So di averne già scritto in questa sede, ma ogni volta che leggo qualcosa a riguardo non mi va proprio giù. Sono pienamente d'accordo con Ugo sul concetto che l'antisemitismo di Eurabia abbia origini lontane nella storia del cristianesimo, praticamente dal secondo secolo con l'epistola di Barnaba, poi Tertulliano, Agostino e così via (in termini tecnici si chiama "teologia della sostituzione"). Ma non ha proprio ragione quando dice che comincia con Saulo da Tarso. Basta leggere nel Nuovo Testamento i capitoli 9, 10 e 11 della sua lettera ai Romani per convincersi che lui con questa faccenda non c'entra proprio niente, anzi, aveva messo tutti ben in guardia da questo errore. Certamente so che sto parlando con qualcuno che non condivide la messianicità di Gesù il Nazareno e non accetta come libri sacri altro che i 22 libri del Tanach (Vecchio Testamento), e che probabilmente considera il cristianesimo solo in termini di chiesa cattolica (es. Agostino) o chiesa protestante (es. Lutero). Ma mi creda, ci sono cristiani che amano il popolo d'Israele (e come si potrebbe fare altrimenti, dato che proprio il loro Maestro è uno di loro) e si dissociano da costoro. Credo che una bella lettura di tutta la Bibbia (compreso ovviamente il nuovo testamento) schiarirebbe le idee a riguardo (e ne vale la pena). Scusate se sono stato un po' polemico. Ho già ringraziato più volte tutta la redazione per lo splendido lavoro di Hasrabà che svolgete e spero che continuiate a farlo.
Caleb
Risponde Ugo Volli:
Gentile signor Caleb,
io sono perfettamente consapevole che vi sono cristiani amici del popolo ebraico, che molti sono stati i cristiani Giusti delle nazioni che hanno avuto il merito immenso di rischiare la propria vita per salvare quella dei perseguitati dal nazismo, e li rispetto immensamente.
Per rovesciare la vecchia battuta, ho tantissimi amici cattolici o valdesi, naturalmente tutt'altro che antisemiti, e sono perfettamente consapevole del fatto che non vi è affatto oggi sovrapposizione fra cristianesimo e antisemitismo, anzi.
Ciò nonostante, vi è una responsabilità storica, che va tenuta nella memoria per interesse di entrambi: il ricordo dei torti passati non è necessariamente ragione di rancore, ma può servire a migliorarsi.
E ci sono ambienti cristiani - i lefevbriani in maniera esplicita, quelli di "Pax Christi" sotto l'ombra della solidarietà internazionale, come molte chiese protestanti, alcuni prelati mediorientali per nazionalismo arabo - che continuano più o meno a coltivare le vecchie idee dell'antigiudaismo cattolico.
Sono una minoranza ma secondo me vanno combattuti con tutta la forza delle idee, e io mi sforzo di farlo, come nel caso della proibizione di una musica edita da un ebreo da cui siamo partiti.
Per quanto riguarda Paolo di Tarso, non vorrei aprire qui una discussione teologica. Non sono d'accordo con lei. Sono al corrente anche dell'esistenza di teorici ebrei come Boyarin, che presentano Paolo come "a radical Jew". Non sono d'accordo neanche con loro.
A parte alcune espressioni terribili delle lettere (la legge come una "maledizione" ecc.) il punto molto semplice è che Paolo - probabilmente a differenza di Gesù - voleva abolire l'ebraismo, cioè concretamente eliminare tutte le pratiche distintive della vita ebraica: la circoncisione, le regole alimentari e di purezza ecc.
L'ebraismo è una cosa molto specifica, nel momento in cui si aboliscono le sue regole "secondo la carne" in favore di altre "secondo lo spirito", essenzialmente la fede per noi blasfema che un certo ebreo ammazzato dai Romani fosse Dio, non resta più niente.
Paolo non si è limitato a diffondere la sua religione, cosa perfettamente lecita ai miei occhi, ma ha lavorato attivamente e con determinazione per spiantare l'ebraismo.
Ne fa fede non solo il brano della lettera ai Romani che lei cita (e che per me è la base dell'antigiudaismo cristiano nei secoli, un documento terribile le cui conseguenze sanguinose ricadono su chi l'ha scritto), ma anche la lettera ai Galati ecc.
Non è su questo però che dobbiamo discutere. Io rispetto totalmente i cristiani che rispettano il mio diritto di essere ebreo. Trovo che il genocidio inizia nel momento in cui vi è una politica di conversione, cioè di distruzione culturale della specificità del mio popolo (e di tutti gli altri, naturalmente). Se la mia salvezza dipende dall'abbandono della mia appartenenza religiosa - come ritiene Paolo - allora è possibile anzi lodevole distruggere il corpo nel tentativo di salvare l'anima (altro concetto che si trova in Paolo).
L'inquisizione inizia di qui. La richiesta ebraica che la Chiesa smetta di cercare la nostra conversione non deriva dalla paura del contagio delle idee, tutt'altro. Nasce dalla consapevolezza della carica di violenza implicita negli appelli che partono proprio dalle lettere di Paolo, all'inizio del cristianesimo. Ma, ripeto, oggi la collaborazione non può partire da un dialogo teologico. solo da quello pratico, per esempio dalla difesa della libertà di religione che il cristianesimo ha faticosamente appreso nelle sue guerre intestine e che oggi altrove, soprattutto nel mondo islamico, è attaccata violentemente.
cordialmente,
Ugo Volli