Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/09/2012, a pag. 43, la risposta di Sergio Romano ad un lettore dal titolo " Una patria per gli ebrei, le scelte scartate ".
Sergio Romano
Sergio Romano non perde l'occasione di dimostrare la sua malafede quando si tratta di Israele.
Ecco con quali parole descrive i kibbutz : " La riconquista della Terra Promessa aveva un forte valore simbolico e le colonie ebraiche installate nella regione dagli anni Ottanta del secolo precedente rappresentavano ormai un nucleo importante, un capitale politico che occorreva conservare e sviluppare". I kibbutz sarebbero 'colonie' ebraiche ?
Baggianata più grossa non poteva essere scritta, Romano per questa dovrebbe fare atto di contrizione.
Non è ignoranza, ma malafede.
Ecco lettera e risposta:
Ho letto la sua risposta a un lettore che chiedeva ragguagli sul Birobidžan, il territorio ebraico situato sul fiume Amur fondato da Stalin nel 1932. Ho letto un articolo di Marek Halter che parla di un suo viaggio per conoscere una terra promessa per il suo popolo, anche se accolse una piccolissima parte di esso. Gli abitanti non hanno abbandonato lo yiddish, che è ormai una lingua caduta su larga scala in disuso anche se può vantare un premio Nobel per la letteratura, che toccò a Isaac Bashevis Singer nel 1978. Considerando che per Teodoro Herzl non era indispensabile che la popolazione dell'esodo si raccogliesse proprio sulle rive del Giordano, perché non è stato fatto tesoro dell'iniziativa di Stalin evitando di creare una tensione nel Medio Oriente che non pare avere mai fine?
Antonio Fadda
antoniofadda2@virgilio.it
Caro Fadda,
Il Birobidžan sarebbe potuto diventare, in teoria, la patria degli ebrei dell'Urss, ma era pur sempre un territorio sovietico e non avrebbe mai attratto né l'ebraismo polacco né quello dell'Europa centro-occidentale e delle Americhe. È vero tuttavia che il progetto di Herzl era laico, ispirato dai grandi movimenti risorgimentali dell'Ottocento, e poco sensibile alle motivazioni religiose dell'ebraismo orientale. Cercò di ottenere una concessione turca per la Palestina, ma quando si scontrò con il rifiuto del Sultano non esitò a guardarsi attorno per cercare un'altra terra in cui gli ebrei potessero creare il loro Stato.
Il suo principale interlocutore in quella fase (i primi anni del Novecento) fu Joseph Chamberlain, ministro britannico delle Colonie, e la prima ipotesi presa in considerazione fu quella di un insediamento nella zona di El Arish, una città sulla costa settentrionale del Sinai. Ma l'idea non piacque a Lord Cromer, governatore britannico dell'Egitto, e Chamberlain propose allora un territorio più grande, accanto al Lago Vittoria, in una zona che andava genericamente sotto il nome di Uganda e che appartiene ora al Kenya.
L'offerta fu fatta in una fase critica della vita di Herzl. Era stanco, malato (morì nel 1904, all'età di 44 anni), spesso osteggiato dai rappresentanti dell'ebraismo orientale e ansioso di concludere la sua vita con un successo. Sapeva che la terra africana non sarebbe piaciuta a molti fra i suoi seguaci, ma pensò che un insediamento nazionale ebraico nell'Uganda avrebbe affermato un principio e creato un precedente. Volle che il problema venisse discusso in occasione del sesto Congresso del Movimento sionista, nell'agosto del 1903, e la proposta fu bocciata. Ma ottenne che la questione venisse ulteriormente studiata da una commissione. Troppo tardi. Herzl morì pochi mesi dopo e la scelta della Palestina, nonostante altre proposte fra cui il Madagascar, divenne da quel momento, per il sionismo mondiale, definitiva. Le ragioni furono in parte religiose, ma soprattutto politiche e pratiche. La riconquista della Terra Promessa aveva un forte valore simbolico e le colonie ebraiche installate nella regione dagli anni Ottanta del secolo precedente rappresentavano ormai un nucleo importante, un capitale politico che occorreva conservare e sviluppare. Nella sua storia del sionismo (The Tragedy of Zionism, New York 1985), Bernard Avishai segnala che nel partito anti-ugandese vi era anche David Gruen, un giovane ebreo polacco che stava facendo le sue prime armi nel movimento sionista. Due anni dopo la morte di Herzl, Gruen ribadì la sua scelta emigrando in Palestina. Quando vi arrivò promise a se stesso che non avrebbe mai più parlato yiddish e adottò un nuovo nome. Si chiamò da allora David Ben Gurion.
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