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Il Giornale Rassegna Stampa
18.08.2012 Massacrata di botte dal marito perchè si toglie il velo per il caldo
succede in Italia. Islam moderato ?! Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 18 agosto 2012
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Picchiata per il velo, l’Italia come Kabul»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 18/08/2012, a pag. 16, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo "Picchiata per il velo, l’Italia come Kabul ".


Fiamma Nirenstein

Aveva caldo, solo un gran cal­do. Ed era anche in gravidanza, e comminava con suo marito per Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, non proprio Cortina D'Ampezzo. Con un caldo così portare un hijab che ti copre la te­sta, la fronte, la bocca, il collo, so­pra quel vestito «modesto» che ti avvolge la gambe, le braccia, tutto il corpo, non è possibile. Ma è an­cora più impossibile violare la leg­ge dell'Islam e quella del marito e del padre, e quando la giovane mo­glie, vent'anni, ha detto che si vole­va togliere quella cosa dal capo, che non ne poteva più, il marito si è messo a urlare e a inveire. Ma la giovane che è un'italiana figlia di un tunisino e vive a Torino col gio­vanissimo coniuge egiziano, è un' italiana, e per quanto evidente­mente disposta a vivere in manie­ra religiosa, non ce l'ha fatta a subi­re quel diktat. Una donna incinta ha già abbastanza fastidi fisici per sopportare anche un caldo violen­to, e la nostra ragazza si è tolta co­munque il velo, ottenendone una gragnuola di pugni e calci. La fine è un film conosciuto: è intitolato violenza contro le donne, ma pare che non ci stanchiamo di riveder­lo. La gente intorno cercava di sot­trarla dalle mani dell'uomo, ha chiamato l'ambulanza e la poli­zia, lei è all'ospedale, lui per ora è dentro.
Ma di chi è la colpa? La colpa è no­stra, perché non riusciamo a ren­dere comune buon senso il no­stro, italiano e occidentale, divie­to assoluto di uso della violenza nelle famiglie, e in particolare in quelle islamiche. La giovane mo­glie di Porto Empedocle avrebbe potuto essere uccisa perché aveva caldo, e questo da noi non deve succedere in nessun caso. Non ci interessa che la si chiami «cultura diversa». Da noi una donna ha di­ritto di vestirsi come vuole, e an­che di uscire con chi vuole, di fare il lavoro che vuole, di fidanzarsi e di sposarsi con chi vuole, e poi di educare il figlio o soprattutto la fi­glia nel rispetto dei più elementa­ri diritti umani.
Non c'entra? C'entra e come, per­ch­é secondo tutti gli studi disponi­bili una famiglia come quella non si limita a coprire la poveretta se­condo la tradizione, ma richiede segregazione, ubbidienza ai ma­schi della famiglia, frequentazio­ne di amici scelti dal marito o dal padre, educazione, abbigliamen­to, costumi sessuali, insomma un insieme di atteggiamenti che escludono le scelte individuali. La pena può variare, ma è sempre ter­ribile, le botte, la reclusione, e so­vente anche la morte.
Se si vanno a vedere le statistiche, almeno 5000 donne l'anno vengo­no uccise ne­i Paesi d'immigrazio­ne per motivi d'onore. In Inghilter­ra nel 2010 sono state uccise (e la cifra è ritenuta bassa rispetto alla realtà) 22 donne in quattro mesi, e di crimini collaterali ne sono stati denunciati 2283, più 500 minori. La lista è densa di nomi noti e l'ac­cusa di partenza è sempre la stes­sa: eccessiva integrazione nei co­stumi occidentali, i padri assassi­ni talora aiutati dalle madri lo ripe­tono come in un inconsapevole nuvola di nefasto attaccamento a un mondo perduto, a un paradiso forse mai esistito.
In Italia nessuno si dimentica i no­mi di Hina e di Sanaa. Hina Sale­em, ventenne pakistana, uccisa nel 2006 dal padre a Sarezzo nel Bresciano, e Sanaa Dafari, ragaz­za marocchina di 18 anni sgozza­ta dal padre, il cuoco Kataoul Dafa­ni, perché osava uscire con un ra­gazzo italiano. Ma i lettori sanno che queste sono solo due delle tan­te storie sempre più frequenti nel nostro Paese e in tutta Europa. Il 28 maggio una madre indiana di un bambino di cinque anni è stata uccisa perché vestiva all'occiden­tale; ad aprile, a Brescia, la polizia andò a ripescare a casa una ragaz­za pachistana, detta Jamila, per­ché la famiglia aveva deciso di re­cluderla completamente perché giudicava troppo occidentale la sua educazione a scuola; il 3 otto­bre del 2010 a Novi un pakistano massacrò con una pietra la mo­glie perché aveva difeso la figlia che rifiutava un matrimonio com­binato con un pakistano; sempre quell’anno un altro padre egizia­no ha tentato di soffocare la figlia con un sacchetto di plastica rite­nendo che non fosse più vergine...
la lista è lunga, ci troviamo ad ave­re oggi a che fare con temi come la verginità, la libertà di movimen­to, la libertà di opinione come se fossimo tornati a cento, duecento anni fa. Dovremmo avere il corag­gio di dire a noi stessi che di que­sto si tratta, non dell'interessante proposta di un'altra cultura, ma di una posizione arretrata che ucci­de tutte le conquiste che sono sta­te pagate lacrime, sudore e san­gue dalla nostra società, e che non siamo disposti a pagare questo prezzo. E che non ci si dica che si tratta di islamofobia, e anzi, che l'Islam non c’entra niente. È da questa viltà, dalla negazione del reale così ormai comune in Euro­pa, che nasce la nostra responsabi­lità verso le ragazza uccise.
www.fiammanirenstein.com

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