AIEA dà ragione a Israele sui piani nucleari dell'Iran gli Usa continuano ad essere contrari ad un attacco preventivo. Ma le sanzioni a che cosa sono servite ?
Testata: Il Foglio Data: 01 settembre 2012 Pagina: 1 Autore: Redazione del Foglio Titolo: «L’Aiea conferma la linea di Israele sull’Iran. Forti tensioni con Obama»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 01/09/2012, in prima pagina, l'articolo dal titolo " L’Aiea conferma la linea di Israele sull’Iran. Forti tensioni con Obama ".
AIEA
Bibi Netanyahu Barack Obama
Roma. Il rapporto dell’Aiea, l’Agenzia atomica dell’Onu, è un colpo durissimo alle sanzioni e alla diplomazia impegnate a fermare il programma nucleare dell’Iran. Il sito di Fordo, che sorge in una montagna presso la città santa di Qom e cuore del progetto atomico degli ayatollah, avrebbe prodotto 65,3 kg di uranio arricchito al venti per cento, il doppio dei 35,5 kg rivelati dall’Aiea a maggio. Secondo l’Onu, il numero di centrifughe è raddoppiato rispetto a quando sono iniziati i colloqui con Teheran, la scorsa primavera. Debka, pubblicazione vicina all’intelligence israeliana ma non sempre attendibile, rivela di più, cioè che “l’Iran si preparara all’arricchimento al 65 per cento”. Teheran brucia le tappe per la costruzione della bomba atomica. L’esperto militare israeliano Alex Fishman, citando l’intelligence di Gerusalemme, scrive che gli iraniani saranno immuni a un attacco israeliano “a partire da dicembre”. Per questo il rapporto Aiea rende ancora più credibile la possibilità di uno strike entro l’autunno, a cui starebbe pensando il premier Benjamin Netanyahu. Scrive il New York Times che il rapporto Onu pone Israele nell’angolo: “Attaccare o ammettere di non poter agire da solo”. Così va in scena lo scontro fra i due alleati. “Chi sta minacciando preventivamente Netanyahu, Obama o l’Iran?”, ha appena chiesto il settimanale Newsweek. Ieri il capo di stato maggiore americano, Martin Dempsey, ha scandito: “Non intendo essere complice se Israele sceglierà di farlo”, in riferimento all’operazione militare contro i siti iraniani. E’ la terza dichiarazione di Dempsey in un mese contro il possibile strike d’Israele. In precedenza il generale aveva dichiarato che Israele non può distruggere, ma solo ritardare, il programma iraniano. “Israele è pronto a colpire i siti iraniani anche se dovesse soltanto ritardare il programma nucleare di qualche anno”, gli ha risposto l’ambasciatore israeliano a Washington, Michael Oren. “Uno, due, tre anni sono molto tempo in medio oriente”. A Dempsey ha replicato ieri anche il vice premier israeliano, Moshe Yaalon, per cui “gli Stati Uniti indeboliscono la minaccia militare”. A Gerusalemme non è piaciuta neppure la risposta sul rapporto Aiea che ieri ha dato il portavoce di Obama, Jay Carney: “Il presidente è determinato a prevenire che l’Iran ottenga armi atomiche”. Israele chiede molto di più, che Washington fissi una data da imporre agli iraniani per sospendere il loro programma e costruire una credibile minaccia militare americana. In una conversazione uscita sulla stampa con l’ambasciatore americano a Gerusalemme, Dan Shapiro, Netanyahu avrebbe attaccato il presidente Obama. Secondo Netanyahu, “anziché fare pressione sull’Iran, Obama e i suoi fanno pressioni su di noi perché non attacchiamo”. Yedioth Ahronoth, il maggiore giornale israeliano, ha raccolto le dichiarazioni di alti ufficiali israeliani contro la “linea rossa” della Casa Bianca. “La posizione americana sta portando gli iraniani sul punto della capacità nucleare”, hanno detto capi militari israeliani. In un’altra conversazione privata, Netanyahu avrebbe detto che dopo il 6 novembre, data delle elezioni americane, non ci sarà più possibilità di attaccare l’Iran se vince Obama. A conferma dei timori israeliani c’è un’intervista al giornale Maariv del consulente del candidato repubblicano Mitt Romney, l’ex ambasciatore all’Onu John Bolton: “A questo punto non c’è modo di fermare l’Iran senza l’uso della forza. Non c’è modo che Obama usi la forza militare e quindi ricade su Israele, che ha il diritto all’autodifesa”. Le prossime dieci settimane sono quelle decisive per un eventuale strike. Del gruppo di 14 ministri israeliani, Netanyahu per lo strike ha bisogno di una solida maggioranza, mentre al momento i ministri sono divisi sull’opportunità di attaccare senza gli Stati Uniti. Netanyahu sta cercando di convincere due religiosi, Eli Yishai e Ariel Atias, a schierarsi per lo strike. Per questo la scorsa settimana il premier ha inviato il suo consigliere per la Sicurezza, Yaakov Amidror, a colloquio con il rabbino Ovadia Yosef, novantenne leader spirituale del terzo partito della coalizione. Il giorno dopo l’incontro, Yosef ha chiamato “malefico” l’Iran e pregato per fermarne i piani. Parlando con Haaretz, il ministro della Difesa Ehud Barak, definito nell’articolo “anonimo decision maker”, ha detto che “ci sono momenti nella vita di un paese in cui l’imperativo a vivere è l’imperativo ad agire. Era così nella Guerra dei sei giorni, nel 1948 e adesso”. Resta da vedere se Israele stia bluffando o se presto ordinerà al suo “squadrone”, la crema dell’aviazione, di alzarsi in volo dalla base di Ramat David, presso Megiddo, dove secondo la Bibbia avverrà la fine del mondo.
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