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La Repubblica Rassegna Stampa
03.09.2012 A Monaco 40anni dopo la strage delle Olimpiadi
Cronache di Andrea Tarquini, Fabio Scuto

Testata: La Repubblica
Data: 03 settembre 2012
Pagina: 1
Autore: Andrea Tarquini - Fabio Scuto
Titolo: «'Tedeschi cinici e incapaci'. Ecco le carte segrete del Mossad - Nelle strade dei Giochi insanguinati»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 03/09/2012, a pag. 1-23, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo " Nelle strade dei Giochi insanguinati ", a pag. 25, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " 'Tedeschi cinici e incapaci'. Ecco le carte segrete del Mossad".
Ecco i pezzi:

Andrea Tarquini - " Nelle strade dei Giochi insanguinati  "


Monaco, la palazzina 31 di ConnollyStrasse oggi e 40anni fa, con uno dei terroristi affacciato al balcone


La lapide in ricordo degli atleti israeliana massacrati dai terroristi palestinesi

MONACO DI BAVIERA ConnollyStrasse 31, era qui l’alloggio della squadra olimpica israeliana che quarant’anni fa, in quel tragico 5 settembre 1972, fu sequestrata e poi assassinata da un commando terrorista di “Settembre nero”. Quarant’anni, quasi due generazioni, ma errori e colpe imperdonabili riemergono dalla memoria, e oggi come allora feriscono e straziano la Germania del dopoguerra. «Io arrivai subito sul posto alle 5,30 del mattino, appena avvertito, ero in contatto costante col cancelliere Willy Brandt», racconta passeggiando Hans-Jochen Vogel, veterano ed eroe della Spd, allora ex borgomastro di Monaco rossa e corresponsabile del comitato organizzatore delle Olimpiadi. «È ancora oggi uno dei ricordi più tragici della mia vita». Le Olimpiadi di Monaco, con Brandt cancelliere della pace, dovevano essere l’antitesi delle Olimpiadi razziste e guerrafondaie organizzate da Hitler e Goebbels a Berlino nel 1936. «Volevamo un’Olimpiade diversa, simbolo della nuova democrazia tedesca», dice Vogel e cela appe- na rimpianti. «E quello fu il concetto allora: un villaggio olimpico pacifico, multietnico, aperto, senza polizia onnipresente e armata ». Connollystrasse civico 31. Le altre palazzine ex olimpiche attorno oggi sono tutte abitate, da famiglie giovani, da laboriosi migranti turchi, da studenti. Quella, no. Solo la Max-Planck-Gesellschaft le ha dato una funzione provvisoria. A lungo, dopo quel massacro, nessuno ha voluto abitare nella casa della morte. Poco importava che il villaggio olimpico di Monaco fosse e sia un quartiere modello, tutto pedonale con spazio solo sotterraneo per le auto, ogni servizio, dieci minuti di métro dal centro. «Quella tragedia segnò la nuova Germania, a lungo fu ostinatamente rimossa dalla gente di qui sebbene non fosse un crimine tedesco, la gente voleva ricordare solo la festa olimpica e non la strage, per questo abitare lì era tabù», mi spiega il collega Martin Bernstein della Sueddeutsche. «E solo adesso, grazie a Vogel e al console israeliano, si discute di trasformarla in memoriale per quelle vittime ricordate dalla lapide». La rimozione contagia veloce, nel concreto del Mitteleuropa già tanto ferito da tragedie tedesche. Il villaggio olimpico della nuova Germania decisa a vincere la pace e non più guerre non aveva barriere. Solo una grata di due metri, superabile per ogni monello. E agli aeroporti, allora, non c’erano scanner e metal detector. «Io vidi quei sette o otto giovani scavalcare prima dell’alba la barriera, e in quel clima di gioia rilassata del mondo sportivo pensai fossero solo dei ragazzacci, non dissi nulla; non finirò mai di rimproverarmelo, non mi libererò mai da quel senso di colpa del ricordo », mormora Karen James, allora olimpionica di nuoto canadese. Issa, Tony e gli altri passarono all’azione così, inosservati. Eppure, raccontano Bruno Merk, allora ministro dell’Interno bavarese, e Manfred Schreiber, allora capo della polizia a Monaco, gli allarmi c’erano stati. Pesa come un macigno, nella storia tedesca del dopoguerra, quel messaggio cifrato numero 319, che l’ambasciata federale, per conto del Bnd (i Servizi) inviò invano a inizio agosto da Beirut a Bonn e agli alleati. «Allarme, i palestinesi preparano azioni alle nostre Olimpiadi». David Berger e Zeev Friedman, Josef Gutfreund e Elieser Halfin, Josef Romano e Amizur Shapira, Kehat Shorr e Mark Slavin, Andre Spitzer, Jakov Sbringer e Moshe Weinberger allora erano ancora vivi. Oggi qui al civico 31 di Connollystrasse restano solo i loro nomi sulla lapide in caratteri ebraici e latini, sormontata dai sassolini che le cinesi e gli altri ospiti del Max Planck — stranieri venuti in pace in Germania, come quegli israeliani — continua- no a porre. «Il mondo allora non era preparato all’emergenza del terrorismo », ricorda il veterano Vogel passeggiando sotto la pioggia, «e così con gli altri responsabili arrivai sotto shock alla Connollystrasse occupata dai terroristi con gli ostaggi. Seguì una serie di errori, mai come allora vidi Willy Brandt così scosso e addolorato». I terroristi chiesero la liberazione di 200 prigionieri palestinesi in Israele, Gerusalemme disse subito no. I negoziati furono frenetici. I tedeschi offrirono trasporto sicuro fino al vicino aeroporto militare di Fuerstenfeldbrueck e un volo verso l’Egitto. Voleva essere un tranello, ma non funzionò, finì in carneficina. «Con la nostra polizia preparammo un piano d’attacco, vede, potevamo assaltare con commandos dai parcheggi sotterranei», spiega Vogel, «ma poi ci accorgemmo solo all’ultimo che nessuno aveva pensato a spegnere le telecamere nel villaggio olimpico, e dalla tv a circuito chiuso i terroristi avrebbero potuto vedere tutto. Dovetti dare l’ordine di rinunciare al blitz». Uno sbaglio dopo l’altro, nessuno ebbe il tempo di asciugare il sangue dei primi due israeliani (un custode e un atleta del sollevamento pesi) freddati dai terroristi nei primi istanti dell’attacco. Con elicotteri militari, terroristi e ostaggi furono portati a Fuerstenfeldbrueck. Oggi se ci vai, anche là solo una lapide ti ricorda l’orrore. «L’ordine era tentare un blitz, ma allora noi tedeschi eravamo dilettanti», ricorda il colonnello Ulrich Wegener. Dissidente in Germania Est, condannato ad anni di gulag per aver chiesto libertà sindacale, liberato ed espulso in cambio di crediti di Bonn, era appena all’inizio della carriera a ovest. «Io e Genscher, allora ministro dell’Interno, seguivamo i preparativi per microfono, con pessimi collegamenti, nascosti sotto una scrivania della torre di controllo di Fuerstenfeldbrueck. Avevamo sì e no cinque tiratori scelti della polizia con vecchi fucili imprecisi. Ai terroristi avevamo offerto un 727 Lufthansa per volare via. Era uno specchio per allodole, ma i finti piloti, steward e hostess — in realtà poliziotti a bordo di quel Boeing per tentare di sopraffare i terroristi — alla fine si rifiutarono di restarci: troppo pericolo secondo il regolamento. «I terroristi ispezionando il Boeing si accorsero che era vuoto, fiutarono il tranello, fu la fine. Dovetti dare l’ordine di sparare», ricorda Bruno Merk. «Lo ricordo ancora con dolore e rabbia». Finì in una carneficina. Un’ora e mezzo di conflitto a fuoco tra tedeschi impreparati e terroristi, panzer leggeri della polizia inutilmente all’attacco sparando alla cieca, granate dei terroristi, esplosioni. Vogel era in contatto costante con Genscher, Merk e Wegener, a lui toccava riferire a Willy Brandt in tempo reale. «La cosa più tremenda », ricorda, «fu quando un tale col berretto militare, istruito chi sa da chi, corse dai giornalisti alle porte della base di Fuerstenfeldbrueck e disse “tutto bene, ostaggi liberati”, e la breaking news fece il giro del mondo sulle agenzie. La passai a Brandt, lui mi disse di attendere a confermarla. Solo dopo, appresi da Genscher, Merk e Wegener, e dissi a Willy, che non era così, che tutti gli ostaggi erano morti. “Grazie dell’aiuto, compagno Vogel”, mi mormorò lui, e solo allora telefonò al premier israeliano Golda Meir. Per fortuna, Golda e il suo governo evitarono ogni riferimento all’Olocausto nelle loro reazioni». Cominciò la nuova resa dei conti della Germania col mondo e con se stessa, dice il colonnello Wegener. «In quelle ore rifiutammo, in nome della sovranità, l’offerta israeliana di un intervento di loro forze speciali. Non fu saggio. A me poi toccò creare il GSG 9, il reparto scelto tedesco». A Mogadiscio, col blitz sul 737 Lufthansa dirottato, il nuovo team di Wegener esordì, con l’aiuto decisivo dello Sas britannico. Riscossa tardiva: Monaco ‘72, disse poi Brandt, «restò come monumento tragico di incapacità, sullo sfondo terribile del nostro passato».

Fabio Scuto - " 'Tedeschi cinici e incapaci'. Ecco le carte segrete del Mossad"


Le vittime di Monaco '72

GERUSALEM ME «Urgente da ambasciata Bonn. In base a un rapporto di polizia, alle 5 di stamane un gruppo palestinese arenato di mitragliatrici ha attaccatola delegazione israeliana al Villaggio Olimpico di Monaco. Comincia con questo cablo per Israele il dramma delle Olipiadi del 1972. II testo è parte dei 45 documenti top secret che il governo israeliano dopo una battaglia legale durata sei mesi ha reso pubblici in occasione dell'anniversario di quella strage. In queste carte rivelano i frenetici contatti di quelle ore, l'ansia del governo guidato da Golda Meir, le pressioni del governo israeliano perevitare quell'epilogo sanguinoso. Impietoso il rapporto di Zvi Zamir, l'allora capo del Mossad, che immediatamente parti per Monaco per poter collaborare con la polizia tedesca e fu testimone di quel massacro. Zamir nella sua relazione scrittaal rientro da Monaco conferma il duro giudizio sulla polizia e il ministero dell'Interno tedesco, li accusa direttamente di inettitudine, incapacità. «Non hanno fatto il minimo sforzo per salvare le vite umane, le loro e le nostre. Un'azione condotta malamente e in maniera inetta. La preparazione dei commandos era insufficiente, malamente armato «i cecchini non avevano armi speciali ma semplici pistole e fucilacci, i mezzi blindati sono arrivati sul posto con 40 minuti di ritardo. Per Zamir l'unica preoccupazione dei tedeschi era far finire l'azione il prima possibile, mentre quella israeliana era di trovare una via d'uscita, comunque di guadagnare tempo. Dai 45 files scritti a macchina— chevanno dai verbali del vertice di governo, alle consultazioni ministeriali, le sedute della Knesset, gli scambi tra i governi — emerge di fronte al divenire degli eventi la frustrazione, lo stato di prostrazione e poi di disperazione che colpì il governo israeliano al fallimento dell'operazione di salvataggio e la rabbia perla decisione del Comitato Olimpico che scelse di far proseguire i Giochi. Fra i documenti anche un cablo sempre dall'ambasciata di Bonn a Gerusalemme sei ore dopo l'inizio della crisi degli ostaggi informa Gerusalemme che il «Comitato Olimpico ha deciso la prosecuzione dei Giochi perché la tv tedesca non ha una programmazione alternativa. L'ultima delle "carte" rivelate è dell'8 novembre 1972, è una sintesi di un incontro molto teso tra la signora Golda Meirel'ambasciatoretedescoin Israele.LaGenmaniaaveva deciso di liberare i tre terroristi sopravvissuti al blitz all'aeroporto di Monaco dopo il dirottamento di un aereo della Lufthansa. A meno di due mesi di distanza da quella strage i terroristi che avevano ucciso gli atleti israeliani erano già liberi. La signora Meir si prese qualche giorno per riflettere, poi chiamò il capo del Mossad e avviò "l'Operazione Collera di Dio", denominata anche "Baionetta", destinata all'eliminazione ovunque nel mondo gli uomini del'Olp e di "Settembre Nero" ritenuti direttamente o indirettamente responsabili della strage di Monaco. L'operazione "Baionetta" è andata avanti per più di vent'anni.

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