11 anni dopo l'11 settembre. Bisogna ricordare le vittime, ma anche riflettere
11 settembre
Cari amici,
oggi ricorrono gli undici anni dall'attacco terroristico a New York in cui morirono migliaia di persone. Bisogna naturalmente ricordare le vittime, ma credo sia nostro dovere, per onorarle, fare qualcosa di più del lutto e del ricordo, cercare di pensare e di comprendere. Quell'attentato non fu il primo della serie, c'era stata per esempio la strage dei marines in Libano, attuata da Hezbollah e quella del centro ebraico di Buenos Aires, organizzata dall'attuale ministro della difesa iraniano Vahidi, per non parlare di tutti gli attentati terroristici palestinesi. Ma allora fu colpito il centro dell'America e dell'Occidente, la città simbolo della nostra cultura. Fu, se volete, la dichiarazione formale dell'inizio della III guerra mondiale, in cui noi siamo coinvolti, senza volerlo e magari senza neppure saperlo. Da parte del terrorismo islamico seguirono altri sanguinosi attacchi nella metropoli, da Londra a Madrid. Ma il fronte di guerra si spostò nel Medio Oriente, per la decisione di Bush di colpire non solo l'Afganistan, che era il principale santuario di Al Qaeda, ma anche l'Iraq.
Gli storici discuteranno a lungo su questa scelta, che colpiva un nemico ben noto, pericoloso, ma forse controllabile in altra maniera. La parte propriamente militare dell'operazione irachena si concluse presto e facilmente; quel che non funzionò fu la seconda parte, il tentativo di sostituire il regime nazista di Saddam Hussein con qualcosa di più civile e pacifico. Gli scontri interreligiosi e gli attacchi antiamericani si moltiplicarono, rendendo ingovernabile il paese; ma soprattutto sia sul piano interno che su quello internazionale la distruzione del dominio sunnita di Saddam diede spazio agli sciiti e al loro stato guida, l'Iran, che oggi in sostanza domina il vicino e un tempo rivale Iraq. Fu in sostanza una sconfitta per l'Occidente, com'è una sconfitta l'incapacità di concludere positivamente la guerra in Afghanistan, e sono sconfitte i rovesciamenti di regimi più o meno pacificati con l'Occidente in Egitto, Tunisia, Yemen. La primavera araba è tutta una battaglia perduta. Ci ha messo la coda anche una sconfitta interna, l'elezione di un antiamericano e antioccidentale filoislamico come Obama alla presidenza degli Stati Uniti. E naturalmente anche la crisi economica incoraggiata dalla sua incapacità.
Oggi, a undici anni dalle Twin Towers, la situazione è molto peggiore di allora. La Russia sta recuperando il ruolo di opposizione all'America che aveva ai tempi della vecchia Urss, vi sono significativi centri di potere antioccidentale in America Latina (al di là di Cuba, il Venezuela, la Bolivia ecc.), Israele è diplomaticamente oltre che fisicamente accerchiata, anche con la complicità degli intellettuali e dei politici europei, il mondo arabo sta passando tutto sotto il governo oppressivo degli islamisti. Non c'è stata la capacità o la volontà di tradurre soft power che la cultura materiale dell'Occidente ha esercitato anche in questi anni (si pensi a tutto il mondo della tecnologia mobile di Internet, dagli smartphone ai tablet, e poi ai social media come Facebook e Twitter, oltre che, come sempre, alla musica, al cinema ecc.), in influenza politica vera. Soprattutto l'America è governata oggi da un'ideologia terzomondista e radicale che ne tradisce l'identità profonda e la indebolisce dal di dentro. La crisi economica sembra continuare ed erodere a sua volta la capacità di egemonia da parte dell'Occidente.
Il risultato di tutto ciò è una situazione di estremo pericolo. Per fortuna Israele, che è nel centro del conflitto, è governata bene, senza gli ideologismi che avevano portato il partito laburista e in parte anche Kadima a smarrire il senso del possibile. Israele sta cercando di opporsi, per noi tutti e non solo per se stesso, all'armamento atomico dell'ala più estrema e violenta dell'islamismo, rappresentato dall'Iran. Gli Stati Uniti hanno con le elezioni di novembre la possibilità di liberarsi dall'amministrazione Obama, inetta e complice dell'islamismo. Una reazione è ancora possibile, la dobbiamo alle vittime di undici anni fa e soprattutto a noi stessi.
Ugo Volli