto sia successo e come debba essere analizzata questa nuova tragedia alla luce dei rapporti tra Occidente e Islam. «Fa impressione - spiega lo scrittore - pensare che l'ambasciatore ucciso fosse conosciuto come uomo del dialogo» racconta nel suo ufficio del Bard College "e inoltre era stato pubblicamente apprezzato dai ribelli che avevano scacciato Gheddafi». Vede qualche affinità tra l'omicidio dei quattro americani a Bengasi e quello di Theo Van Gogh, sul quale lei ha scritto "Assassinio a Amsterdam"? «No, quello che sta emergendo è che a differenza dell'omicidio di Amsterdam in questo caso c'è qualcosa di molto più organizzato, che pare si possa ricondurre ai gruppi salafiti del Maghreb che tentano di riformare Al Qaeda. Solo un gruppo simile può aver organizzato un attentato del genere, nel quale sono stati addirittura usati razzi. L'omicidio di Van Gogh era stato opera di un fanatico, Muhammad Bouyeri, forse aiutato da qualche compare. Nel caso di Bengasi ci troviamo di fronte ad un attentato politico» Dai resoconti dell'intelligence Usa sta emergendo anche che il film blasfemo su Maometto sia stato un pretesto eche l'obiettivo era anche quello di colpire gli americani nell'anniversario dell' 11 Settembre. «Su questo ancora non abbiamo certezze. Certo sarebbe strana una coincidenza proprio in una data del genere». Ritiene che questa vicenda avrà un peso nelle prossime elezioni americane? «Non credo: personalmente sono convinto che la politica estera abbia uno scarso peso nelle scelte divoto degli elettori americani. Inoltre Obama ha un record inappuntabile in politica estera, a differenza di Romney, che infatti ne parla il meno possibile. Certo, la ricorrenza dell'attacco alle Torri assume un valore simbolico, ma un assalto del genere avrebbe avuto un reale effetto politico se fosse avvenuto ad esempio Washington o a New York». Come può un paese che considera la libertà di espressione come uno dei propri valori fondanti, dialogare con nazioni in cui questa libertà non esiste? «E il grande problema della nostra epoca, e penso che il governo americano faccia bene a tentare un dialogo con il governo legittimamente eletto in Libia. Sapendo che invece non ci sono affatto margini con Al Qaeda o organizzazioni simili, che non hanno alcun intenzione di dialogare. Voglio aggiungere che quanto è successo è da leggere in maniera capovolta: con Gheddafi, o in Egitto con Mubarak, questo difficilmente sarebbe successo. Il tragico paradosso vuole che le dittature minimizzino queste situazioni, mentre l'attuale situazione politica lascia spazio libero sia ai democratici che ai fanatici». Nel mondo occidentale la divinità è spesso oggetto di arte provocatoria o addirittura blasfema. «La prima riflessione da fare è ovviamente che una reazione di questo tipo in Occidente sarebbe inconcepibile. Ma c'è da aggiungere che l'Occidente non è affatto uniforme: inAmerica il primo emendamento consente assoluta libertà di espressione mentre in alcuni paesi europei c'è unavisione molto più restrittiva». Sam Bacile, autore de "L'innocenza dei Musulmani", ha definito l'"Islam un cancro". «Credo che si tratti di un estremista folle e l'asserzione lo dimostra. Tuttavia, per quanto grave sia quello che dice, ritengo che sia importante difendere il principio garantito dal primo emendamento e affermare che abbia il diritto di dire anche una cosa del genere». Intanto, per tornare alla politica estera, Netanyahu ha lanciato un attacco durissimo, dicendo anche che l'America non ha"nessun diritto morale di contenere le azioni di Israele per la propria sicurezza". Si riferiva all'Iran «Diritto morale è un'espressione curiosa e inappropriata. Credo che in realtà l'America ne abbia il diritto, dal momento che è il maggiore alleato di Israele. Mi sembra un'affermazione errata e demagogica con cui tenta di spera di danneggiare Obama e favorire Romney». Quale può essere il ruolo delle religioni in questa vicenda? «Le religioni hanno sempre avuto un ruolo duplice. Le rispondo con Spinoza: la religione va benissimo fin quando fa comportare gli uomini in maniera pacifica». Il suo libro sull'uccisione di Theo Van Gogh ha come sottotitolo "i limiti dell a t o ll e rana"?Dove vede quei limiti oggi? «Dove li ho sempre visti. Sono assolutamente in linea con il primo emendamento, che ritengo una grande ricchezza di questo paese, e rispetto perfino la libertà di affermare cose stupide e offensive. Il limite per me è nella violenza, che è sempre da rifiutare e condannare».

Lucio Caracciolo - " Libia, il fuoco dell'estremismo sulla Primavera araba "


Lucio Caracciolo

L'obiettivo strategico dei jihadisti che hanno assassinato l'ambasciatore americano a Tripoli è la strana ma efficiente alleanza Stati Uniti-Fratelli musulmani emersa dalla “primavera araba”. L'identico bersaglio dei salafiti che nelle stesse ore si sono scatenati contro la sede diplomatica Usa al Cairo per protestare contro il provocatorio film su Maometto prodotto da un oscuro uomo d'affari israelo-americano, sponsorizzato da donatori ebrei, cristiani copti egiziani e ultrareazionari protestanti americani. La coincidenza con l'anniversario dell'11 settembre e con l'avvio della fase decisiva della campagna per la Casa Bianca accentua l'eco di eventi già traumatici. 

Poco importa se la coincidenza fra la diffusione in Internet di alcuni estratti del film antimaomettano, l'assassinio del diplomatico americano e le proteste nella capitale egiziana - destinate a diffondersi nel vasto arcipelago islamico - sia o meno frutto di premeditazione. Contano gli effetti, non solo in Nordafrica ma in tutto il Grande Medio Oriente. È troppo presto per stabilirli, non per ragionare sulla dinamica degli eventi in Libia e in Egitto, come sul modo in cui vorrà reagire l'America. 

Partiamo dalla Libia. Il regime di Gheddafi è crollato, ma non ne è nato uno nuovo. Anzi, nelle ultime settimane la violenza si è riaccesa, non solo nel profondo Sud, dove ancora si asserragliano i reduci del colonnello. Il governo legittimato dal voto è tuttora in gestazione, mentre le milizie che hanno vinto la guerra civile non intendono disarmare. E spesso si sparano addosso.  

Recentemente a Tripoli sono tornate ad esplodere le autobomba. I salafiti - musulmani radicali - hanno dato l'assalto a siti storici di confraternite sufi, vocazionalmente pacifiche e moderate. In Cirenaica si concentrano i jihadisti, alcuni dei quali reduci dall'Iraq o pendolari da e per la Siria, tra i quali i responsabili della strage di Bengasi, probabilmente preparata da tempo. Presso Derna sono installati alcuni campi gestiti da qaidisti, sorvegliati dall'alto dai droni americani. Polizia ed esercito in ricostituzione non sono in grado di affrontarli. Le tribù locali girano al largo. 

Alcuni osservatori occidentali preconizzano un nuovo Afghanistan alla nostra frontiera meridionale. Esagerano, probabilmente. Non più di quanto facciano i cantori della Libia democratica, che immaginano uno Stato libero e democratico dove invece regna l'anomia. Intanto i pallidi rappresentanti della “nuova Libia” accusano americani ed europei di averli abbandonati a loro stessi.  

Quanto all'Egitto, è il modello dell'intesa Fratelli musulmani-Stati Uniti. Dopo averli bollati per decenni come terroristi, Washington ha deciso di puntare sugli islamisti quali provvisori sostituti dei dittatori amici liquidati dalle rivolte, in assenza di alternative al caos permanente. I rivoluzionari filo-occidentali della prima ora si sono rivelati troppo deboli e divisi, un po' come i dissidenti dell'Est dopo il crollo del Muro. Quanto ai militari egiziani, infiltrati dagli islamisti, hanno dovuto accettare l'inversione dei ruoli nel flessibile patto di non aggressione da tempo stipulato con i Fratelli: oggi a dettar legge sono questi ultimi, guidati dallo scaltro presidente Mohamed Morsi, mentre le gerarchie dell'esercito mordono il freno.  

L'ala estremista dei salafiti mal sopporta però il nuovo regime, così come, sul fronte opposto, la corposa minoranza copta. Il successo ottenuto dal partito salafita alle elezioni (un quarto dei voti) indica che la corrente più radicale dell'islam egiziano è un fattore con cui i Fratelli - e i militari - devono fare i conti. Se il clima dovesse infiammarsi, per causa dell'ennesima provocazione dei crociati antimaomettani, e se la crisi economica dovesse inasprirsi, gli equilibri allestiti in questi mesi potrebbero saltare.  

Sempre che non ci pensino gli israeliani, attaccando l'Iran [vedi carta], a riazzerare l'intera partita mediorientale. Una mossa da roulette russa. Con i terroristi islamici che rialzano la testa, Gerusalemme potrebbe invocare una ragione in più per rovesciare il tavolo - e la mal digerita intesa Fratelli musulmani-Stati Uniti.  

E l'America? Mentre Romney lo accusa di debolezza verso i terroristi, Obama esibisce il suo leggendario sangue freddo. Salvo stupirsi per il fatto che l'attacco sia avvenuto “in un paese che abbiamo contribuito a liberare, in una città che abbiamo salvato dalla distruzione”. Questo per il pubblico. Senza troppo clamore, è scontato che droni Usa bombarderanno le basi jihadiste in Cirenaica e qualche effettivo o presunto caporione qaidista sarà liquidato in stile israeliano.  

Di tutto ha bisogno Obama meno che di rimettere in discussione lo strombazzato successo contro al-Qaida, sigillato con lo scalpo di bin Laden - peraltro mai esibito. Ogni mossa del presidente, nelle prossime settimane, sarà unicamente calibrata sulla rielezione.  

Purtroppo storia e cronaca confermano che raramente i fatti si conformano all'agenda della democrazia americana.

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