Quattro minuti alla Shoà. Oppure...
Mahmoud Ahmadinejad: " Che Shoah ?"
Cari amici,
si parla di un "attacco" israeliano all'Iran. Ma bisogna cercare di comprendere che cosa questa parola vuol dire, qual è la sua ragione. Vi prego di seguirmi in un percorso difficile per capirne un po' di più. Ecco, vi racconto l'incubo di Israele.
Una singola bomba atomica da un megatone (non certo delle più grandi, la soglia teorica per le bombe tradizionali, non all'idrogeno, è di 10 megatoni), sganciata un po' ad ovest dell'aeroporto Ben Gurion, distruggerebbe quasi completamente tutta Tel Aviv, Petah Tikvah, Rishon Lezion, Herzlya, in un raggio di circa 10 km, e inoltre abbatterebbe buona parte delle case e ucciderebbe tutti quelli trovati all'aperto fino a Rehovot, Modin Iliit, Herzlyia, nel raggio di 20. (http://it.wikipedia.org/wiki/Effetti_delle_esplosioni_nucleari). Insomma ammazzerebbe probabilmente uno o due milioni di persone e distruggerebbe metà del potenziale produttivo del paese. Tutte queste zone che resterebbero inabitabili per le radiazioni per decenni o secoli. Un altro paio di bombe, su Haifa o Ashdot o Beer Sheva, completerebbero l'opera, annullando la vita economica e sociale di Israele e distruggendo la metà della sua popolazione.
Un missile intercontinentale ci mette 8 minuti dall'Iran a Israele; i sistemi radar Nato di avvistamento precoce che stanno in Turchia, per volontà degli "islamisti moderati" che governano ad Ankara, non sono condivisi con Israele, che saprebbe dell'attacco forse 4 minuti prima. Non ci sono attualmente sistemi sicuri per fermare questi razzi: gli antimissili non sono una difesa efficace per un attacco come questo. Solo 4 minuti per prepararsi, niente da fare per la popolazione, forse solo il tempo per fare decollare i bombardieri per la rappresaglia. Poi la distruzione di Israele, che avrebbe certamente a che fare, in pieno shock, anche con attacchi dei vicini, felici di far vendetta e cercare di nuovo di sterminare i sionisti. Impossibile prevedere il seguito, ma una cosa è sicura. Sarebbe una nuova Shoà.
Anche l'Europa e l'America hanno vissuto per decenni sotto un ricatto del genere; ma la sproporzione del territorio non era la stessa. L'Iran ha dieci volte gli abitanti e 80 volte il territorio di Israele: patirebbe gravissimi danni ma sopravviverebbe alla reazione israeliana. L'Europa e l'America non erano circondati da nemici assetati di sangue, l'Unione Sovietica voleva sottometterle, non "cancellarle dalla carta geografica". Non c'erano movimenti dediti per statuto alla sua distruzione, né predicatori che ripetevano che la salvezza universale sarebbe derivata dalla strage di tutti i suoi abitanti, nessuno escluso. Anche Israele, si dice, ha da cinquant'anni un armamento atomico, ha razzi e aerei e sottomarini per portarlo a destinazione. Ma non l'ha mai usato, non ha mai minacciato di usarlo, neppure in guerra, neppure quando Saddam Hussein la bombardava con missili a testata chimica. L'armamento nucleare di Israele è una risorsa di ultima istanza contro la distruzione, serve a impedire le guerre, non a combatterle. E in effetti da quarant'anni gli Stati arabi hanno evitato quegli attacchi frontali che nei trent'anni precedenti avevano tentato spesso.
Al contrario, l'armamento atomico dell'Iran implica questa possibilità. E' chiarissimo dalle dichiarazioni dei suoi leader, che continuano ad annunciare la prossima distruzione di Israele. Nessuno potrebbe farci niente, una volta che la bomba fosse realizzata e immagazzinata. Non ci sarebbe modo di impedire il lancio di un missile nucleare su Israele, né possibilità di fermarlo. Il solo momento per farlo è prima. Se ne parla da vent'anni (da tanto il progetto nucleare iraniano prosegue). Ci sono state infinite trattative, negoziati, embargo, sanzioni. Non sono serviti a nulla. Ormai è questione di mesi.
Obama ha detto qualche volta che non è disposto ad accettare un Iran nucleare - ma si sa, è uno specialista di belle frasi, uno che ha preso un Nobel per le belle frasi. Il suo capo di Stato maggiore, il primo soldato d'America, come lo chiamano, ha dichiarato venerdì scorso, "che lui non sarà complice di un attacco israeliano". Sì, la parola che ha usato è "complice" (complicit: http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/159472#.UEPEXZbFniw), che in inglese ha ancora più che in italiano la connotazione di un reato. E' più prudente credere a lui che al suo presidente (come ammonisce anche il Wall Street Journal: http://online.wsj.com/article/SB10000872396390444914904577623504274512294.html), anche perché contemporaneamente a ridotto fin quasi ad annullarle le manovre militari previste fra i due paesi.
Israele è solo. Solo a otto minuti di razzo dalla nuova Shoà. Deve impedire che accada, o anche solo ritardare la preparazione della bomba di alcuni anni, come ha già fatto con l'Iraq e la Siria, eliminando la minaccia imminente prima e poi vedendola cancellata dagli sviluppi storici che hanno investito i regimi locali. Se Israele attaccherà, e non sarà una cosa facile né indolore, cercate di ricordarvi degli quattro minuti per prepararsi (più dei 10 secondi che hanno gli abitanti di Sderot per i Kassam - ma non si tratta di atomiche) e dei milioni di morti. Non sarà un atto di aggressione, ma di essenziale autodifesa. Preventiva sì, ma perché il male dei missili nucleari iraniani si può solo prevenire, non è possibile attendere che si manifesti.
Ugo Volli