Rifugiati e rifugiati
Si è letto sui giornali di ieri che i rifugiati della guerra civile siriana hanno superato il numero di duecento mila. Dato che il conflitto è ben lungi dall'essere finito, siamo dunque nello stesso ordine di grandezza degli arabi fuggiti da Israele durante la guerra di indipendenza del '48, che alla fine furono circa seicento mila. Con la differenza che qui non ci sono eserciti contrapposti, ma una forza di guerriglia molto frammentata e una repressione governativa indiscriminata. E soprattutto che nessun generale ha fatto appello alla fuga dei civili per poter combattere più facilmente, con la promessa di un prossimo ritorno vittorioso.
Quando civili inermi, famiglie intere con donne vecchi e bambini sono costretti a fuggire dalle loro case, la tragedia è senza dubbio terribile. Accade in tutte le guerre che le forze contrapposte non rispettino la condizione dei non belligeranti e questi soffrano perdite e dolori terribili. Vi sono oggi agenzie umanitarie che si occupano dei primi soccorsi e allestiscono campi di soggiorno provvisori. Ma che cosa succede dopo? Chi sta dalla parte dei vincitori di solito ritorna a casa e magari si appropria delle cose dei perdenti, fuggiti a loro volta, per compensarsi delle sofferenze subite. Chi è identificato con gli sconfitti, se è sopravvissuto, qualche volta torna, ma più spesso cerca una sistemazione altrove e spesso viene riassorbito nei territori cui appartiene etnicamente o politicamente. E' accaduto così agli italiani d'Istria e Dalmazia o ai tedeschi dei Sudeti e di Danzica dopo la seconda guerra mondiale. Di solito in un decennio o due la nuova sistemazione funziona e la vita riprende, più povera ma normale. Le agenzie di soccorso smettono il loro lavoro e coloro che si sono trasferiti non hanno più la qualifica di rifugiati. E' quel che probabilmente avverrà in Siria. Comunque vada a finire, è probabile che un nuovo equilibrio si realizzi, non solo sul piano politico, ma anche su quello demografico.
C'è un'unica eccezione moderna, e sono proprio coloro che nel '48 fuggirono dai territori che divennero lo stato di Israele. Invece di essere assistiti dalla normale agenzia dell'Onu per i rifugiati, che ha il compito di favorire l'assorbimento e la risistemazione, furono assegnati a un'agenzia creata apposta, che decise di dover soprattutto “conservare la loro identità nazionale”. Invece di essere risistemati nei paesi fratelli da cui per lo più erano venuti poco tempo prima come emigranti per via dello sviluppo economico indotto dall'insediamento ebraico, furono rinchiusi nei campi profughi, veri e propri ghetti, impediti di lavorare e di integrarsi e vi sono rimati ormai da tre o quattro generazioni. Alcuni riuscirono ad andarsene, ma la maggioranza rimase lì. Pochissimi sono rimasti i rifugiati veri, che scapparono ormai sessantaquattro anni fa; ormai i campi sono abitati soprattutto dai loro nipoti e pronipoti, tutti qualificati come “rifugiati” dall'UNRWA, agenzia dell'Onu loro dedicata, la cui sopravvivenza dipende dalla continuazione del loro status. E' stata una scelta degli stati arabi, dell'Onu, delle organizzazioni palestinesi, oggi continuata addirittura dall'Autorità Palestinese nei territori che amministra: una bomba demografica pensata per impedire la “normalizzazione” dell'esistenza di Israele e dell'area circostante, insomma le premesse della pace. E infatti la pretesa del “ritorno” dei “rifugiati” (o meglio dei loro discendenti, anche con un solo bisnonno che si pretende risiedesse in Israele) è l'ultimo e definitivo ostacolo a qualunque accordo di pace, anche se si superassero i problemi dei confini, dello status di Gerusalemme ecc. E' la garanzia che la guerra del mondo arabo contro Israele non potrà finire.
Ai rifugiati siriani bisogna augurare solo che sia risparmiato loro un simile destino. Il che è probabile, dato che sia loro, sia i loro nemici sono musulmani e soprattutto non ebrei. Possiamo prevedere che il loro esilio si risolverà ben prima di quello degli eterni “rifugiati” palestinesi.
Ugo Volli