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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Egitto: conseguenze inaspettate 11/08/2012

Egitto: conseguenze inaspettate
Analisi di Zvi Mazel

(traduzione di Angelo Pezzana)


Zvi Mazel
a destra, Mohamed Morsi


Sinai

L’Egitto non può accettare il massacro a sangue freddo dei 16 soldati, uccisi mentre domenica sera stavano mangiando alla fine della giornata del digiuno di Ramadan, al confine di Kerem Shalom. Eppure questa non è la prima volta che l’islam militante colpisce il paese.
Gli islamisti hanno assassinato il presidente Anwar Sadat e cercato di uccidere Hosni Mubarak. Jihadisti e altre organizzazioni terroriste hanno tratto ispirazione dell’ideologia dei Fratelli Musulmani, uccidendo centinaia di egiziani e turisti tra gli anni ’70 e la caduta di Mubarak.

Ma in quegli anni, l’ egiziano medio sembrava poco interessato; era una battaglia tra gli islamisti e il regime, corrotto e dittatoriale. Oggi non è più così. Una rivoluzione popolare ha portato al potere un presidente eletto democraticamente, che adesso deve rispondere alla gente che chiede, esasperata, delle spiegazioni, il perché di quello che appare come un fallimento. E’ la prima volta che accade in Egitto, e rivela un cambiamento che si è radicato fra la gente.

Potrebbe essere persino il risultato più significativo dell’attacco. Spronato ad agire, nella speranza di calmare l’opinione pubblica, l’esercito ha lanciato nella Penisola del Sinai una forte rappresaglia, scovandone, con apparente facilità, i nascondigli e uccidendone una ventina. Il che dimostra che sapeva dove trovarli. Non vi è stata una descrizione precisa dell’azione e il numero degli uccisi e dei feriti può anche essere stato ingrandito per tacitare la rabbia degli egiziani. Eppure rimane aperta la domanda: perché l’esercito, in questi 18 mesi, non ha agito, mentre i militanti islamici assalivano le stazioni di polizia e i blocchi stradali, senza dimenticare la distruzione del gasdotto che trasportava il gas naturale a Israele e Giordania, uccidevano almeno 20 soldati e ufficiali, mettendo sotto il loro controllo le vie che permettevano di far entrare a Gaza armi e munizioni provenienti dal Sudan e dalla Libia ? Un gruppo separatista salafita ha persino proclamato la zona di Sheik Zoued in Sinai un “ Emirato Islamico”.

Alcuni mesi fa, Israele permise agli egiziani di introdurre nel Sinai rinforzi, in numero maggiore di quanto stabilivano gli “Accordi” di Camp David. Allora perché l’esercito non l’ha fatto? Perché non c’è stata una spinta concertata per combattere le organizzazioni terroriste che si erano diffuse in tutta la Penisola, arruolando sempre più beduini nella loro guerra contro la legge e l’ordine ? E’pur vero che i generali erano alle prese con la dilagante crisi economica e la complicata transizione politica, per cui gli era difficile prestare attenzione a ciò che stava accadendo nel Sinai.

Il fallimento dell’esercito nell’agire, ha reso visibile a tutti la verità, tanto che il Presidente Mohamed Morsi ha dichiarato la propria responsabilità, al punto da non sentirsi di partecipare ai funerali dei soldati uccisi. Lo sventurato primo ministro Hesham Kandil – nominato da appena una settimana – è stato inviato a rappresentarlo, ma è stato fortemente contestato, tanto da svignarsela davanti a gente che gli lanciava contro raffiche di scarpe.

Morsi si è reso conto di dover agire con sveltezza, ha licenziato un certo numero di alti ufficiali responsabili della difesa, incluso Morad Mowafi, governatore del Nord Sinai e capo dell’intelligence, uno dei maggiori responsabili del fallimento. In sua difesa, ha dichiarato, ingenuamente, che era stato avvertito di un possibile attacco, ma che “ non avrebbe mai creduto che gli islamisti avrebbero ucciso dei soldati egiziani”.

Non c’è dubbio che il prestigio dell’esercito egiziano è stato intaccato, indebolendo così il Consiglio Supremo delle Forze Armate in un momento del tutto inopportuno. Morsi non ha perso tempo nel capitalizzare quanto è successo, per disfarsi di un numero di generali ancora legati al vecchio regime. L’esercito non ha potuto far altro che prenderne atto. I sostituti saranno scelti fra i simpatizzanti dei Fratelli Musulmani. Un primo passo da lungo tempo atteso, per attaccare la vecchia guardia, mandarla in pensione, sostituendola con nuovi ufficiali vicini al nuovo regime. I Fratelli Musulmani non hanno alcuna intenzione di dividere il potere con l’esercito.

Quanto è accaduto, però, ha messo in luce la profonda divisione tra gli egiziani che sostengono la Fratellanza e quelli che vogliono un governo laico. Questi ultimi stanno perdendo terreno da quando le ultime elezioni hanno dato il 47% dei seggi parlamentari ai Fratelli e il 25% ai salafiti. Adesso alzano la testa, nell’ attesa di influenzare il governo. Specie dopo l’attacco senza precedenti al primo ministro durante i funerali, e l’assenza del presidente che temeva la rabbia popolare. Vi sono stati spari contro la sede della Fratellanza e  guardie sono state disposte a difesa degli edifici istituzionali in tutto il paese. Ma è altrettanto chiaro che i terroristi che hanno ucciso i soldati credevano nella ideologia della Fratellanza: erano venuti per uccidere nel nome dell’islam, per accelerare l’avvento del “vero islam”.

Morsi deve affrontare questo difficile aspetto anche se condivide la loro ideologia, e aspira a vedere l’islam al governo dell’intero Medio Oriente, e poi del mondo. I principi della Fratellanza furono stabiliti dai padri fondatori più di 80 anni fa e sono alla base di tutto il terrorismo islamico, da Al Qaeda fino ai numerosi gruppi dell’islamismo jihadista. Ora che la Fratellanza ha raggiunto il suo primo obiettivo, conquistare il controllo sull’Egitto, può far marcia indietro sui valori per i quali ha combattuto così a lungo ? Può dimenticare la propria ideologia e adottare un approccio pragmatico, necessario per governare un paese moderno che ha un bisogno urgente di riforme economiche ?

La reazione di Morsi agli avvenimenti in Sinai dimostra il suo profondo imbarazzo. Lo testimonia l’ estrema riluttanza del regime a pubblicare i nomi degli autori del massacro e l’uso ricorrente della frase “ assalitori sconosciuti”, e le velate allusioni al Mossad. Perché in Egitto, ovviamente, quando non si sa dove sbattere la testa, uno può sempre prendersela con Israele. Ecco allora, una “spontanea” , chiassosa, dimostrazione, per chiedere l’espulsione dell’ambasciatore di Israele. Questo non lascia sperare bene nel futuro delle relazioni fra i due paesi, che invece dovrebbero unire le forze per combattere il comune nemico nel Sinai.

Si accontenteranno gli egiziani di qualche raid, oppure investiranno tempo, denaro e sforzi per sradicare le cellule terroriste in Sinai ? E’ ovvio che non ci sarà una soluzione a lungo termine senza che venga dato aiuto ai circa 300.000 beduini che vivono nella Penisola, che vivono in condizioni di estrema povertà e abbandono. Sfortunatamente, ci vorrà molto tempo.

Morsi non ha i mezzi né la volontà politica di fare alcunché. Fa del suo meglio per ignorare l’elefante che è nella stanza, Hamas, diramazione dei Fratelli Musulmani, che doveva sapere in anticipo dell’attacco e che non fece nulla. E’ probabile che vedremo in un qualche modo un accordo in base al quale Hamas cercherà di prevenire simili attacchi futuri per non creare a Morsi ulteriori imbarazzi. Nel frattempo, il flusso del contrabbando non accennerà a diminuire, e, nello stesso tempo, gli egiziani richiederanno una revisione del trattato di pace e la rimilitarizzazione del Sinai.

Non è però quello che i terroristi a Keren Shalom volevano. Non solo hanno fallito nel tentativo di uccidere più israeliani possibile, ma hanno gettato l’Egitto nello scompiglio. Quanto hanno fatto, potrà diventare uno spartiacque nella storia dell’Egitto del dopo-rivoluzione.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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