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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.09.2012 Massacro di Sabra e Shatila, responsabilità della Falange cristiana
Francesco Battistini intervista Eyal Zisser

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 settembre 2012
Pagina: 4
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Fu un massacro diverso dagli altri. Lo Stato ebraico si scoprì imperiale»

Riportiamo dalla LETTURA del CORRIERE della SERA di oggi, 02/09/2012, a pag. 4, l'intervista di Francesco Battistini a Eyal Zisser dal titolo "Fu un massacro diverso dagli altri. Lo Stato ebraico si scoprì imperiale ".


Francesco Battistini, Eyal Zisser

Il titolo dell'intervista non è corretto, sembra che il massacro di Sabra e Shatila possa essere attribuito a Israele, quando non è così. Lo dice Eyal Zisser stesso nel corso dell'intervista : "  Il massacro, prima di tutto, ebbe luogo a opera della Falange cristiana. Fu loro, la diretta responsabilità. ".
Ecco l'intervista:

«Sabra e Shatila non fu un caso senza precedenti. E neanche uno dei massacri peggiori in Medio Oriente. Diventò eccezionale perché si consumò dentro una guerra, quella sì, che non s'era mai vista...».
Il Libano 1982, dice Eyal Zisser, lo capisci dalla quantità di film e studi israeliani sul tema: nessun conflitto l'hanno mai psicanalizzato così. «Perché fu diverso: per la prima volta, c'era un piccolo Stato che si comportava come un impero. E c'interrogava tutti su questo nuovo ruolo».
La stanza 162 dell'Università di Tel Aviv è una vetrina di libri sul Paese dei Cedri: appartengono al professor Zisser, collaboratore della «Middle East Book Review», autore di studi sulla Siria degli Assad, esperto interpellato da mezzo mondo. Quei volumi non sono la sua unica fonte, però. A volte, le risposte sono altrove: «Amos Oz è lo scrittore che ha capito meglio 111982. Ma c'è un film quasi introvabile degli anni Ottanta, Two Fingers from Saida, che riassume bene la vicenda: è la storia d'un gruppo di soldati appena prima del ritiro, e già ci sono tutte le domande sui massacri e sul dopo...».
Il dopo: che cosa rimane di Sabra e Shatila, nella storia del Medio Oriente?
«Se guardi a che cosa succede in Siria o all'Iraq, quel massacro non è purtroppo un esempio isolato. Di unico, ci fu il nostro coinvolgimento: tutto accadde mentre Israele aveva il controllo del territorio. Non fece nulla per fermarlo e questo l'obbligò ad assumersi una responsabilità nuova. Dal 1948, c'erano già stati errori e stragi, ma Sabra e Shatila non rientrava in quella casistica: il contesto fu unico».
Quella strage cambiò l'atteggiamento dell'opinione pubblica...
«Quando si parla dell'82, in Israele lo si fa come se ci si fosse liberati di qualcosa. Perla prima volta, la condotta del governo fu criticata anche all'interno del Paese. Una cosa sorprendente, la società stava cambiando e si chiedeva se fosse una guerra legittima. Niente di paragonabile, che so, alla crisi di Suez, quando il governo era stato più cauto. Niente di simile alla guerra dei Sei giorni, quando Israele aveva cominciato a sentirsi una forza imperiale. Ecco: quella del Libano 1982 era vista come la condotta d'un impero, non d'un piccolo Stato che lottava per sopravvivere».
Le inchieste hanno chiarito tutto?
«La storia è ben nota, non c'è più molto da scoprire. Poi su alcune cose è molto difficile investigare. Quanto la leadership israeliana, Ariel Sharon e il capo dell'esercito, realmente sapevano? E se no, perché non capirono? E se sì, perché non se ne curarono?».
Una commissione israeliana indicò pesanti responsabilità di Sharon, ma non l'incriminò mai: fu una scelta politica?
«No. Il massacro, prima di tutto, ebbe luogo a opera della Falange cristiana. Fu loro, la diretta responsabilità. Poi c'è il livello di chi avrebbe dovuto sapere. Ma anche le inchieste condotte da giudici europei, per esempio in Belgio, non provarono molto. Sharon, ministro israeliano della Difesa, fu costretto a dimettersi: si può obiettare che sarebbe dovuto finire davanti a un tribunale, ma è vero che nessuno diede mai l'ordine: «Ok, ammazziamoli tutti». O perlomeno non si può provarlo. Anche per gli olandesi a Srebrenica, la responsabilità fu d'essersi voltati dall'altra parte. Va poi ricordato che il sistema penale internazionale era diverso, negli anni Ottanta. E a queste cose, si guardava con altri occhi».
I falangisti l'hanno fatta franca. Il terribile Hobeika, che guidò il massacro, fu ministro di Hariri. Perché non fu processato all'Aia, come un Mladic?
«E Samir Geagea, allora? Hobeika è morto, il mandante Geagea è ancora II. Questa è la differenza tra il Libano e altri mondi: la guerra è nella storia del Paese. Che ci si uccida non sconvolge, è il cane che morde l'uomo. Ma gli anni Novanta, con la giustizia internazionale a tutela dei civili, erano lontani. La storia va lasciata agli storici. Se no, dovremmo discutere ancora delle responsabilità per Dresda o Hiroshima».
Nel trentesimo anniversario della strage, arriva in Libano il Papa. Peri cristiani, sarà un esame di coscienza?
«Il tema è delicato. C'è un declino dei cristiani in Medio Oriente. E s'avverte anche in Libano, l'unico Paese dell'area in cui sono stati sempre classe dirigente. La loro collaborazione col regime siriano è un conto aperto. E l'ascesa di Hezbollah li costringerà a fronteggiare una mutazione storica. Non so se ci sarà spazio per altre riflessioni».
Oggi, Sabra e Shatila è fra i meno commemorati crimini di guerra. E sono gli scrittori arabi a non parlarne mai...
«Nessuno ama i palestinesi. Né in Libano, né nel mondo arabo. Il modo in cui i libanesi trattano i palestinesi è il peggiore. Lì, non hanno diritti. Anche gli Hezbollah, che sostengono la causa palestinese, li guardano con sospetto: temono che un loro incremento demografico avvantaggi i sunniti. Sabra e Shatila s'inquadra nell'odio dei libanesi per i palestinesi, lo stesso che s'è visto all'assedio del campo di Tripoli nel 2007, con 5oo morti. I palestinesi te lo dicono sempre: dopo Israele, il nostro problema è il Libano. I campi sono gli stessi di trent'anni fa, con la differenza che oggi ci sono molti più salafiti: negli anni Ottanta ci trovavi i terroristi delle Br, adesso per un europeo non sono accoglienti come una volta... E poi i massacri in Medio Oriente sono così tanti che è difficile coltivarne la memoria. Chi parla più dei maroniti uccisi dai palestinesi a Damour?».
Resta un interrogativo sulla guerra civile libanese: perché Arafat vi s'infilò? Oggi, imparata la lezione, i palestinesi stanno alla larga da quella siriana...
«Arafat voleva solo stabilire una sorta d'autonomia. La guerra civile non era affar suo, ma un indebolimento del Libano gli faceva comodo. Per un po', si barcamenò. Poi fu incapace di costituire un vero mini Stato nello Stato, quello che sarebbe riuscito a Hezbollah. Lasciò che i campi fossero trascinati nel conflitto. E fu costretto ad andarsene».

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