Un amore assoluto Johanna Adorján Traduzione di Margherita Belardetti Cairo Euro 15
Pudore e rispetto sono gli unici sentimenti che si può opporre ad un evento traumatico come il suicidio e a maggior ragione quando a togliersi la vita sono due sopravvissuti ai campi di sterminio. Come può scegliere il suicidio chi ha superato esperienze simili? E’ una domanda che percorre le pagine del bel libro di Johanna Adorján, nipote di Vera e Pista, i protagonisti di questa storia vera: un uomo e una donna che si sono amati per tutta la vita, sono scampati alla Shoah, sono fuggiti dal comunismo per emigrare fortunosamente in Danimarca senza mai guardarsi alle spalle. Quando Istvan, ortopedico in pensione si ammala senza speranza, Vera non concepisce la vita senza di lui e di comune accordo questa coppia di ebrei ungheresi stringe un patto di ferro: congedarsi insieme dalla vita. Vent’anni dopo quel dramma familiare la scrittrice, giornalista di madre tedesca e padre ungherese che dal 2001 scrive per la Frankfurter Allgemeine Zeitung, intraprende con delicatezza e sensibilità un viaggio nella memoria per far luce sui tratti più oscuri della vita dei nonni paterni, dipanando pagina dopo pagina il gomitolo ingarbugliato della loro esistenza. Costruito su vari livelli narrativi che si intrecciano e si intersecano con gli anni più bui della storia del novecento, il romanzo affascina per i continui flash back temporali che danno il ritmo alla narrazione catturando il lettore fino all’ultima pagina. E’ una storia d’amore d’altri tempi quella che unisce Vera, donna energica, stravagante nel vestire, bella anche nella vecchiaia, con la pelle abbronzata dall’estate, gli zigomi alti e Pista, un uomo distinto, con i baffi e un’eleganza innata nel portamento. Sposati nel 1942 questa coppia di ebrei ungheresi, estimatori di musica classica, ha condiviso, con coraggio e rispetto reciproco, prima gli anni della persecuzione nazista quando Vera è riuscita a nascondersi grazie a documenti falsi mentre Istvan è stato deportato a Mathausen e poi la fuga da Budapest con i figli piccoli dopo la rivoluzione del 1956 per approdare nell’accogliente Danimarca. Un passato del quale però nessuno dei due vuole parlare e dunque Johanna si trova a fare i conti con un senso di “non appartenenza” per ovviare il quale inizia un processo lungo e complesso che la condurrà ad avvicinarsi ai nonni paterni con levità e delicatezza attraverso i racconti delle persone che li hanno conosciuti. Da una parte l’autrice racconta affidandosi all’immaginazione l’ultimo giorno di vita dei nonni, quella calda domenica di ottobre del 1991, e dall’altra ricostruisce, unendoli come tante tessere di un mosaico, gli eventi storici e privati che hanno segnato l’esistenza di Vera e Pista. E’ Erzsi, la più cara amica della nonna, a raccontare dell’efficienza organizzativa dei nazisti che dopo il marzo 1944 deportano circa seicentomila ebrei ungheresi eliminandone entro il maggio 1945 ben due terzi. “It was a crazy time – dice Erzsi. Ed è sempre questa donna minuta che in un torrido giorno d’estate ricorda all’autrice il carattere non facile della nonna, dalla “doppia personalità” e con una tendenza alla parsimonia fino all’eccesso. Dopo l’incontro a Budapest con Erzsi, Johanna vola a Parigi per vedere Illi, una “ragazzina” di novant’anni, lontana parente di Vera che in parte le assomiglia “le stesse palpebre sollevate, le stesse sopracciglia che sembrano ritoccate…”. Da Illi la nipote apprende della tragica fine dei suoi bisnonni, Giza e Elemér, fucilati e gettati nel Danubio. E poi sempre a Parigi c’è Hélène che ha novantaquattro anni e “sembra appena uscita dal parrucchiere, con le labbra di un rosso corallo e giganteschi occhiali di corno con le lenti fumé…” Hélène e il marito avevano conosciuto i nonni in occasione di uno scambio culturale tra medici comunisti francesi e medici comunisti ungheresi. “Forse per i nonni – ricorda Johanna – i due rappresentavano il vasto mondo che a quei tempi dall’Ungheria pareva ancor più vasto”. Ma nemmeno a loro Vera e Pista confidano ciò che hanno vissuto durante la guerra, sebbene sin dalla prima sera i coniugi francesi apprendano che il medico ungherese e la moglie sono ebrei. Fin dall’inizio afferma Hèlène “tout ètait clair”: esseri tutti ebrei d’Europa era il fil rouge che li univa indissolubilmente. Quale ragione può indurre una coppia a compiere una scelta così drammatica? E’ sufficiente l’amore totalizzante e l’incapacità per l’uno di vivere senza l’altro? L’autrice cerca passo dopo passo una spiegazione plausibile ad un gesto così estremo: l’eredità che ha ricevuto in sorte non le consente di esimersi da tale compito. Un compito che svolge con affetto, ammirazione, nostalgia ma anche con la consapevolezza di aver subito un abbandono ingiusto. E le pagine che scandiscono gli ultimi istanti della vita dei nonni, con la preparazione meticolosa, quasi maniacale cui si assoggettano, sono di un’intensità e di una forza struggenti come solo le cose vere possono essere. Con uno stile essenziale, scarno che rifugge da sentimentalismi di maniera l’autrice ci affida un racconto che apre squarci illuminanti di riflessione su quegli “ismi” che hanno scaraventato l’Europa in un’ immane tragedia politica e sociale e preparato il terreno per chi è stato “scottato” da quei tragici eventi a scelte personali e collettive laceranti, inspiegabili e senza ritorno.