Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/08/2012, a pag. 11, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " L'islamico Morsi si sta rivelando un nuovo Mubarak ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Il Cairo recide i contatti con Israele". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'intervista di Francesca Paci all'attivista e scrittore egiziano Ashraf Khalil dal titolo " Rivoluzione tradita torna l’autoritarismo ", preceduta dal nostro commento. Pubblichiamo l'articolo di Federico Steinhaus dal titolo " La guerra tra le quinte ".
Invitiamo a leggere le analisi di Zvi Mazel e Ugo Volli, pubblicate in altre pagina della rassegna
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=310&id=45661
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=45663
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " L'islamico Morsi si sta rivelando un nuovo Mubarak "
Fiamma Nirenstein, Mohamed Morsi
Il titolo del pezzo è ambiguo, lascia intendere che Morsi sia un dittatore laico, cosa che non è affatto.
Ecco il pezzo:
Almeno al tempo di Mubarak l’ideologia panarabista e islamista erano un evidente paravento per il potere del duce. Almeno tutti sapevano che si trattava di una dittatura, e non si fingeva di essere di fronte a una rivoluzione popolare. Almeno c’era il Parlamento per quanto dimidiato nei poteri, la Costituzione per quanto da completare, e soprattutto c’era l’esercito che almeno aveva l’ordine di spezzare il terrorismo. Noi giornalisti in giro per il Sinai ai tempi dei diversi attentati (di Taba, di Sharm, di Dahab...) abbiamo di continuo incontrato bruschi soldati armati che ti fermavano e ti strapazzavano, ma che di certo cercavano i salafiti. Ora, invece, si dice anche che l’ultima mossa dell’esercito al tempo di Tantawi,che ha vantato dopo l’attacco al confine con Israele l’eliminazione e l’arresto di gruppi beduini legati al terrore qaidista, non sia stata efficace come la si è raccontata. Niente morti, dicono i beduini da Tumah dove si era svolto il raid, solo qualche botto. La doppia esibizione di debolezza dell’esercito ha aiutato Morsi a fare di se stesso un nuovo Mubarak, ma adesso un faraone religioso, un raìs shariatico. È finito il doppio potere presidente-esercito, ora ce n’è uno solo.Morsi si è avvicinato all’obiettivo senza cautele.
Al nuovo presidente egiziano non serve la furbizia di Erdogan, che mentre islamizzava la Turchia faceva fuori passo passo l’esercito, che fungeva da imperfetto nume tutelare alla democrazia, e intanto smantellava la libertà di stampa. Morsi si è mosso subito, appena eletto, quando impugnò la sentenza della Corte di Giustizia che non aveva accettato la supermaggioranza islamica in Parlamento. Si è impossessato così del Parlamento, del potere militare, ha sospeso l’emendamento costituzionale che passava ai generali una parte del potere, i poteri li ha presi lui e per proteggersi ora si è messo accanto come vicepresidente un rispettato giudice, Mahmoud Mekky, fratello del ministro della Giustizia. Suoi sono i nuovi militari al potere: capì che poteva cacciare Tantawi e Anan quando, prima, aveva tagliato fuori il ministro dell’Intelligence generale Mufawi: nessuno disse una parola. Morsi sta anche eliminando la già sofferente libertà di stampa egiziana, sabato il giornale al Dustour (ironicamente, «La Costituzione ») è stato sequestrato con l’accusa di «incitare alla sedizione» e «mettere in pericolo il presidente ». Il presidente ha avocato a sè la politica estera, compreso il diritto di dichiarare guerra. Nella famiglia di Abdel Fattah al Sissi, che era direttore dell’intelligence militare e oggi è il nuovo ministro della Difesa e che è noto per aver avuto un gelido contatto con Israele, diverse fra le donne indossano il velo integrale. Così si disegna il nuovo Egitto rivoluzionario, certo non il compimento di una rivoluzione democratica, come qualcuno ama pensare. È il putsch di un Fratello Musulmano, del presidente Morsi, il leader dell’organizzazione più antioccidentale e antidemocratica del mondo.
www.fiammanirenstein.com
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Il Cairo recide i contatti con Israele"
Daniele Raineri Anwar Sadat, Jimmy Carter, Menachem Begin
Una settimana fa, dopo la strage di militari egiziani nel Sinai, fonti israeliane hanno detto al Foglio: “Ci fidiamo dell’Egitto perché abbiamo buoni rapporti con i militari e con i servizi segreti e siamo in collegamento diretto con il capo delle Forze armate, il generale Mohamed Tantawi, e con il capo dell’intelligence, il generale Murad Muwafi”. Una settimana più tardi, di quei collegamenti diretti non resta più nulla. Il generale Muwafi è stato cacciato dal suo incarico martedì scorso. Il generale Tantawi è stato deposto a sorpresa domenica, assieme ai comandanti di esercito, aviazione e marina. I riferimenti più noti che ancoravano Israele alla politica estera dell’Egitto ora governato dai Fratelli musulmani sono stati recisi. Dal suo punto di vista, il presidente egiziano e leader interno della Fratellanza, Mohammed Morsi, è riuscito in un capolavoro di accelerazione politica (Marc Lynch su Foreign Policy lo definisce “Lamborghini Morsi”). L’ironia in questo cataclisma nell’establishment del Cairo è che le teste dei generali sono rotolate per colpa della strage nel Sinai compiuta contro il loro esercito da militanti islamisti che, sebbene lontani dalla Fratellanza, hanno però agito grazie all’assenza di controllo alla frontiera con l’enclave palestinese di Gaza, governata da Hamas, costola della Fratellanza egiziana. Sono stati Morsi e Hamas a volere la libera circolazione tra i due lati del confine come segno del cambiamento post Mubarak. Già due mesi fa il direttore dell’intelligence, Muwafi, aveva raccomandato un assalto contro i terroristi nella penisola del Sinai con l’impiego di almeno un battaglione corazzato con 30 carri armati, appoggiato da otto elicotteri e altri mezzi. L’operazione era caldeggiata da americani e israeliani – un delegato di Gerusalemme ha incontrato Muwafi e Tantawi all’inizio di luglio, all’insaputa del presidente Morsi – ma è arrivata soltanto in questi giorni, a strage avvenuta, con il nome di “operazione Aquila”. Dopo la cacciata, il capo delle spie, alto, elegante, che parla inglese e francese e intrattiene ottimi rapporti con molti servizi occidentali, ha spiegato di avere ricevuto un avvertimento dettagliato sul rischio di un attacco e di avere passato ai militari le informazioni, “la responsabilità dell’intelligence è raccogliere le notizie, spettano ad altri le decisioni operative sul terreno”. Muwafi aveva chiesto che i valichi fra la Striscia di Gaza e l’Egitto fossero chiusi, il governo non lo ha ascoltato. Dopo, è stato cacciato. L’eliminazione della vecchia guardia dei militari apre un problema interno all’Egitto perché il presidente Morsi ora governa senza più freni, anche se provvisoriamente: il Parlamento è stato sciolto, la Carta costituzionale temporanea è stata annullata, i nuovi generali non promettono bene. Il sostituto di Tantawi come ministro della Difesa e capo delle Forze armate, Abdul Fatah al Sissi, è lo stesso che nel giugno 2011 ha risposto a Amnesty International che i famigerati “test di verginità” sulle donne arrestate a piazza Tahrir (che erano a tutti gli effetti violenze sessuali brutali) erano necessari “per impedire che i soldati fossero in seguito accusati di stupro”. Apre anche un problema con i palestinesi, che al momento sono divisi: una parte vive a Gaza sotto il controllo degli estremisti di Hamas, l’altra vive sotto l’Autorità nazionale palestinese (Anp), che accetta l’idea di un negoziato di pace con Israele e riceve aiuti dagli Stati Uniti. Muwafi, nel suo ruolo di capo dell’intelligence egiziana, faceva anche da broker negli accordi tra Hamas e Anp (e talvolta anche con Israele, come nel caso della liberazione del soldato rapito Gilad Shalit, interamente negoziata al Cairo). Muwafi è riuscito a impedire durante il suo mandato il prevalere di Hamas sull’Anp, ipotesi che torna con ricorrenza preoccupante nelle analisi sul futuro dei palestinesi. La Fratellanza che ora decide la politica estera si è definita equidistante tra Hamas e l’Anp, ma è un’affermazione ancora da dimostrare. Il rimpiazzo di Tantawi, il generale al Sissi, ieri ha ricevuto le congratulazioni da Ismail Haniyeh, leader di Hamas nella Striscia. Da Washington, dove nessuno era stato avvertito dei cambi imminenti, dicono che il neo ministro della Difesa ha rapporti con loro e che ha fatto un anno di studi militari negli Stati Uniti. Il quotidiano israeliano Maariv sostiene che al Sissi comunica con l’élite che si occupa della sicurezza di Israele, “dal direttore delle politiche della Difesa, Amos Gilad, all’inviato speciale del primo ministro, Yitzhak Molcho, a naturalmente il ministro della Difesa Ehud Barak”. Molcho e Barak hanno incontrato al Sissi durante recenti visite al Cairo. Tantawi e Munafi, però, si muovevano in autonomia dal governo. Sembra impossibile che i loro sostituti facciano ora altrettanto senza un ordine di Morsi, che due mesi dopo l’insediamento non ha ancora aperto le comunicazioni con Israele.
INFORMAZIONE CORRETTA - Federico Steinhaus : " La guerra dietro le quinte "
Federico Steinhaus
Cosa sta succedendo in Egitto? Le ipotesi che leggiamo sono frutto di analisi o di immaginazione? Ci sono informazioni credibili in proposito?
E l’attacco all’Iran da parte di Israele nel prossimo autunno è solamente un ballon d’essai, un messaggio inviato all’ONU e ad Obama? O è un episodio di contesa politica all’interno di Israele?
Neppure noi siamo in grado di dare delle risposte certe a queste domande, ma qualche informazione in più la diamo come al solito ai nostri lettori affinché essi possano formarsi un’opinione più affidabile.
Che in Egitto i Fratelli Musulmani stiano ingaggiando una guerra mortale con le forze armate è fuori dubbio, ed era anche prevedibile fin da quando Morsi è stato eletto presidente. Morsi ha dalla sua “il popolo”, come si suol dire, ovvero una forte maggioranza dell’elettorato attivo (che è cosa ben diversa dall’insieme della popolazione in un paese con un alto tasso di analfabetismo, cone le donne relegate a ruoli subordinati, con una popolazione rurale inascoltata e non allineata con i vincitori). I militari peraltro sono ben organizzati, controllano molti snodi cruciali del potere politico e certamente non saranno disposti a farsi detronizzare.
Che Al Qaeda cerchi di infiltrarsi per trarre profitto da queste fratture è altrettanto evidente ed ovvio, come è evidente ed ovvio che in Siria le sue ambizioni siano identiche. E’ bello e nobile sostenere le insurrezioni arabe (che non sono rivoluzioni, finché si limitano a sostituire i detentori del potere) e la caduta dei tiranni, ma il realismo della politica impone anche altre considerazioni.
Da questo punto di vista l’attacco contro i turisti israeliani in Bulgaria (un paese amico di Israele) potrebbe essere stato contamporaneamente un diversivo ed una indicazione alle cellule: distogliamo l’attenzione da quanto facciamo nel mondo arabo ed in alcuni stati africani, usiamo con maggiore intensità le aggressioni contro Israele, ed otterremo di poter agire indisturbati sui fronti dell’infiltrazione nel mondo islamico, di provocare Israele ad una reazione che il mondo non tarderebbe a condannare, di galvanizzare i nostri uomini sul campo. Così si possono anche meglio spiegare gli attacchi condotti nel Sinai contro l’esercito egiziano, che avevano per fine ultimo una infiltrazione armata in Israele ma certamente avevano anche messo in conto un allargamento del dissenso fra i Fratelli Musulmani ed i militari al potere al Cairo. Ugualmente, la storia dei tunnel che collegano la striscia di Gaza all’Egitto – la minaccia egiziana di distruggerli e la chiusura del valico di confine, la richiesta di Hamas di riaprire il valico collegata alla promessa di “autodistruggere” quei tunnel – sono un balletto inscenato dalle varie parti in causa, che nasconde anche scopi diversi da quelli visibili.
E’ da poco disponibile nel sito di Palestine Media Watch una traduzione in inglese del libro “Jihad is the way” di Mustafa Mashur, che illustra i princìpi fondamentali della Fratellanza Musulmana: il dovere religioso di liberare ogni metro delle terre islamiche attraverso la guerra santa, perché l’Islam è padrone del mondo ed il suo territorio deve rimanere indiviso. Israele, che ha rubato le terre della Palestina, è per i Fratelli Musulmani un nemico da abbattere con la guerra santa, non con le trattative.
Fatah e l’Autorità Palestinese (è pleonastico nominare Hamas o Hezbollah) tendono ad applicare la sha’ria, come dimostrano gli arresti di persone che durante il recente Ramadan sono state sorprese a mangiare in pubblico di giorno, e sarà probabilmente questo il punto di contatto che conserverà un minimo di dialogo fra i cosiddetti moderati e l’estremismo islamista che circonda Israele da ogni lato. Nel frattempo, la questione del riconoscimento della Shoah come realmente accaduta (!) divide i politici palestinesi, a dimostrazione delle loro ambiguità ed ipocrisie nella rivendicazione dei territori occupati, che nasconderebbe la volontà di “cacciare gli ebrei dal sacro suolo dell’Islam”.
La STAMPA - Francesca Paci : " Rivoluzione tradita torna l’autoritarismo "
Francesca Paci Ahraf Khalil
Benvenuta nel club dell'inverno arabo.
Ci sono voluti un paio d'anni di riflessione, ma anche Francesca Paci descrive oggi la situazione egiziana nei termini che IC aveva previsto. Nuova dittatura, peggiore della prima, perchè su base religiosa.
Ecco l'intervista:
Ammette di essere spiazzato. Dopo aver raccontato la rivoluzione del 25 gennaio 2011 nel volume «Liberation Square: Inside the Egyptian Revolution and the Rebirth of a Nation», l’attivista e scrittore Ashraf Khalil tenta di afferrare il senso ultimo della nuova partita giocata da Mursi. E non riesce. Ma osserva che, almeno nell’immediato, essersi sbarazzati della vecchia guardia dello Scaf realizza uno dei sogni di piazza Tahrir.
Proviamo a ragionare con la testa del presidente. Adesso che si fa?
«La situazione è ancora molto confusa e credo che sotto traccia rimanga in piedi lo scontro tra i Fratelli Musulmani e l’esercito. Ma di certo è un gran momento per Mursi, che è riuscito a liquidare i generali della vecchia generazione facendo leva sui giovani. Probabilmente è con i nuovi come el Sissi che il presidente si è accordato: scommetterei che il piano fosse programmato da tempo».
Cosa significa l’inaspettato attivismo di Mursi per i rivoluzionari?
«Credo che in questo momento molti rivoluzionari non islamisti siano contenti che Tantawi se ne sia andato, ma al tempo stesso siano preoccupati di vedere il potere legislativo e quello esecutivo in mano ai Fratelli Musulmani».
Teme una deriva autoritaria?
«Il problema non è tanto che il presidente Mursi abbia concentrato tanto potere nelle sue mani, quanto cosa ne farà. È possibile che si riveli un leader responsabile. Ma purtroppo i Fratelli Musulmani hanno un pessimo curriculum quanto a condivisione del potere con altre forze politiche. D’altra parte un leader titolare del legislativo e dell’esecutivo sarebbe preoccupante in ogni caso, anche se fosse uno amato dai laici come El Baradai».
La crisi del Sinai ha avvicinato molto l’Egitto a Israele, un rapporto tradizionalmente custodito dall’esercito. Ora che Mursi sembra essersi svincolato dai militari cosa succederà?
«Mursi e Israele sono tutt’ora dalla stessa parte della barricata in Sinai e ci resteranno: è in virtù di questa collaborazione che viene chiuso un occhio sulla violazione di Camp David. Adesso il presidente ha annunciato che riaprirà il valico di Rafah, ma con l’esercito egiziano ancora “al lavoro” in Sinai non sarei sorpreso se poi posponesse. D’altra parte anche Hamas sa che non è il momento di forzare la mano: se venisse provato che dei palestinesi hanno ucciso dei soldati egiziani, l’opinione pubblica egiziana si rivolterebbe contro Gaza».
Dopo oltre un anno e mezzo dalla caduta di Mubarak a che punto è la rivoluzione egiziana?
«Ecco un altro punto piuttosto confuso. Di certo credo che oggi la rivoluzione di Tahrir sia in una forma migliore rispetto a due settimane fa, quantomeno l’emergere di una nuova generazione di generali permette di sperare in una collaborazione tra militari e governo civile. Personalmente ritengo che il momento più basso della rivoluzione sia stato raggiunto quando abbiamo dovuto scegliere tra il Fratello Musulmano Morsi e il campione del vecchio regime Ahmed Shafik. Sapevamo che non c’era una terza scelta ed eravamo tutti molto depressi. Oggi almeno possiamo vagheggiare che, liberatosi dei cani da guardia del passato, il presidente si dimostri responsabile».
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