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La Stampa Rassegna Stampa
10.09.2012 Bibbia e politica hanno dei legami ?
Maurizio Molinari intervista Michael Walzer

Testata: La Stampa
Data: 10 settembre 2012
Pagina: 25
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il Dio della Bibbia non fa politica»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/09/2012, a pag. 25, l'intervista di Maurizio Molinari a Michael Walzer dal titolo " Il Dio della Bibbia non fa politica".


Maurizio Molinari, Michael Walzer, In God's Shadow, Yale University Press

“La Bibbia è fonte di insegnamento morale, ma è un errore cercarvi esempi di scelte politiche a cui richiamarsi». A questa conclusione è arrivato il sociologo e politologo di Princeton Michael Walzer, di origine ebraica, voce autorevole della sinistra americana, nel suo nuovo libro In God’s Shadow (All’ombra di Dio), uscito per i tipi di Yale University Press.

Perché ha deciso di occuparsi di questo argomento?

«Vi lavoravo da 20 anni applicando alla Bibbia la “teoria della ricezione” tedesca, ovvero per comprendere come il testo è stato interpretato nei secoli. È uno sforzo per arrivare a definire cosa pensavano sulla politica gli autori della Bibbia».

Si sofferma sulla contrapposizione tra i due patti, di Abramo e del Sinai, e sui tre codici di Levitico , Deuteronomio e Esodo , parlando di «rispetto delle frizioni». È la base del pluralismo?

«I due patti sono in competizione. Pensiamo alle conversioni. Per il patto del Sinai aderire è possibile perché basta accettarlo, mentre per il patto famigliare di Abramo è vero il contrario. Questa tensione si ritrova nell’intera storia ebraica».

E i tre codici?

«Hanno una separata identità, ma sono tutti espressione di Dio e dunque conciliarli è impossibile. Questo spiega perché i re non legiferarono, ed è qui che si trova la genesi del pluralismo che permea l’intero mondo ebraico».

Perché nel capitolo sulla «guerra santa» cita Rousseau secondo cui «più forte è l’unione, più grande è il nemico»?

«Le regole della guerra, come cancellare i Cananei, sono nel Deuteronomio , ovvero il libro più comunitario che contiene le norme dettagliate sulla mutua preoccupazione. Dunque c’è una strana connessione tra la massima attenzione per la coesione interna e la maggiore ostilità per l’altro».

Perché descrive i re come una «risposta alla teocrazia»?

«I re sono un rigetto del governo divino. C’è una contrapposizione tra il regno del sovrano e quello di Dio».

Perché i profeti non diventano leader politici?

«Non hanno mai formato un movimento. Qualcosa del genere s’inizia solo a Roma, con i moti plebei. I profeti sono dei critici morali, anche potenti, che però non hanno seguito. Criticano i re, l’oligarchia e chiunque altro. La profezia è vocazione morale, sebbene abbia conseguenze politiche».

Gli autori della Bibbia non diedero importanza alla politica come modo di vita, ma la situazione cambiò con la deportazione in Babilonia. La scoperta della politica avviene in Diaspora?

«In Babilonia i rabbini sostituiscono i re. Non c’è grande interesse per la politica intesa come definizione in assemblea della responsabilità dei cittadini. Tutto ciò nasce con i Greci. Per gli Ebrei la legislazione in Babilonia riguarda l’interpretazione dei testi. C’è più interpretazione che rappresentanza perché l’origine della legge è Dio».

Quali sono state le conseguenze di queste premesse bibliche sulla formazione dello Stato di Israele?

«Il sionismo è la negazione dell’esilio e poiché l’ebraismo era una fede dell’esilio si trattò della negazione del giudaismo, azzerando duemila terribili anni per tornare alle radici della Bibbia. Per questo alle origini del sionismo c’è l’impegno a studiare la Bibbia o materie come l’archeologia. Ma la fattezza dello Stato è invece un’imitazione delle democrazia europee».

Perché durante la Diaspora gli ebrei hanno «immaginato di tornare in Israele guidati da re e non da profeti»?

«Nel corso dei secoli l’attesa è per il remessia. Nissim Gerondi, vissuto in Spagna nel XIII-XIV secolo, afferma che il re fu creato perché la legge è troppo perfetta per la popolazione e dunque serve un re per violarla, renderla accessibile ai singoli, in situazioni di crisi o emergenza. È un testo machiavellico circa 200 anni prima di Machiavelli: spiega perché la monarchia resta il regime politico preferito fino a quando nel XIX secolo gli ebrei illuminati opteranno per la moderna democrazia. Per questo il sionismo fu una dottrina rivoluzionaria. Non prevedeva la restaurazione dei re».

Perché torna spesso sulla citazione di Ben Sira sul fatto che «un uomo saggio è colui che è cauto su ogni cosa»?

«Ben Sira rappresenta la continuazione della Bibbia, dopo i Proverbi . Si sofferma sul fare bene nella vita privata, mentre nel Libro dei Proverbi c’è molto sul fare bene nella vita pubblica e in particolare sull’idea di prudenza connessa alla saggezza. È il collegamento tra la Bibbia e ciò che è seguito».

Quali sono le lezioni che i leader politici contemporanei possono trarre da questa analisi della Bibbia ebraica?

«Non cercare nel testo della Bibbia indicazioni precise sui comportamenti da avere nella vita pubblica, perché sarebbero quasi certamente errati. Nella Bibbia c’è invece l’aspetto morale dell’insegnamento: il perseguimento della giustizia, l’attenzione per i bisognosi. E ciò spiega perché un movimento per la giustizia, come quello di Martin Luther King, può invocare il richiamo biblico a tutti gli uomini creati uguali».

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