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Informazione Corretta Rassegna Stampa
22.08.2012 Jihadisti londinesi in Siria
Londonistan, di Annalisa Robinson

Testata: Informazione Corretta
Data: 22 agosto 2012
Pagina: 1
Autore: Annalisa Robinson
Titolo: «Jihadisti londinesi in Siria»

Jihadisti londinesi in Siria
di Annalisa Robinson


Annalisa Robinson, John Cantlie

John Cantlie, londinese, è un fotografo di guerra. Il 19 luglio scorso lascia la Turchia ed entra  in territorio siriano, diretto ad Aleppo. Con lui un fotografo olandese, Jeroen Oerlemans, e la guida Mohamed. Lo hanno fatto altre volte, seguendo lo stesso itinerario, e sono tranquilli. I siriani sono, nell'esperienza di John, “cordiali e ospitali, con visi amichevoli. Adorano i giornalisti occidentali”.

Stavolta, però, qualcosa non funziona. Dopo circa tre chilometri arrivano a un piccolo accampamento: una dozzina di tende, e gente barbuta che non sorride e non ricambia il loro “Salaam alaikum”.  Spuntano armi da fuoco, e i tre si ritrovano bendati e ammanettati in una tenda,  sorvegliati da guardie armate. Si rendono presto conto che l'accampamento non appartiene né al libero esercito siriano, né alla Shabiha, la milizia siriana pagata dal governo per fare il suo lavoro sporco (per intenderci, eccidi e massacri). Su trenta persone, dodici parlano inglese, nove hanno un accento londinese. Due di esse sono così anglicizzate che non parlano nemmeno l'arabo.

Chi sono, allora? Sono jihadisti, fondamentalisti islamici pronti a morire nella guerra contro Assad, determinati a convertire alla sharia i cattivi musulmani e i musulmani “tiepidi”: niente fumo, niente alcool, niente fornicazione, e preghiera cinque volte al giorno.  Per il momento affiancano il libero esercito siriano nella lotta contro il comune nemico, Assad, ma quando questa guerra sarà finita ne comincerà una su scala maggiore, perché prevedono che quando in Siria ci sarà la sharia, ci sarà anche la guerra con l'America.

Il peggiore del gruppo è tra i 25 e i 30 anni, forse dell'Asia meridionale; ha vissuto in Inghilterra per oltre un decennio, e ha lavorato in un supermercato. Siede a gambe incrociate, giocando con il suo Kalashnikov, e minaccia i fotografi, che lo soprannominano “il Predicatore”: “Siete spie. Lavorate per i servizi segreti britannici. Preparatevi per l'aldilà. Siete pronti a incontrare Allah?”

Altri sono meno aggressivi. Uno, che John e Jeroen chiamano “il Dottore”, è un medico gentile che parla bene l'inglese, e ha un assistente di vent'anni o poco più con un accento di Londra sud (“il Piccolo Dottore”). Gli altri sono ancora più giovani, ed è evidente che prima d’ora non hanno mai maneggiato un Kalashnikov. Sono entusiasti di essere in Siria, e parlano costantemente di come demolire carri armati, come avanzare in terreno aperto, come sgomberare un edificio. Insomma, per loro la Siria è una specie di vacanza avventurosa.

Il gruppo è comandato da tre jihadisti di professione, e completato da una decina di giovanotti parlanti arabo, anch'essi eccitatissimi di essere parte della jihad. C'è anche una donna jihadista, e quattro o cinque combattenti di professione, ceceni o pachistani. A differenza degli altri, questi ultimi parlano raramente e non sembrano rappresentare una minaccia per i fotografi. La vera minaccia sono gli islamisti britannici.

Il giorno dopo, nella tenda dei fotografi arrivano due altri prigionieri, stavolta siriani, che sono al campo da due settimane. Sono accusati, tanto per cambiare, di essere spie, e devono essere giustiziati. Vengono legati ai fotografi. Il Predicatore tiene lunghi sermoni basati sul Corano: quando morirete, sarete portati in paradiso da un uccello verde. Vedrete Allah e i suoi troni, in un edificio fatto d'oro e d'argento. Lassù, prima o poi, ritroverete la vostra famiglia. Avrete 72 mogli. Il Predicatore parla per ore della morte, di quanto sia magnifica; sostiene che nella Bibbia ci sono 105 errori, e che John e Jeroen finiranno nel più profondo degli inferi, dove bruceranno a una temperatura 800 volte più ardente di quella del sole – per l'eternità.

Il cibo è scarso – solo alcune olive.  Il Dottore interviene a separarli dai siriani, e dà loro qualche notizia. Purtroppo nel portafoglio di John è stato trovato il biglietto da visita di un maggiore dell'esercito, conosciuto durante un servizio in Afghanistan, che curava i rapporti con i giornalisti.  Nel computer sono state trovate foto in cui John appare insieme a dei soldati. Agli occhi dei jihadisti, tutte prove del suo coinvolgimento con il mondo dello spionaggio.

Convinti che il peggio stia per venire, i nostri pensano alla fuga. Sanno che il campo è su una specie di altura, e che a circa 300 metri c'è un salto oltre il quale i jihadisti non potranno vederli.  Nella parte posteriore della tenda c'è uno strappo di una novantina di centimetri. All'imbrunire, con 35 gradi, Mohamed, John e Jeroen si tolgono le bende dagli occhi e corrono verso il salto e la valle sottostante; ancora ammanettati, corrono a piedi nudi su un terreno disseminato di grossi massi e coperto di spine, cardi, piantine di cactus.  Riescono a saltare ma qualcuno dà l'allarme. Continuano a correre sotto una grandinata di pallottole. Jeroen è ferito all'anca, John al braccio. Sono costretti ad arrendersi.

Miracolosamente, la pallottola che ha colpito Jeroen non ha leso né l'intestino, né le arterie principali, né il bacino. Ma la ferita è seria. I jihadisti inglesi sono furenti: “Morirete, kaffir cristiani, andrete all'inferno. E vi sta bene.”  Colpiscono Jeroen al capo, mentre giace a terra nel proprio sangue. Il Piccolo Dottore di Londra sud colpisce John con il calcio del suo Kalashnikov, gli dà una pedata in pieno viso, poi gli mette il piede in faccia in segno di disprezzo e infine, non ancora contento di sé, gli fa la pipì addosso. Quando si è sfogato, il Piccolo Dottore chiede, com'è costume nell'Islam, il perdono di John, che ovviamente glielo dà.

Poi, inaspettatamente, ferma un altro jihadista londinese dalla barba rada (“Viso Pallido”) che sta per fracassare la testa di Jeroen con una roccia, mentre quest'ultimo gli urla: “E' questa la tua religione? E' questo che fa la tua religione?” Più tardi anche Viso Pallido chiederà perdono a Jeroen. “Tu mi piaci, amico,” gli dice. “E' quest'altro,” aggiunge indicando John, “che non mi va.”

I soli gesti di gentilezza vengono compiuti dai jihadisti che non parlano inglese. Uno si toglie la camicia per fare un laccio emostatico, mentre ad aiutare Jeroen a tornare al campo è un ceceno.  Probabilmente, avendo esperienza di situazioni del genere, sanno che anche loro avrebbero cercato di fuggire.  Invece gli inglesi, che sono alle prime armi, sono vendicativi, eccitatissimi, incapaci di lasciare in pace le loro vittime. Tornati alla tenda, prendono a pugni e calci il viso di John, che ormai si è creato una immeritata fama di capobanda.

Il terzo giorno le cose peggiorano ancora. John e Jeroen hanno perso molto sangue, sono doloranti per le botte ricevute, e hanno le suole dei piedi scorticate. Il Dottore porta una flebo e degli antibiotici per Jeroen, ma racconta loro che, se prima intendevano tenerli prigionieri a  scopo di riscatto, ora le cose sono cambiate. Il Predicatore non dà loro illusioni: “Avete firmato la vostra condanna. Sarete giustiziati per quello che avete fatto. Mi avete deluso.”

Il quarto giorno è anche peggio: sollevando un po' l'orlo della benda, John vede i jihadisti allestire un tavolo del tipo che si vede nei filmati delle esecuzioni; il tipo di tavolo dal quale vengono proclamate le condanne, con una bandiera islamica nera.  I jihadisti si accorgono che John vede qualcosa, e stringono la benda sugli occhi mettendogli i piedi sulla nuca. E John e Jeroen odono il peggior rumore che abbiano mai sentito: il rumore dei coltelli che vengono affilati per una decapitazione. L'immaginazione di John galoppa: “Cosa si sente quando ti spingono il collo all'indietro e il coltello penetra? Ci si accorge del sangue che cola nella trachea mentre si gorgoglia? Per quanto tempo si rimane coscienti?...” 

I prigionieri siriani vengono portati via. Si sente qualcosa come una cerimonia, seguita a breve distanza dal rituale “Allahu akbar”, e quel che sembra una normale conversazione. Più tardi emerge che i siriani non sono stati decapitati. In base alla sharia, se ci si pente e si promette di diventare buoni musulmani si viene assolti dei propri peccati e si riparte da zero. I siriani si sono convenientemente pentiti. Anche John e Jeroen sono pronti a dichiararsi entusiasti della pace, dolcezza e ospitalità dell'Islam, ma i jihadisti non offrono loro questa possibilità.

Il giorno dopo il Dottore e alcuni altri se ne vanno, dicendo che non sono venuti in Siria a catturare giornalisti occidentali, ma arrivano altri jihadisti britannici, felicissimi di trovare dei prigionieri e decisi a contribuire al loro disagio. Li ammanettano dietro la schiena in posizione restrittiva, li minacciano. I fotografi sono sempre bendati, costretti a non muoversi e hanno perso il senso dell'equilibrio. Le piante scorticate dei piedi puzzano di marcio; nel caldo asfissiante della tenda le ferite suppurano e si coprono di mosche. Si riparla di riscatto, cosa che rianima un po' John e Jeroen.

Il settimo giorno quattro persone nuove entrano nella tenda, imprecando e urlando in pessimo inglese che sono liberi; danno loro dei sandali e li caricano su un'auto, sparando in aria e poi dai finestrini. John e Jeroen dapprima non ci credono, poi si rendono conto di essere veramente liberi: i quattro appartengono al libero esercito siriano, e li portano in una casa dove c’è anguria fresca e un signore che parla inglese. A quanto pare, mentre John e Jeroen in fuga venivano inseguiti dai jihadisti, Mohamed era riuscito a fuggire, a raggiungere il confine con la Turchia e a dare l'allarme. E a  un contrabbandiere siriano che aveva pernottato con i jihadisti la notte stessa della cattura dei fotografi non era piaciuto il modo con cui trattavano i prigionieri. Anche lui aveva dato l'allarme, ed era anzi uno dei quattro che avevano liberato John e Jeroen, piangendo di gioia a operazione compiuta. Ai ribelli siriani i jihadisti non piacciono per niente: “Sappiamo di questi stranieri. Ce ne sono circa quaranta. Non sapevamo che avrebbero fatto una cosa del genere. Stanno cercando di prendere il controllo del confine a Bab al-Hawa per far entrare altri dei loro. Noi siriani non agiamo così. Questa è la nostra rivoluzione. Non vogliamo che questa gente venga qui con la scusa della nostra causa.”

John e Jeroen stanno guarendo. Quando staranno bene riempiranno di birra la piccola barca che Jeroen tiene ad Amsterdam e faranno una lenta crociera sui canali olandesi, con le loro ragazze. Ma John, che ha scritto la storia della sua brutta avventura per il Sunday Times (5.08.12), non dimenticherà la sera in cui jihadisti britannici con l'accento di Londra sud hanno puntato i loro Kalashnikov contro un giornalista britannico, sparando per uccidere; londinesi contro un londinese, in una terra che non era la loro, e senza un solo siriano in vista.


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