Terrorismo islamico, la minaccia è globale da Manhattan a Mogadiscio, e richiede una risposta altrettanto globale
Testata: Il Foglio Data: 11 settembre 2012 Pagina: 3 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «Manhattan, Gerusalemme, Nairobi»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/09/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Manhattan, Gerusalemme, Nairobi ".
al Qaeda
E’ l’undicesimo anniversario dell’attacco dell’11 settembre sul suolo americano e in Somalia sta succedendo una rivoluzione politico-militare che c’entra molto (no, non è la notizia di apertura per i telegiornali, ma è importante lo stesso). Ieri a Mogadiscio il Parlamento ha votato per un nuovo presidente, come primo passo verso un governo vero. Il Parlamento è stato aperto a fine agosto dentro il perimetro fortificato dell’aeroporto della capitale, dove un giorno apriranno anche le sedi diplomatiche occidentali, perché è la zona più sicura della città dagli attacchi di Shabaab, il gruppo africano che ha giurato fedeltà a Osama bin Laden e ai suoi successori. Si tratta comunque di un passo da gigante rispetto a prima: l’assemblea precedente si riuniva in un silos per il grano vicino al confine – con sedie portate da Amisom – in modo che i deputati potessero scappare in fretta in caso di minacce. Questo cambiamento è reso possibile dalla vittoria dei soldati dell’Unione africana contro Shabaab dopo uno stallo che è sembrato durare un’eternità. Shabaab è stato cacciato da Mogadiscio e si è rintanato nel sud, dove finisce sempre per rifugiarsi – aveva fatto così anche nel 2007, quando era inseguito dalle truppe dell’Etiopia. Si è trincerato a Kismayo, un porto in posizione invidiabile sull’Oceano indiano che garantisce ai fanatici armati un milione di dollari di ricavi ogni mese. In questi giorni è in corso una furiosa battaglia. L’esercito del Kenya è avanzato da sud e tenta di sloggiare Shabaab anche dalla sua roccaforte numero due. Le navi keniane bombardano dal mare. I capi del movimento, secondo notizie d’intelligence, si sono incontrati poco lontano con emissari di al Qaida – venuti da fuori – per decidere cosa fare nell’ora della disperazione. Il Kenya in guerra riconosce di essere aiutato da Israele, che interviene con consiglieri militari ed equipaggiamento contro quelli che Netanyahu nel 2011 definì “gli stessi nemici, sia per Israele sia per il Kenya”. Al tempo il premier israeliano promise di formare con i paesi dell’Africa orientale una coalizione regionale contro il fondamentalismo, che sta funzionando. La minaccia è globale, da Manhattan a Mogadiscio, e richiede una risposta altrettanto globale, poca timidezza e buona inventiva nelle alleanze.
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