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Informazione Corretta Rassegna Stampa
07.09.2012 Inghilterra: continua il boicottaggio degli artisti israeliani
Commento di Annalisa Robinson

Testata: Informazione Corretta
Data: 07 settembre 2012
Pagina: 1
Autore: Annalisa Robinson
Titolo: «Inghilterra: continua il boicottaggio degli artisti israeliani»

Inghilterra: continua il boicottaggio degli artisti israeliani
Commento di Annalisa Robinson

Annalisa Robinson          Batsheva Dance Company

Il Festival di Edimburgo, che si svolge ogni anno in agosto, è un evento culturale importante che comprende arti visive, teatro, musica, opera, danza, comicità, e molto altro.
Una delle sezioni più importanti è l'Edinburgh International Festival, che anche quest'anno ha offerto un interessantissimo programma (http://www.eif.co.uk/browse)
che spaziava da Shakespeare a Wagner, da Euripide a Beckett, da Ibsen a Čajkovskij, dal leggendario Mariinskij Ballet (ex Kirov) alla famosa Juilliard Dance School, con artisti famosi da tutto il mondo - dall'Azerbaijian all'Afghanistan, dalla Romania all'America, dal Giappone all'Australia. Insomma, un evento in cui sembra esserci spazio per tutti.
Invece no.
L'eccezione è, come sempre, israeliana.
Stavolta nel mirino dei movimenti pro-palestinesi è finita la Batsheva Dance Company, che, avendo ottenuto un notevole successo a Edimburgo nel 2008, la settimana scorsa ha presentato uno spettacolo dal titolo “Hora” (brevissimo video: http://www.eif.co.uk/hora)
I danzatori, che vanno dai 18 ai 24 anni, appartengono a etnie diverse e per la loro atleticità, energia e tecnica sono stati definiti “acrobati di Dio”. I loro spettacoli vengono regolarmente premiati dai critici, e “Hora”, che fonde danza contemporanea e fantascienza, musica classica (Wagner, Debussy) e colonne sonore (Guerre Stellari, 2001: Odissea nello Spazio), non fa eccezione.
Le ostilità sono iniziate, come al solito, con un appello di una decina di intellettuali scozzesi al direttore del Festival, Jonathan Mills, perchè togliesse Batsheva dal cartellone: tra di essi gli scrittori Iain Banks (inserito quattro anni fa dal Times nella lista dei 50 maggiori scrittori del dopoguerra) e A.L. Kennedy, e i poeti Liz Lochhead e Tom Leonard. Il boicottaggio vero e proprio, davanti al teatro, è stato organizzato dal movimento “Don't Dance with Israeli Apartheid” (http://www.no2brandisrael.org/n2bi_frontpage/).
Comprendeva vari gruppi, quali i Friends of Al-Aqsa, gli universitari di Students for Justice in Palestine, il sindacato dei dipendenti pubblici Unison, il Socialist Workers' Party e, purtroppo, anche delle organizzazioni ebraiche (Scottish Jews for a Just Peace e Jews for Boycotting Israeli Goods).
Un ruolo guida spettava alla discutibile Palestine Solidarity Campaign scozzese (SPSC), i cui membri gridavano agli spettatori “Vergogna”, “I vostri biglietti sono coperti di sangue palestinese!” e lo slogan piuttosto infantile “Rispettate il picchetto, bruciate il biglietto” (http://www.youtube.com/watch?v=KGiuBzm09aA).
Alcuni distribuivano volantini col disegno di una ballerina armata di pistola, altri suonavano i clacson delle auto. Il coro “Protest in Harmony” si esibiva in un canto anti-israeliano, mentre si distingueva per eleganza sartoriale un tale che indossava la bandiera palestinese sopra a un maglione verde con la scritta “Hezbollah” e l'immagine di un mitra, il tutto completato dalla kefia d'ordinanza (lo potete vedere in tutto il suo splendore a 1:37 del video http://www.youtube.com/watch?v=hn-3nsvmONU).
La Zionist Federation aveva organizzato una piccola contromanifestazione con il noto slogan “Il boicottaggio divide, la cultura unisce”. La parte “razionale” della protesta si concentrava sul fatto che Batsheva è finanziata parzialmente dallo Stato (http://www.youtube.com/watch?v=37MFbF5Hdwk).
In breve: se la compagnia “rompesse il suo legame con lo Stato di Israele, i suoi artisti potrebbero essere benvenuti come normali cittadini”, ma non sarà possibile finchè si ostineranno a rimanere “agenti dello Stato israeliano” e complici dei suoi crimini contro l'umanità:
“Non ci importa che danziate bene o male, ma avete sangue sulle mani”. Stranamente, il ragionamento non viene applicato ai teatri di altri Paesi: a rigor di logica, il Teatro Nazionale cinese o i famosi teatri russi, ex-Kirov compreso, sarebbero complici della macelleria (per alcuni genocidio) perpetuata dai loro governi in Tibet e in Cecenia, alla faccia dei diritti umani, per non parlare dei gulag di triste memoria; e anche i teatranti britannici, a seconda di come si giudicano le recenti azioni di guerra del loro Paese, dovrebbero prendersi almeno qualche fischio o insulto.
E' grave il fatto che giovedì 30 agosto, nonostante la presenza dell'ambasciatore Daniel Taub e del Ministro israeliano per la Cultura e lo Sport, Limor Livnat, le misure di sicurezza fossero praticamente inesistenti, tanto che gli spettatori potevano entrare senza nemmeno dover presentare il biglietto.
Naturalmente i boicottatori se ne sono accorti e sono riusciti ad infiltrarsi nel teatro, causando tre interruzioni il giovedì, quattro il venerdì e ben nove il sabato (mettendo a rischio l'incolumità degli artisti, visto che si tratta di uno spettacolo di notevole impegno fisico, al limite dell'acrobazia).
Sono state srotolate bandiere palestinesi ed esposti cartelli vari, e gli artisti sono stati insultati. Ad ogni interruzione, questi ultimi si fermavano; il sipario calava, e le luci si accendevano in sala per permettere al personale di sicurezza di rimuovere i disturbatori.
Il pubblico si è comportato splendidamente: ad ogni interruzione si alzava in piedi ad applaudire, soffocando le grida degli attivisti, e a fine spettacolo ha riservato ai danzatori una standing ovation (http://www.youtube.com/watch?v=sjU-W6q7DUw).
All'uscita, circa duecento dimostranti hanno nuovamente insultato gli spettatori e intonato cori auspicanti la distruzione di Israele (http://www.youtube.com/watch?v=5QEkFuY0rhk).
La polizia scozzese si è limitata a controllare la situazione allo scopo, bontà loro, di “facilitare la protesta pacifica”, cercando, nelle parole del suo portavoce, un equilibrio fra “i diritti dei dimostranti e quelli degli artisti, del pubblico pagante e della cittadinanza in generale”. Ovviamente non considera questo tipo di interruzione come illegale (il che significa che insultare e negare il diritto al lavoro degli artisti israeliani è legittimo).
La portavoce del Festival si è espressa con fermezza, premettendo che il Festival “sostiene la libertà di espressione”, “accoglie le critiche costruttive, facilita regolarmente il dibattito e riconosce il diritto a una protesta pacifica e ordinata in qualsiasi luogo pubblico, anche fuori dai suoi teatri”, ma ha ribadito che il Festival “difende il diritto di tutti gli artisti, indipendentemente dalla loro nazionalità, fede o cultura, di far sentire la propria voce”. Ha minimizzato l'episodio e ringraziato il pubblico per la compostezza, elogiando il sangue freddo e la “superba performance” degli artisti.
Anche il Ministro per il Medio Oriente, Alistair Burt, ha espresso “forte” sostegno per la partecipazione di Batsheva al festival e “profondo rammarico” per i tentativi di impedirla:
“Il Regno Unito si oppone categoricamente al boicottaggio di istituzioni e individui per il solo fatto di essere israeliani. Non serve a nulla, genera divisioni, ed è in contrasto con la lunga storia di libertà culturale di questo Paese.” Tuttavia il boicottaggio degli artisti israeliani sta diventando sempre più consueto in Gran Bretagna, qualcosa che addirittura ci si aspetta, anche perché gli attivisti sanno bene che non solo non vi sono conseguenze di nessun tipo, ma anzi vi sono molti vantaggi.
Infatti, per viltà, paura, o considerazioni pratiche, i teatri non sporgono alcuna denuncia, e i boicottatori trovano spazio sui giornali e a volte nei programmi d'informazione notoriamente simpatizzanti della BBC.
Le proteste, inoltre, non incentivano i teatri a invitare artisti israeliani e finiscono per scoraggiare il pubblico, che non ama le code per i controlli e tanto meno insulti e disordini.
Infatti la Edinburgh Guide, una specie di guida-giornale online, critica gli organizzatori del Festival per avere invitato Batsheva: “Il Festival ha il dovere di comportarsi in modo responsabile nei confronti di pubblico e artisti. Ci si chiede se invitare artisti che il Ministro degli Esteri israeliano definisce “i migliori ambasciatori di Israele nel mondo” sia, in questo particolare momento, una dimostrazione di responsabilità. Questa rappresentazione non aveva nessuna probabilità di andare in scena normalmente, ed ha lasciato pubblico e artisti con un senso di vulnerabilità e un gusto amaro in bocca” (http://www.edinburghguide.com/festival/2012/edinburghinternationalfestival/horaeif2012review-11441).
Purtroppo, ulteriori dimostrazioni sono state annunciate per ogni spettacolo del tour che in novembre porterà Batsheva in otto città del Regno Unito, compresa quella Birmingham nella cui università anche i musulmani moderati faticano a parlare (o non possono parlare affatto).
Il boicottaggio si articola su lettere ai teatri, manifestazioni pre- e post-performance, e donazioni (vedi http://northern-indymedia.org/articles/2603).
La stampa ufficiale inglese ha dato poco spazio all'episodio. Andrew Hough, del Telegraph, ha il merito di dare un resoconto fattuale (2.09.2012) e pochissimo spazio ai deliri dei dimostranti. Sul Daily Mail, l'ottimo Adrian Hilton mette in chiaro una volta per tutte che “L'antisemitismo artistico è e rimane odio razziale” (http://www.dailymail.co.uk/debate/article-2196383/Artistic-anti-Semitism-racial-hatred.html),
immagina il putiferio che si sarebbe scatenato se la manifestazione avesse riguardato artisti musulmani, e constata come “un antisemitismo maligno venga presentato nella forma più socialmente accettabile dell' antisionismo”. Hilton sottolinea che, mentre accusano Israele di usare l'arte e la cultura a fini propagandistici, questi boicottatori di sinistra (“questi giudeofobi alla moda, illuminati, immersi nella filosofia del Guardian”) non si accorgono di sfruttare proprio l'arte e i media per propagare “la loro miope visione del mondo, patologicamente anticonservatrice, antiamericana e anti-israeliana”. L'opposizione non si fa con la censura dell'arte ma con più arte, con una creatività di segno opposto. Insomma, mettete in scena il vostro sdegno ma piantatela con queste manifestazioni pretestuose.
Invece l'articolo di Jackie Kemp sull'Observer (edizione domenicale del Guardian) è, a mio parere, inconsapevolmente ipocrita, anche se parte con un bel titolo (“La mia profonda vergogna per questa protesta intollerante”) e ricorda che il festival fu fondato (anche da suo nonno) nell'immediato dopoguerra proprio perchè “persone di nazioni diverse potessero comunicare nel linguaggio internazionale dell'arte e della cultura”, sottolineando quanto sia tragico che “gente che che non vive in guerra ma in modo relativamente agiato e confortevole” arrivi a creare in Scozia “un clima culturale in cui degli artisti non possono lavorare per via del loro passaporto”.
Fa bene a ricordare che anche vari firmatari dell'appello hanno beneficiato di sovvenzioni statali. Ma gli altri motivi per cui ritiene ingiustificato il boicottaggio di Batsheva sono discutibili, come il fatto di rappresentare una mescolanza di etnie, di danzare su un pot-pourri di musiche che comprende Wagner, di aver scandalizzato gli ebrei ortodossi spogliandosi al ritmo di un canto della Pasqua ebraica, e di avere un coreografo, Ohad Naharin, che si dichiara “in disaccordo” con il suo governo (mentre gli artisti del Mariinskij, anch'esso finanziato dallo Stato, mantengono un diplomatico silenzio sui diritti umani calpestati nella Russia di Putin e sul fato delle Pussy Riot).
Ci si chiede: allora, se i danzatori di Batsheva fossero tutti israeliani, danzassero su musiche di Mendelssohn piuttosto che di Wagner, e non si spogliassero con sottofondo di canti religiosi, il boicottaggio sarebbe giustificato?.... Inoltre, Kemp descrive la platea di Hora come “mezza vuota”, “tesa e nervosa”; ammette di essersi sentita “preoccupata e vulnerabile”, e immagina come debbano sentirsi gli artisti; ma poi racconta di essere stata rassicurata dal vicino, un olandese ottantaduenne che le sussurra:
“Non è la notte dei cristalli. Io quella me la ricordo”.
Come se la Kristallnacht non fosse stata preceduta dal boicottaggio di negozi e attività commerciali appartenenti agli ebrei..... Mi piace concludere con il giornale (tradizionalmente sinistroide) dei senzatetto, The Big Issue, il cui critico, Vicky Carroll, dà cinque entusiastiche stelle a Batsheva. Vicky non entra nel merito delle proteste e dedica quasi tutto il suo spazio alla performance. Ma alla fine scrive due frasi illuminanti, che valgono tutto l'inchiostro di questo articolo: “la gente commette una grande ingiustizia nei confronti di questioni politiche complesse riducendole a facili cantilene”, e soprattutto: “Scagliarsi contro gli artisti non cambierà il mondo. Ma l'arte potrebbe riuscirci”.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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