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Informazione Corretta Rassegna Stampa
18.08.2012 Le radici dell'islamismo made in UK: Radical, di Maajid Nawaz
Londonistan, di Annalisa Robinson

Testata: Informazione Corretta
Data: 18 agosto 2012
Pagina: 1
Autore: Annalisa Robinson
Titolo: «Le radici dell'islamismo made in UK: Radical, di Maajid Nawaz»

Le radici dell'islamismo made in UK: Radical, di Maajid Nawaz
Londonistan, di Annalisa Robinson


Annalisa Robinson, Maajid Nawaz

E’ uscito in libreria, edito da WH Allen, Radical, di Maajid Nawaz, ex leader di Hizb al-Tahrir, organizzazione che si propone di rovesciare tutti i regimi “infedeli” e instaurare un califfato musulmano. Benché Hizb al-Tahrir non sia un’organizzazione terroristica vera e propria (questione di sfumature), la sua ideologia legittima la violenza, e in qualche modo la si può collegare ad Al Qaida. Oggigiorno Nawaz anima la Fondazione Quilliam, la prima organizzazione musulmana che si oppone agli estremismi e lavora per promuovere il pluralismo in Paesi islamici come il Pakistan, l’Egitto e la Libia.

Come The Islamist, scritto da un altro ex estremista, Ed Husain, Radical racconta molto bene come si sviluppa e come funziona l’islamismo, le (preoccupanti) dimensioni raggiunte dal fenomeno, e come si può cercare di contrastarlo. La storia di Nawaz è emblematica, e fa riflettere. Innanzitutto Nawaz è nato nel 1977 in Inghilterra, sulla costa dell’Essex, in una famiglia della classe media agiata e anglofila. I Nawaz hanno amici musulmani, hindu, sikh, e inglesi. La mamma, Abi, è istintivamente liberale: non solo compra i Versi Satanici di Salman Rushdie per decidere di persona se il libro sia o meno blasfemo, ma anche disapprova la fatwa di Khomeini, e dice a Maajid: “Lascia che scriva il suo libro. Se non ti piace, scrivine uno tu contro di lui”.

Il momento della svolta islamista, per Maajid, avviene a metà degli anni 90, quando la sua città, Southend, vede una rinascita del movimento skinhead, alimentato dai figli di londinesi bianchi che hanno abbandonato l’East End per via dell’eccessiva immigrazione asiatica. Il ragazzo si rende conto di cosa voglia dire “essere oggetto di attacco per via del colore della tua pelle” e comincia a portare con sé un coltello. Un giorno Maajid e il fratello maggiore Osman si trovano davanti un gruppo armato di mazze da baseball.  Freddamente, Osman va loro incontro, dice qualcosa al leader del gruppetto, e gli skinheads battono in ritirata. Cos’ha detto Osman? “Ho detto loro che siamo musulmani e non temiamo la morte. Siamo come i palestinesi che vedete in televisione e che fanno esplodere gli aeroplani. Siamo terroristi kamikaze. Ci hanno insegnato a fare le bombe e ne ho una nello zaino. Se solo provate a muovervi la farò esplodere….. Se dobbiamo morire per farvi fuori, siamo pronti a farlo”.

In questo momento, Osman è già un islamista, e ha già cercato di convertire Maajid all’Islam radicale. Maajid è riluttante a lasciare la sua vita sociale, i locali notturni, la ragazza. Ma l’episodio degli skinhead gli fa comprendere la potenza dell’islamismo, di questo messaggio fortissimo che intimidisce la gente anche da lontano: “Bisogna che lo prenda un po’ più sul serio perché funziona”. Diventa membro di Hizb al-Tahrir. E qui il racconto di Nawaz sembra contraddire la nostra idea degli islamisti come fanatici religiosi, solitari, socialmente emarginati: “La maggior parte dei membri di Hizb al-Tahrir erano come me, molto socievoli,” dice Nawaz a Margarette Driscoll del Sunday Times ((24.06.2012). “Ecco perché l’organizzazione si è sviluppata così velocemente”.  Le sessioni di studio si concentrano sull’ideologia piuttosto che sulla religione, presentando l’Islam come un’ideologia politica ed economica (anticapitalista). Vengono mostrati video in cui i musulmani bosniaci vengono torturati o massacrati. Come gli altri, Maajid sviluppa una visione “islamocentrica” del mondo, tipica degli islamisti, in cui le vicende del mondo vengono percepite come organizzate appositamente per perseguitare i musulmani o fare di essi cittadini di seconda classe.

Quando arriva a Londra per studiare alla famosa School of Oriental and African Studies è già un attivista islamico. Sposa un’attivista, ha un figlio, diventa oratore e reclutatore per Hizb al-Tahrir; non solo in Gran Bretagna (è presente all’omicidio per accoltellamento di uno studente africano da parte di un collega estremista), ma anche in Danimarca e in Pakistan, dove fonda  cellule del movimento (anche in vista di un colpo di stato islamista), infine in Egitto, dove Hizb al-Tahrir è illegale. Nel 2002 viene arrestato e torturato, e passa più di quattro anni in carcere.  E’ proprio in carcere che Nawaz riflette sulle motivazioni di Hizb al-Tahrir, comincia a coltivare dubbi e a porsi domande. Nonostante il proprio attivismo pro Islam, conosce ben poco della religione nel cui nome lotta e complotta. Così si mette a studiare, e a dialogare con altri prigionieri incarcerati per credenze molto diverse dalle sue, compresi laici e atei. Scopre di non non poter fare a meno di rispettarli, e si rende conto che il suo zelo di attivista non era affatto religioso, bensì una versione islamista delle rivolte di cui sono protagonisti anche gli studenti occidentali: “Noi islamisti eravamo i figli bastardi del colonialismo”.

Fondamentale è il ruolo di Amnesty International: Nawaz rimane sorpreso e commosso dal fatto che degli estranei, per di più “nemici dell’Islam”, organizzino campagne per il suo rilascio. Ritorna lentamente agli ideali liberali che la madre aveva cercato di trasmettergli.

Al suo ritorno in Gran Bretagna Nawaz viene accolto dai compagni di Hizb al-Tahrir come un eroe, e gli viene offerta la leadership nazionale del movimento.  Rifiuta, rompe i rapporti con Hizb al-Tahrir, paga un alto prezzo personale: ritrova la madre, ma viene lasciato dalla moglie islamista e perde i contatti con il figlio. Si assume la responsabilità del male fatto a entrambe: “Sono stato io a presentarmi come il tipo di persona che mia moglie ha sposato, e sono io ad aver deciso di non essere più quella persona. […]  Ci sono persone nella sua famiglia che io ho reclutato, e che hanno avuto le ossa rotte dalla tortura, che sono state arrestate o incarcerate”.

Nonostante tutto, Nawaz decide di impegnarsi per il “risveglio democratico” dei musulmani, in patria e altrove, cominciando appunto con la fondazione di Quilliam. Crea anche un sito web, Khudi, per incoraggiare i giovani che altrimenti sarebbero attratti dall’Islam radicale a unirsi a movimenti democratici. E’ convinto che così come i movimenti nazionalisti secolari sono stati soppiantati dagli islamisti nei Paesi del Medio Oriente (e non solo), così gli islamisti potrebbero venire eclissati da movimenti democratici, a patto che si prepari il terreno correttamente – e ora.

Nawaz è ovviamente un  uomo di notevole intelligenza e grandi capacità, cresciuto senza privazioni o grandi problemi personali in una famiglia affettuosa. Colpisce quindi che sia diventato, almeno per alcuni anni, un fanatico, e colpisce ancora di più il modo in cui le autorità britanniche si siano dimostrate di volta in volta ignoranti, eccessivamente indulgenti, o semplicemente paurose nei confronti delle attività di organizzazioni come Hizb al-Tahrir. La palma della credulità va alla sinistra liberale: “Noi islamici ridevamo della loro ingenuità”, scrive Nawaz.

Il racconto di Nawaz mostra come l’atteggiamento indulgente delle istituzioni britanniche abbia favorito lo sviluppo di Hizb al-Tahrir.  A scuola e in università gli studenti come Maajid potevano portare coltelli, e l’incitamento all’odio razziale, che sarebbe stato immediatamente punito se fosse venuto dal British National Party, veniva tollerato perché veniva da studenti di origine asiatica. In Pakistan, gli attivisti di Hizb al-Tahrir si guadagnavano da vivere insegnando l’inglese per il British Council. Insomma, come ha ben detto il politologo Charles Moore, l’atteggiamento “culturale” britannico era così abietto da contribuire agli attacchi contro se stesso.

Tuttavia, sotto sotto Nawaz non riesce a odiare fino in fondo la cultura che disprezza e attacca. Un caso esemplare è quello di un suo professore di liceo, Mr. Moth. Mr. Moth è gay, e nonostante i deliri anti-omosessuali di Nawaz, crede in quest’ultimo e lo incoraggia a coltivare le proprie capacità accademiche, a mirare alto. Sotto sotto, anche a distanza di anni, Nawaz non vuole deludere Mr. Moth.  E in qualche modo, attraverso la famiglia e la scuola, assorbe gli ideali così britannici di libertà, giustizia e dialogo, che non riesce a scuotersi di dosso. Nel libro Nawaz, tornato a Londra dopo la prigionia egiziana, apostrofa così la capitale: “Come ti disprezzavo e ti amavo….  Testa del serpente coloniale che aveva avvelenato il mio popolo…. e tuttavia bastione di giustizia, legalità e correttezza… Sapevo che non ero mai stato così al sicuro come nei tuoi verdi parchi”.

Nawaz illustra anche molto bene l’impatto graduale, goccia a goccia, del radicalismo islamico nella comunità musulmana moderata. Ricorda un tempo in cui, a Southend, musulmani, hindus e sikh si invitavano reciprocamente ai matrimoni, cerimonie elaborate e pittoresche. Oggi è difficile che un musulmano abbia amici sikh, e persino i matrimoni musulmani sono cambiati. Niente musica, niente danze; spesso una tenda separa donne e uomini, e a volte ci sono “servizi di sicurezza” che sorvegliano la segregazione dei due gruppi.

Secondo Charles Moore, è compito di una società moderna evoluta cercare di coltivare  personalità brillanti ed eloquenti come quella di Nawaz in direzioni che le siano di beneficio, o almeno non la danneggino. Infatti Nawaz ha già collaborato al discorso tenuto da David Cameron a Monaco sui modi per contrastare ideologie estremiste, e il Partito Liberal-Democratico lo ha già contattato per una sua eventuale candidatura al Parlamento. Nel 2012 ha accompagnato una missione parlamentare britannica in Israele e nella West Bank. Ogni anno viaggia in lungo e in largo per tenere conferenze in moschee e università di tutto il mondo. Ha parlato anche a Peshawar, a Islamabad, in Lahore, e a Quetta, una roccaforte talebana in cui ha dialogato con gli studenti indossando un giubbotto antiproiettile.

C’è una sola università in cui gli è stato impedito di parlare. E non si trova in territorio talebano, in Pakistan o a Gaza. Si trova nel cuore geografico dell’Inghilterra, a Birmingham. Nawaz ci doveva parlare nel 2010, ma il servizio di sicurezza disse di aver ricevuto minacce, e di non poter garantire ordine e incolumità delle persone coinvolte. La conferenza quindi non ebbe luogo. “Se hai parlato a Quetta e a Peshawar e non puoi farlo a Birmingham, allora c’è qualcosa che non va”, dice in proposito Nawaz al Sunday Times.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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