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Re Morsi 1° (Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana a cura di Angelo Pezzana)
In Egitto, nove mesi fa, nel novembre 2011, la Fratellanza Musulmana si aggiudicò quasi la metà dei seggi parlamentari, trasferendo l’abituale consenso popolare ad un livello politico di grande potenza. Questo successo la spinse a mirare anche alla presidenza, e in giugno, il loro rappresentante – Mohammad Morsi – venne eletto. Il Consiglio Supremo Militare, che aveva gestito il paese da quando Mubarak era stato costretto a dimettersi nel febbraio 2011, dovette prenderne atto, e il capo del Consiglio, Hussein Tantawi, che faceva conto di rimanere al suo posto sino alla fine dei suoi giorni, annunciò che non intendeva diventare il Mubarak n°2. Nel frattempo, fra le due istituzioni si era creata una aperta rivalità. I militari, un corpo armato non eletto, di grande potere, violento, odiato, laico, corrotto, gerarchico, obbediente, disciplinato. La Fratellanza, al potere grazie alle elezioni, sostenuta dal popolo, non violenta, religiosa, dalla forte ideologia, legata al popolo perché percepita come l’incarnazione di una battaglia durata molti anni. Nei mesi scorsi, specialmente da quando Morsi era stato eletto a giugno, l’Egitto sembrava un carro traballante, guidato da due cavalli, che andavano in direzioni opposte. Ogni cavallo tirava con forza dalla propria parte, come se non sapessero che comunque dovevano tirare il carro insieme. La Corte Suprema Costituzionale, intanto, scioglieva il parlamento, assestando un colpo alla Fratellanza , mentre il Consiglio Supremo Militare congelava i poteri del presidente, finchè Morsi ne decapitò i leader: Tantawi, Anan, comandante in capo, Muaffi, capo dell’intelligence, e tutta una serie di alti ufficiali del vecchio regime, ancora nominati di Mubarak, con una sola decisione che è apparsa come la risposta all’attacco nel Sinai di due settimane fa. Non si è fatta udire nessuna protesta pubblica da parte di tutti i dimissionati, che hanno lasciato i loro incarichi accettando la decisione di Morsi. Sono stati ricollocati ad altri incarichi, alcuni anche vicini alla segreteria del presidente, in modo da poter essere controllati, o in altri posti essenzialmente onorifici. Dietro la facciata si stava svolgendo, però, una difficile battaglia. Il presidente Morsi, una settimana fa, ha riunito nel suo ufficio il Consiglio Nazionale della Difesa, per discutere le implicazioni derivate dalla strage dei soldati egiziani nel Sinai e della sicurezza nella regione. Erano intervenuti anche Tantawi, Anan e altri alti ufficiali. Tantawi dichiarò che l’intelligence aveva ricevuto informazioni del coinvolgimento di elementi palestinesi nell’attacco, e che era stato Israele a pagarli. Per cui, disse, l’Egitto deve chiudere il confine di Rafah, una minaccia alla sicurezza nazionale egiziana. La risposta di Morsi fu molto secca, “ non credo che un palestinese possa aver compiuto un gesto simile, me se avevi avuto informazioni in quel senso, perché non hai agito di conseguenza ? Non permetterò la chiusura del valico, perché non credo che Hamas abbia preso parte all’attacco”. Tantawi respinse le parole del presidente e comunicò che il Consiglio Supremo Militare aveva deciso di chiudere il valico di Rafah completamente, e che sarebbe stato riaperto solo in un lontano futuro. “Tocca a noi militari decidere”, disse. Al che Morsi, bruscamente, affermò “ sono io il comandante in capo dell’esercito militare”. La riunione finì con l’esame dei gruppi terroristi in Sinai. Morsi incontrò poi Tantawi e Anan, senza però comunicargli che di avrebbe fatti dimettere poche ore dopo. L’esercito non intervenne in difesa di Tantawi e Anan, e l’intelligence non fece obiezioni pubbliche per l’allontanamento di Muaffi. Questo comportamento pone una domanda:come hanno potuto queste istituzioni potenti accettare senza discutere le decisioni di Morsi ? Sono diventate tutte seguaci ubbidienti della Fratellanza Musulmana ? Non proprio. Una spiegazione possibile sta nell’età avanzata di Tantawi ( 76 anni) e quindi dalla sua volontà di non mantenere un ruolo in un momento delicato e difficile. Un’altra, più credibile, è che Tantawi abbia abbia detto a Morsi “ prendi il potere e fai vedere come se la cava la Fratellanza”, soprattutto considerando la crisi economica egiziana. Crollato il turismo, lo stesso per quanto riguarda gli investimenti stranieri e le riserve di valuta straniera, il tutto in una cornice di crisi globale, stati europei inclusi, senza che all’orizzonte appaia una soluzione, tranne forse l’aiuto degli Stati Uniti, i quali, però, non hanno ancora deciso come comportarsi con la Fratellanza, se considerarla un governo legittimo o un movimento di estremisti islamici. In questa situazione, occorre molta fede nell’Onnipotente per credere che l’Egitto possa risollevarsi. Può darsi che in futuro i militari potranno entrare in conflitto con il presidente, quando quest’ultimo prenderà nelle sue mani la riorganizzazione dell’esercito. In Egitto i militari rappresentano un impero economico, chiamato “ Organizzazione-Progetto del Servizio Nazionale”, fondato all’inizio degli anni ’80 per assistere quei militari che avevano perso il posto di lavoro a causa del Trattato di Pace con Israele. Si stima che il prodotto interno lordo sia legato dal 25 al 40 per cento a società e banche che fanno parte del patrimonio militare. In questi ultimi mesi, con l’aggravarsi della situazione economica, è stato l’esercito a prestare denaro allo stato. Può sembrare illogico, ma questa è la situazione egiziana, l’esercito è più ricco dello stato, e il suo potere economico – tenuto nascosto all’opinione pubblica- non è soggetto all’autorità dello stato. Aziende di proprietà militare sono attive in tutti i campi: costruzioni, servizi, ristorazione, stazioni di benzina, industrie alimentari, chimiche, petrolchimiche e della plastica. La fabbricazione delle armi è interamente – e apertamente – sotto il controllo del “ Ministero della Difesa e della Industrie Militari”. Questa attività viene condotta in modo pubblico per i suoi legami con le industrie straniere, americane in particolare, e per la proibizione di fabbricare armi e munizioni al di fuori del controllo militare. Una delle ragioni dell’arricchimento derivato da queste industrie legate ai militari sta nel fatto che non sono soggette a tassazione, per cui non devono mai presentare bilanci al ministero competente. Queste aziende si sostengono le une alle altre, non avendo bisogno di fare offerte pubbliche, avendo eliminato la concorrenza. Ne sono nate così due classi economiche di potere: quella che beneficia del potere delle industrie militari e quella che ne è rimasta lontana. Il risultato è un vuoto economico che produce corruzione, discriminazione e collera popolare. Morsi conosce la situazione benissimo e, prima o poi, cercherà di controllarla. Quale sarà la risposta dei militari ? Si adegueranno e daranno battaglia ? E’ probabile che cercheranno un compromesso con il presidente per evitare uno scontro con lui, perché a causa della rivoluzione e della profonda crisi economica, milioni di famiglie egiziane vivono nell’indigenza, di fronte all’alto tenore di vita dell’apparato militare. Verso una dittatura religiosa ? I responsabili della sicurezza nazionale sono stati dimissionati dopo la protesta popolare derivata dall’assassinio dei soldati in Sinai, e dalla constatazione che i militari non avevano agito correttamente per tutelarne la vita. Morsi ha sfruttato in pieno questa rabbia, mandando a casa quelli che fino ad allora erano considerati intoccabili, i capi militari. Va detto che la protesta popolare era stata sfruttata anche dai media, i quali sono ormai agli ordini di Morsi, che viene presentato come il capo ideale, dalle mani pulite e dal cuore puro, il salvatore dell’Egitto, l’uomo giusto al posto giusto, l’uomo che l’Egitto attendeva da molti anni. Molti egiziani si rivolgono ai media internazionali, che non sono sotto il controllo dei Fratelli Musulmani, per esprimere la loro opposizione al regime di Morsi. Hanno dunque abbattuto un dittatore laico per averne uno religioso ? La domanda è particolarmente giustificata dal fatto che la rivoluzione, all’inizio, non era religiosa, ma piuttosto laica, i giovani di piazza Taharir che estromisero Mubarak nel gennaio 2011 erano laici, liberali, cercavano libertà, mentre la Fratellanza Musulmana si è impadronita della rivoluzione in una fase successiva, approfittandone per mettere le mani sullo stato. I giovani rivoluzionari che ascoltano oggi radio e tv si rendono conto che il loro sacrificio – inclusi morti, feriti e una grande umiliazione – è stato invano, un regime religioso era l’ultima cosa che avrebbero voluto. Da un altro conto, Morsi è anche criticato severamente dai salafiti, che hanno un forte seguito fra la gente, e che hanno conquistato un quarto dei seggi parlamentari. Si lamentano di Morsi, criticandolo nei sermoni nelle moschee, perché non impone la Shari’a su tutto il paese, gli chiedono perché ha preferito gestire il potere. Si riferiscono alla possibilità che la Fratellanza non abbia altri scopi se non il potere e la sua gestione, che non abbia intenzione di imporre la legge islamica sullo stato. Quest’accusa dà fastidio a Morsi e ai suoi, perché può intaccare la legittimazione religiosa del regime. La terza critica gli viene dai cristiani copti, che rappresentano il 20% degli egiziani. Da quando Morsi è stato eletto è sempre più minacciosa la sfida islamica, scontri sanguinosi tra le due parti sono sempre più frequenti. Ne segue che sono sempre più numerosi i copti che cercano disperatamente una via di fuga per andarsene dall’Egitto, e questo aumenta ancora di più l’odio nei loro confronti, perché sebbene l’ emigrazione risolva il problema della loro presenza, i problemi cronici dell’Egitto rimangono insoluti. L’Accordo di Pace con Israele Molti, in Israele e nel mondo, sono preoccupati dalla possibilità che Morsi sacrifichi il Trattato di Pace con Israele sull’altare della legittimazione del suo regime. L’uomo che è riuscito a far dimettere il capo del Consiglio Supremo Militare, non è forse in grado di rimandare in Israele l’ambasciatore ? Può succedere, se Israele attacca Gaza o il Sinai, ma anche in questo caso l’Egitto può sempre concedere un livello diplomatico più basso, un consolato, oppure una rappresentanza israeliana entro un’altra ambasciata, quella svizzera, per esempio. Cancellare il Trattato di Pace ora potrebbe causare un serio danno alla già pericolante economia egiziana, l’atmosfera di guerra allontanerebbe turisti e investitori, e aumenterebbe anche il prezzo delle assicurazioni per le navi che attraversano il Canale di Suez, motivando le compagnie di navigazione a cercare passaggi alternativi. Una possibilità potrebbe essere il condotto petrolifero Eilat-Ashkelon, una opportunità economica per Israele. Politici, ministri, membri della Knesset ed esponenti di alto livello, hanno detto in pubblico, senza esitazione, che la pace tra Israele e l’ Egitto è nell’interesse soprattutto di quest’ultimo, che deve quindi porre fine al caos nel Sinai, che è una minaccia all’Egitto, non solo a Israele, come ha dimostrato l’attacco di due settimane fa. Non respingo questa valutazione israeliana, ma il fatto che molti lo ripetano in continuazione dà l’impressione che ne temano la cancellazione, per questo cercano di convincere gli egiziani che il mantenimento del trattato è più interesse loro che di Israele. Ma questa tecnica può ottenere un risultato opposto. Un rappresentante dei Fratelli Musulmani può chiedersi se gli israeliani temono tanto la scomparsa del trattato di pace, non può essere allora la cosa giusta da fare ? Gli israeliani non si rendono conto che la loro ossessiva preoccupazione come appare sui media danneggia lo stesso trattato. Molti israeliani non conoscono le regole mediorientali: più ci entusiasmiamo per qualcosa, più sale il prezzo. Anche l’opposto è vero, meno interesse mostriamo, più scende il prezzo. Se proclamiamo giorno e notte che vogliamo la pace con i nostri nemici, oppure per ottenere la liberazione di un soldato rapito che è nelle loro mani, il prezzo della pace o del soldato sarà più alto di quello che potremo pagare. Ma se diffondiamo un messaggio nel quale diciamo che possiamo tirare avanti anche senza la pace e che non pagheremo un prezzo esorbitante per il soldato rapito, allora il prezzo scenderà a un livello ragionevole. Ne abbiamo avuto un esempio nelle scorse settimane: per combattere il terrorismo nel Sinai, l’Egitto a chiesto il permesso a Israele di usare carri armati e elicotteri, proibito dagli accordi pace. Il governo israeliano ha acconsentito velocemente , con una giusta decisione, perchè è stato corretto sostenere l’Egitto nella lotta contro il terrorismo nel Sinai. D’altro canto, la fretta nel prendere quella decisione ha trasmesso un segnale pericoloso, che Israele desiderava arrendersi davanti a una parte importante della sua sicurezza – la smilitarizzazione del Sinai - in cambio di una attività preventiva contro il terrorismo ai suoi confini. Così stanno le cose, Israele ritiene un gruppo terrorista un pericolo più grande dell’esercito egiziano ai suoi confini. Quelli che decidono della nostra sicurezza, che hanno servito in unità di élite nell’esercito di difesa, sono diventati ottusi ? Nessuno ha mai pensato alle conseguenze che – nei tempi lunghi – potranno esserci nell’avere l’esercito egiziano al confine con il Sinai ? Sarà stato un permesso temporaneo, oppure resteranno lì per sempre ? Come risponderà Israele alla richiesta di trasferire altri armamenti nel Sinai ? E come reagirà se gli egiziani cominceranno ad ammassare armi nel Sinai “per combattere il terrorismo” senza il permesso di Israele ? Conservo sempre la speranza che giorno verrà nel quale i nostri governanti capiranno meglio quanto avviene in Medio Oriente, e prenderanno decisioni che rafforzeranno Israele invece di indebolirla. Questo è importante specialmente da quando l‘islamico Re Morsi 1° ha aumentato il suo potere in Egitto, con le sue opinioni private e ideologiche su Israele, che può evaporare insieme al Trattato di Pace. Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi. |
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