Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 21/08/2012, a pag. 17, l'articolo di Kiran Nazish dal titolo "Pakistan, i cristiani temono la vendetta degli estremisti".
Da quando - venerdì scorso - una ragazzina cristiana pakistana di 11 anni affetta dalla sindrome di Down è stata accusata di blasfemia per aver bruciato dieci pagine del Noorani Qaida, il manuale per imparare a leggere il Corano, il villaggio dove vive alle porte di Karachi è minacciato di distruzione da parte dei fondamentalisti islamici. I primi a dare notizia di quanto stava succedendo sono stati i «Cristiani del Pakistan» attraverso il sito on line della loro comunità. Secondo la polizia, «la ragazzina, Rimsha, era stata arrestata da poliziotte e messa in carcere per 14 giorni dopo che una folla inferocita aveva chiesto la sua punizione minacciando di bruciarla viva». A denunciarla era stato un vicino di casa. Resterà rinchiusa fino al 25 agosto, quando comparirà davanti ai giudici e sarà incriminata per blasfemia.
La notizia, che ha suscitato indignazione in tutto il mondo e sui social media, per più di ventiquattr’ore non è stata ripresa da alcun giornale pakistano. Ora la comunità cristiana teme che gli estremisti attuino le loro minacce e brucino il villaggio. Per questo circa trecento persone hanno lasciato le loro case. In segno di protesta alcuni attivisti democratici di Karachi, Lahore e Islamabad hanno boicottato le celebrazioni di Eid al-Fitr, la festività che segna la fine del Ramadan. Una donna del gruppo «Cittadini per la Democrazia» ha detto: «Non si può fare festa mentre Rimsha lotta contro l’intolleranza che non risparmia neppure una bambina. Trecento persone della sua comunità sono state trasformate in senzatetto in fuga». Il gruppo ha invitato i cittadini del Paese a dimostrare la loro solidarietà alle vittime dell’intolleranza religiosa.
Diversi parlamentari si sono mostrati interessati al caso, mentre il consigliere del primo ministro per l’Armonia Nazionale, Paul Bhatti fratello dell’ex ministro per gli Affari delle Minoranze, Shahbaz Bhatti (anche lui cristiano e ucciso da un commando armato il 2 marzo 2011) - sta cercando di tenere sotto controllo la situazione restando in costante dialogo con la polizia e con i capi religiosi locali. Alla «Express Tribune» Bhatti ha detto che la bambina verrà sottoposta a visite mediche e che il caso verrà affrontato con il supporto di leader religiosi di diverse scuole per stabilire se il gesto - ammesso che sia stato davvero compiuto - sia stato deliberato o meno. I capi religiosi si sono detti d’accordo a non intraprendere alcuna azione negativa.
Anche la Cellula per i Diritti Umani del Partito popolare pakistano (Ppp), il partito al governo, ha espresso la sua preoccupazione, mentre l’ambasciatrice pakistana negli Stati Uniti, Sheril Rehman, ha detto in un tweet che si sta coordinando con il ministro dell’Interno per risolvere il caso. Il presidente Asif Ali Zardari ha chiesto al ministro un rapporto sull’accaduto e ha dato indicazioni perchè siano protette «la vita e la proprietà privata dei cristiani». Poi ha aggiunto: «Non permetteremo in alcun modo un cattivo uso della legge sulla blasfemia e ci assicureremo che la storia non venga usata da nessuno per interessi personali». C’è anche grande incertezza sull’età e la condizione della ragazzina. Secondo un funzionario di polizia, Rimsha non sarebbe una Down e avrebbe 16 anni; secondo attivisti e vicini di casa, avrebbe invece fra i 10 e i 13 anni.
Asad Ahmed dell’Università di Harvard, che ha fatto molte ricerche sui casi di blasfemia in Pakistan, dice: «Io penso che il coinvolgimento del governo possa fare la differenza. Politici come il presidente possono mostrare la via da percorrere, se agiscono secondo le procedure democratiche e legali, nel rispetto della legge. Allargando l’orizzonte, io ritengo necessario un dibattito con gli ulema più illuminati sui limiti di queste leggi. Ci sono però gruppi di pressione che non intendono ascoltare dibattiti ragionevoli, e questi devono essere messi ai margini. Farlo purtroppo è difficile, dato che questi sostengono che la loro posizione è coerente con la legge islamica e hanno grandi capacità di mobilitare i fedeli. Occorre però fare un tentativo sincero di riaffermare la vera legge islamica, il cui fine è la giustizia anziché una irriflessiva applicazione della legge».
Un’indagine dei casi di questo genere sta diventando sempre più importante nella società pakistana, sensibile e altamente polarizzata. Le cifre attualmente a disposizione sulla casistica passata non sono esatte, dato che vengono raccolte da Ong che hanno solo i giornali come fonte di informazione. Per questo è difficile dire se questi casi stanno diventando sempre più comuni o se invece l’attenzione dei media non rischi di ampliare la percezione del fenomeno.
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