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La Repubblica Rassegna Stampa
26.08.2012 Bashar al Assad massacra la popolazione. Che cosa c'entra Israele ?
l'analisi ambigua di Gilles Kepel

Testata: La Repubblica
Data: 26 agosto 2012
Pagina: 13
Autore: Gilles Kepel
Titolo: «La guerra civile è diventata la madre di tutte le battaglie»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 26/08/2012, a pag. 13, l'articolo di Gilles Kepel dal titolo " La guerra civile è diventata la madre di tutte le battaglie ".


Gilles Kepel

Gilles Kepel scrive : "La Siria, confinante con lo Stato ebraico e alleata della Repubblica islamica iraniana, è la chiave di volta su cui regge questo equilibrio. Uno dei pilastri riposa sull´antagonismo israelo-palestinese, i cui effetti attizzano il fuoco che cova in Libano, in Giordania e nel Sinai egiziano". Non è ben chiaro che cosa c'entri Israele con la situazione in Siria. Quello fra gli arabi e Israele sarebbe 'antagonismo'? Gli arabi, da quando Israele è nato, hanno tentato ogni mezzo per distruggerlo. Più che antagonismo è odio.
Kepel continua : "
 oltre alle monarchie del petrolio e all´Iran, in questa tenzone intervengono altri attori, che sono Israele, Russia, Cina e Stati Uniti.". Israele non è mai intervenuto in Siria, se non in maniera umanitaria, permettendo agli studenti drusi di far ritorno a casa dalle università siriane nelle quali si trovavano per motivi di studio.
Forse Kepel avrebbe potuto spiegare esattamente che cosa c'entra Israele con la Siria, in modo da rendere meno oscura e ambigua la sua 'analisi'.
Ecco il pezzo:

La guerra civile in Siria è tutt´altra cosa rispetto alle rivoluzioni arabe che abbiamo conosciuto con lo sbocciare delle "primavere" del 2011. In Tunisia, Egitto e Libia i vasti movimenti sociali e politici che lottavano per la caduta delle dittature nate dall´indipendenza e per l´affermarsi di uno Stato di diritto, avevano sempre agito all´interno delle loro frontiere, anche se alcuni di essi, come per l´effetto di una macchia d´olio, hanno finito con il destabilizzare i Paesi vicini: è accaduto, per esempio, nel Mali per via della ritirata dei mercenari di Gheddafi.
Dopo un primo momento in cui le democrazie occidentali si sono identificate con la gioventù scesa in nome dei diritti umani nell´avenue Bourguiba o piazza Tahrir al Cairo, e si sono entusiasmate per quei rivoluzionari che presero le armi a Bengasi per rovesciare la dittatura libica, appoggiandoli con i raid della Nato, l´istituzionalizzazione politica del cambiamento è sfuggita di mano da coloro che l´avevano promossa.
Le strutture profonde e le forze organizzate delle società arabe contemporanee, così come i diversi movimenti e partiti islamici, o le reti tribali e le milizie armate, sono tutti riusciti a mobilitare gli elettori e a conquistare la maggior parte dei parlamenti, portando perfino un fratello musulmano alla presidenza in Egitto. Questo processo di democratizzazione, pur avendo creato tensione in quei partiti nati nella clandestinità e i cui membri più radicali consideravano la democrazia come il peggiore e il più empio dei mali, perché sostituiva la sovranità popolare a quella di Allah, sembra oggi accettato dai più.
Diverso è quanto accade in Siria, da cui dipende l´equilibrio dell´insieme del mondo arabo dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi. La Siria, confinante con lo Stato ebraico e alleata della Repubblica islamica iraniana, è la chiave di volta su cui regge questo equilibrio. Uno dei pilastri riposa sull´antagonismo israelo-palestinese, i cui effetti attizzano il fuoco che cova in Libano, in Giordania e nel Sinai egiziano. L´altro pilastro s´appoggia sul Golfo persico, primo esportatore di idrocarburi verso l´economia mondiale. Ora, il valore dell´oro nero s´impenna oggi per via dell´antagonismo tra l´Iran e i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, che controllano le petroliere al loro passaggio nello Stretto di Ormuz. Un terzo pilastro è lo scontro intra-arabo tra sunniti da una parte, e sciiti con i loro alleati alauiti dall´altra, di cui la Siria, il Bahrein, ma anche il Libano e l´Irak costituiscono i principali campi di battaglia attuali e futuri. In questa guerra le monarchie arabe del petrolio giocano un ruolo essenziale, in particolare l´Arabia saudita e il Qatar.
Questi due ricchissimi Stati hanno inizialmente reagito in modo diverso alle "primavere" arabe. Il Qatar le ha sponsorizzate, soprattutto grazie al prorompente effetto mediatico di Al Jazeera, nella speranza di bilanciare il peso del colosso saudita. Riyad, invece, ostile nei confronti dei Fratelli musulmani che intaccano la sua egemonia sull´Islam sunnita, ha potentemente appoggiato i salafiti. L´Egitto, che senza i petro-dollari non riuscirebbe a sfamare i suoi 90 milioni di abitanti, è uno degli esempi più eloquenti di questa competizione intra-sunnita.
Ma è in Siria che oggi si combatte la "madre di tutte le battaglie", quella tra forze sunnite, demograficamente maggioritarie e disunite tra loro, e forze sciite minoritarie e che cercano l´unione con altre minoranze regionali: alauiti, cristiani e drusi, tutti sotto l´egida di Teheran, impegnato in una pericolosa corsa verso l´arma nucleare. In questo senso, le sfide interne siriane, e la lotta democratica cominciata dalle forze d´opposizione contro lo "Stato della barbarie", spiegano perché Aleppo non è assimilabile a Bengasi, dal momento che oltre alle monarchie del petrolio e all´Iran, in questa tenzone intervengono altri attori, che sono Israele, Russia, Cina e Stati Uniti. La guerra civile in Siria inaugura una mutazione strutturale delle rivoluzioni arabe poiché le sue ripercussioni sono planetarie, e i suoi campi di battaglia sono oltre a Damasco e Aleppo, anche Gerusalemme e Ormuz.

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