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Il Giornale Rassegna Stampa
18.08.2012 Proteste dei laici nei Paesi islamici della 'primavera'
cronaca di Rolla Scolari

Testata: Il Giornale
Data: 18 agosto 2012
Pagina: 15
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «Nei Paesi islamici c’è chi dice no al Corano»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 18/08/2012, a pag. 15, l'articolo di Rolla Scolari dal titolo "Nei Paesi islamici c’è chi dice no al Corano ".


Rolla Scolari             Donne protestano in Tunisia

In queste ore il mondo islami­co celebra la festa di Aid El Fitr, che chiude il mese del digiuno sa­cro di Ramadan. Il digiuno è uno dei cinque pilastri dell'islam e nel mondo islamico non rispettarlo resta un tabù. In Paesi come Emi­rati Arabi, Kuwait, Arabia Saudita ci sono leggi che proibiscono di mangiare in pubblico durante i 30 giorni. In Egitto, dove alcuni risto­ranti restano chiusi fino al tramon­to, a luglio una fatwa- o editto reli­gioso - contro il mangiare in pub­blico ha fatto innervosire gli attivi­sti laici. In una cittadina del Ma­rocco, alcuni giovani sono stati ar­restati pochi giorni fa per aver mangiato e fumato di giorno per strada, andando contro l'articolo 222 del codice penale, che preve­de sei mesi di carcere e una multa a chi non rispetta il Ramadan in pubblico. Nella maggior parte dei Paesi islamici, dove la religione ha un posto centrale nel tessuto so­ciale e anche nella vita politica, le iniziative in favore della laicità so­no embrionali e isolate. Il Marocco- regno governato da una monarca che si considera di­scendente diretto di Maometto e da un esecutivo guidato da un isla­mista- è tra i Paesi meno conserva­tori dell'area. E lì, quest'anno, c'è chi ha fatto prove di laicità duran­te Ramadan. Un migliaio di attivi­sti ha organizzato infatti iniziative contro l'interdizione di mangiare in pubblico durante il giorno: una inedita provocazione chiamata Masayminch , non digiuniamo, in dialetto marocchino. In Marocco il dibattito sulla laicità è aperto da anni. Lo stesso accade nella vici­na Tunisia, già negli anni Sessan­ta all'avanguardia rispetto ai vici­ni musulmani nella secolarizza­zione della società. Dopo la rivolu­zione del 2011, con l'elezione di un governo islamista e l'aumento nelle strade di azioni violente da parte di gruppi musulmani radica­li, nel Paese ci sono state manife­stazioni in favore di uno Stato lai­co. Pochi giorni fa, centinaia di tu­nisine son­o scese in strada per pro­testare contro la proposta di un ar­ticolo della nuova Costituzione ­in stesura - in cui si parla di «com­plementarità » tra uomo e donna e non di uguaglianza tra i sessi. Le at­tiviste temono che la ratificazione di un tale articolo azzeri il Codice di Statuto personale del 1956, che in anticipo sui tempi annullava la poligamia, il ripudio e apriva al di­vorzio e al matrimonio civile. Nelle battaglie dei laici nei Pae­si i­slamici c'è da anni proprio quel­la per il matrimonio civile. In Liba­no, dove lo Stato conta ufficial­mente 18 comunità religiose di­verse, il problema va oltre la legge islamica. Non esistono nozze civi­li. E sono in aumento i matrimoni tra membri di diverse religioni, ob­bli­gati a prendere un aereo per po­tersi sposare davanti a un giudice, senza convertirsi. La destinazio­ne principale è Cipro - meta an­che di molti cittadini d'Israele, al­tro Stato della regione in cui non esiste il matrimonio civile. A Bei­rut - da cui nel 2011 sono partite verso Cipro 800 coppie - ci sono tour operator che si prendono cu­ra di tutto il pacchetto, dall'hotel alle noie burocratiche e aumenta­no i giovani che scelgono di spo­sarsi civilmente nonostante siano della stessa religione. In Egitto, Paese profondamen­te conservatore, una delle maggio­ri battaglie contro la presenza di leggi religiose nella società è stata combattuta dai Baha'i, religione nata nel XIX secolo in Persia. Nel 2009, dopo diversi procedimenti legali di fedeli Baha'i, il ministro dell'Interno egiziano ha decreta­to che anche membri delle «reli­gioni non riconosciute » potevano avere documenti di identità. Sulla carta d'identità egiziana, infatti, compare la religione, ma i funzio­nari del ministero accettavano sol­tanto di inserire musulmani, cri­stiani ed ebrei. Per anni, i Baha'i hanno rifiutato questa categoriz­zazione. E non hanno ricevuto do­cumenti, fondamentali per lavora­re, avere accesso all'educazione, alle pensioni, alla sanità pubbli­ca. Secondo Human Rights Wa­tch, il ministero dell'Interno egi­ziano non seguiva soltanto la leg­ge egiziana, ma la propria inter­pretazione della norma islamica, che impediva ai funzionari di rila­sciare documenti anche ai musul­mani convertiti al cristianesimo, considerati apostati dalla sharia.

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