I giovani di piazza Tahrir chiedevano un governo laico di sicuro non l'hanno ottenuto con Morsi
Testata: La Repubblica Data: 18 agosto 2012 Pagina: 1 Autore: Bernardo Valli Titolo: «Il golpe di velluto di Morsi»
Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 18/08/2012, a pag. 1-31, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo "Il golpe di velluto di Morsi".
Bernardo Valli Piazza Tahrir
Contrariamente a ciò che scrive Valli, ciò che desideravano i giovani di piazza Tahrir non era soltanto la limitazione del potere dei militari, quanto un governo laico. Non proprio ciò che sta facendo Morsi. Invitiamo a leggere l'analisi di Mordechai Kedar, pubblicata in altra pagina della rassegna http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=320&id=45705 Ecco il pezzo di Valli:
Non ci si aspettava un’azione tanto decisa, audace, da un notabile giudicato di seconda mano. La stessa Confraternita dei Fratelli Musulmani, di cui fa parte, l’aveva scelto come un candidato di ripiego alle presidenziali. Invece soldati prestigiosi, ritenuti inamovibili, hanno accettato senza fiatare le sue decisioni. Il Feldmaresciallo Muhammad Tantaui, da anni ministro della difesa e di fatto l’uomo forte del Paese, dopo la destituzione di Hosni Mubarak, del quale era stato un devoto subordinato, non ha battuto ciglio. Ha chinato la testa e ha abbandonato la carica che sembrava dovesse incarnare fino alla morte. E insieme a lui si sono ritirati senza protestare tanti altri generali, dal capo dello Stato maggiore ai comandanti delle varie armi. In sostanza l’intoccabile Supremo Consiglio delle Forze armate è stato cancellato. Non esiste più. Morsi ha ottenuto quel che gli insorti di piazza Tahrir hanno chiesto invano per settimane, per mesi, pagando la protesta con decine di morti. Il presidente ne ha ereditato anche i poteri, poiché si è dichiarato comandante supremo delle Forze armate, e ha abolito la decisione con la quale i militari si erano arrogati il diritto di rivedere, di correggere la nuova Costituzione, ancora da redigere. E nessuno tra i militari ha finora fiatato. Sopravvive soltanto una Corte suprema, che funziona da Corte costituzionale basandosi sulle volontà dei militari dai quali è stata nominata. I militari però non si sono volatilizzati come i vecchi generali mandati in pensione. La bacchetta magica che ha consentito a Muhammad Morsi di sbarazzarsi senza colpo ferire del soffocante Supremo Consiglio delle Forze armate, in sostanza della giunta mi-litare, è stata l’alleanza, l’intesa, con i generali più giovani, con la nuova generazione di militari impaziente di scalzare la vecchia, ormai giudicata bolsa, inefficiente. Insomma c’è stato un cambio della guardia. Il quale è avvenuto attraverso una trattativa tra i giovani generali e i Fratelli musulmani, principale forza politica nel Paese. Il processo di transizione dunque continua, a tappe. Per placare piazza Tahrir i vecchi generali hanno destituito Hosni Mubarak, l’hanno mandato in prigione e davanti a un tribunale, garantendogli la vita salva. E adesso i giovani ufficiali hanno mandato in pensione con onori e prebende i loro superiori, per risolvere il conflitto di potere tra il presidente, rappresentante dei Fratelli musulmani, e la vecchia giunta militare. Il pretesto è stato offerto dagli scontri nel Sinai, dove le bande che lo percorrono hanno ucciso giorni fa diciassette soldati egiziani. L’inefficienza dei comandi è stata scaricata sui vecchi generali, in età di pensione. I giovani generali avevano bisogno della legittima autorità del presidente eletto al suffragio universale per esautorare i loro superiori. E avevano l’appoggio, non tanto discreto, degli americani, per i quali l’esercito egiziano è una pedina essenziale in Medio Oriente, in quanto garante degli accordi di Camp David (1979), e quindi della pace tra l’Egitto, principale Paese arabo, e Israele. Un esercito che costa agli Stati Uniti un miliardo e trecento milioni di dollari l’anno, senza contare l’altro miliardo garantito allo Stato egiziano. Nel corso delle recenti visite al Cairo, il segretario di Stato, Hillary Clinton, e il capo del Pentagono, Leon Panetta, hanno certo fatto notare quanto stesse diventando insostenibile la spaccatura del potere, tra la giunta militare e il presidente, tra esercito e Fratelli musulmani. I loro interventi hanno affrettato il cambio della guardia, favorito anche dalla stanchezza dei vecchi generali e dall’ansia dei giovani di prendere il loro posto. Il successo di Muhammad Morsi si riverbera inevitabilmente sui Fratelli musulmani, che adesso possono sperare di esercitare il potere senza i veti dei militari. Quest’ultimi, come risulta con chiarezza dalle dichiarazioni distensive del presidente, non rischiano di perdere i privilegi acquisiti nei sessant’anni in cui la società militare si è imposta in Egitto. Per la prima volta il capo dello Stato non è uno di loro, ma il borghese Morsi non mette in discussione gli interessi economici della Forze Armate (industrie, ospedali, alberghi, raffinerie..), che dovrebbero aggirarsi sul dieci per cento del Pil. Forse più. I rischiosi problemi della transizione restano tuttavia da risolvere. Morsi ha conquistato negli ultimi giorni poteri quasi dittatoriali e resta un’incognita l’uso che ne farà. Si tratta anzitutto di scrivere la nuova Costituzione, la quale dovrà essere approvata da un referendum, destinato ad aprire la strada a nuove elezioni legislative (dopo che la Corte suprema ha invalidato quelle tenute nel corso dell’anno). Insomma il presidente dovrà legittimare i suoi poteri. Non può diventare un raìs. Piazza Tahrir potrebbe riaccendersi. Non può essere un altro Mubarak. Ma quale sarà il suo profilo politico? Altro capitolo è la disastrosa situazione economica, sulla quale i Fratelli musulmani, ormai pienamente al governo, subiranno il primo decisivo esame. Non pochi egiziani, forse la maggioranza, sono favorevoli a un ridimensionamento del ruolo dei militari. Ma molti li considerano un’utile barriera allo strapotere degli islamisti, anche se tra i nuovi generali non mancano i simpatizzanti dei Fratelli musulmani. Tra una settimana, il 24 agosto, il presidente non più dimezzato, anzi con troppi poteri, dovrà comunque affrontare un grande rischio: una manifestazione di protesta è stata infatti indetta quel giorno dai nostalgici del vecchio regime, e quindi dei vecchi generali.
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