'Hostage' di Elie Wiesel, una denuncia del terrorismo globale intervista di Paolo Mastrolilli
Testata: La Stampa Data: 22 agosto 2012 Pagina: 29 Autore: Paolo Mastrolilli Titolo: «C’ è anche la coscienza sporca dell’Italia, nell’ultimo romanzo di Elie Wiesel. E si capisce. Perché Hostage , uscito ieri negli Stati Uniti da Knopf, è una denuncia globale del terrorismo, e noi con la nostra storia, l’alleanza col nazismo, i flirt più o»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 22/08/2012, a pag. 29, l'intervista di Paolo Mastrolilli a Elie Wiesel dal titolo "Nel dramma del mio Ostaggio la coscienza sporca dell’Italia ".
Elie Wiesel, Hostage
C’è anche la coscienza sporca dell’Italia, nell’ultimo romanzo di Elie Wiesel. E si capisce. Perché Hostage , uscito ieri negli Stati Uniti da Knopf, è una denuncia globale del terrorismo, e noi con la nostra storia, l’alleanza col nazismo, i flirt più o meno scoperti con l’estremismo di sinistra e di destra, la complicità con la violenza palestinese, abbiamo parecchio di cui pentirci: «Io - ci dice il Nobel per la Pace - amo l’Italia. Siete un grande Paese e gli italiani mi hanno aiutato, durante la guerra. Proprio per questo affetto, però, uno di voi è tra i protagonisti del mio romanzo. Perché chiunque sia stato affascinato dal terrorismo, deve sapere che è sempre sbagliato».
Hostage narra la vicenda di un ebreo di Brooklyn, Shaltiel Feigenberg, che è sopravvissuto all’Olocausto grazie alla sua abilità nel gioco degli scacchi e adesso di mestiere racconta storie nella sua comunità. Nel 1975 viene rapito da due membri di un gruppo terroristico palestinese, l’arabo Ahmed e l’italiano Luigi, che in cambio della sua vita chiedono la liberazione di tre detenuti. Durante la prigionia, Shaltiel cerca di sopravvivere immergendosi nelle memorie della sua esistenza.
Perché proprio un italiano, tra i rapitori palestinesi?
«Voi avete avuto la vostra storia col terrorismo, basti pensare alle Brigate Rosse. Io però ho sentimenti molto caldi verso il vostro Paese. Quando ero bambino, durante la guerra, le truppe italiane passarono nel mio villaggio in Romania, e si comportarono con straordinaria gentilezza. Perciò ho voluto dare un certo grado di nobiltà anche all’italiano che fa il terrorista».
Parla di nobiltà perché Luigi stabilisce un rapporto umano con Shaltiel?
«Esatto».
Però compie questo gesto perché durante la guerra suo padre era stato un fascista, e aveva fatto arrestare e uccidere molti ebrei.
«Sì. In questa maniera espia le colpe di suo padre e dell’Italia. Ripulisce il proprio passato».
L’Italia è stata protagonista anche di una pericolosa fascinazione verso il terrorismo, dal consenso strisciante di cui gli estremisti di sinistra e di destra hanno goduto nella nostra società durante gli «anni di piombo», fino al premier Craxi che a Sigonella lasciò scappare i dirottatori dell’Achille Lauro. Luigi è un protagonista di Hostage anche per questo? anche per questo?
«Se scorrendo il mio libro i lettori italiani capissero che il terrorismo non è mai giustificato, sarei contento. Vede, io ho simpatia anche per i palestinesi. Però il terrorismo va sempre rifiutato. Non minaccia solo noi ebrei, ma tutto il mondo, ora che si è armato con attentatori suicidi pronti a tutto».
Lei crede ancora alla possibilità di avere due Stati in Medio Oriente, uno israeliano e l’altro palestinese?
«Sì, e mi adopero con tutto il cuore affinché si realizzi. È una posizione che hanno condiviso tutti i premier israeliani, incluso Netanyahu. Però va realizzata attraverso il dialogo, non l’odio».
L’odio è al centro della retorica che l’Iran usa verso Israele: lei pensa che l’intervento militare diventerà inevitabile?
Voi avete avuto la vostra storia col terrorismo. Però io ho sentimenti molto caldi verso il vostro Paese Quando ero bambino, durante la guerra, le truppe italiane passarono nel mio villaggio in Romania e si comportarono con straordinaria gentilezza Perciò ho voluto dare un certo grado di nobiltà anche all’italiano che fa il terrorista
«Potrei darle una risposta solo se avessi tutte le informazioni di intelligence. Però le dico una cosa: Ahmadinejad dovrebbe essere arrestato e processato per violazione dei diritti umani davanti a un tribunale internazionale, come avremmo dovuto fare con Pinochet. Non possiamo permettergli di avere l’arma nucleare».
E in Siria?
«Nei giorni scorsi ho avuto l’onore di accompagnare il presidente Obama alla visita di un museo, e mi sono permesso di dirgli che bisogna intervenire. Assad sta massacrando ogni giorno la sua gente, non può continuare così. Se l’azione militare non è possibile, bisognerebbe almeno unire la comunità internazionale affinché lo spinga a farsi da parte».
La «primavera araba» è una speranza o una minaccia?
«Una speranza, che quella regione possa finalmente cambiare. Dobbiamo operare affinché finisca così».
Nel suo romanzo, ambientato nel 1975, Luigi prevede che in futuro arriveranno i terroristi kamikaze. Perché glielo fa dire?
«Perché era uno sviluppo prevedibile, contro cui ci saremmo potuti attrezzare prima. Non l’abbiamo fatto per ignoranza, credo».
Lo stesso errore che fu commesso con l’Olocausto?
«No, in quel caso tutti sapevano: Washington, Londra, la Croce Rossa, il Vaticano. Potevano impedire il massacro, e ancora non capisco p e rc h é n o n s i mossero. Sarebbe bastato intervenire a difesa della Polonia, prima dell’invasione tedesca. Oppure bombardare le ferrovie che portavano ai campi. Per anni ho chiesto agli americani perché non lo fecero, ma non ho avuto risposta».
Lei ha fatto pace con Dio per la sua «assenza» dall’Olocausto?
«Continuerò a pormi domande su Dio per tutta la vita, ma proprio perché ho fede. La mia fede è troppo forte, per farne a meno».
Ora è soddisfatto di come Obama combatte il terrorismo?
«Ha razionalizzato gli sforzi e preso Osama bin Laden, ma la comunità internazionale deve capire che serve un’azione comune».
Shaltiel ha un fratello comunista, che prima va in Unione Sovietica, e poi riscoprelesueradicitornandoinIsraele.
«Quella è stata un’altra aberrazione della nostra storia, e ha avuto troppo fascino anche su noi ebrei. Non potevo ignorarla, in un romanzo sul secolo scorso».
Durante la prigionia, il cantastorie di Brooklyn perde la speranza di poter comunicare con i suoi rapitori, e sente di essere tornato nella Torre di Babele. Anche lei ha perso fiducia nella parola?
«La comunicazione sta diventando sempre più difficile, nonostante le nuove tecnologie che dovrebbero favorirla. Ma io continuo a credere che l’istruzione sia l’unico antidoto per l’odio».
Il principale rimpianto di Shaltiel, quando teme di morire, è non aver avuto figli. Perché?
«Dopo la guerra molti ebrei rifiutavano di sposarsi, perché dicevano che il mondo non meritava i nostri bambini. Qualcuno ripete questi argomenti ora, sotto la minaccia del terrorismo. È un errore. Non si può vivere senza la speranza. Non bisogna mai arrendersi e rinunciare al futuro».
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