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La Stampa Rassegna Stampa
10.08.2012 Siria: Assad continua a bombardare Aleppo
Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 10 agosto 2012
Pagina: 12
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Diluvio di fuoco su Aleppo: insorti costretti a ritirarsi»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/08/2012, a pag. 12, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Diluvio di fuoco su Aleppo: insorti costretti a ritirarsi".

Cosa rappresenta Salaheddin nella guerra civile che con efferatezza novecentesca dissangua la Siria? L’ormai celebre quartiere di Aleppo, occupato tre settimane fa dai ribelli e apparentemente riconquistato ieri dai governativi dopo due giorni di bombardamenti, non sarà il primo né l’ultimo simbolo dello scontro tra opposizione e regime che già pareva aver varcato il Rubicone con l’assedio di Homs. Ma Salaheddin, con gli insorti asserragliati nei vicoli a rispondere colpo su colpo all’artiglieria lealista, è diventato la metafora d’una crisi in cui nessuna delle due parti rinuncerà alle armi prima della resa dei conti.

Mentre i combattenti anti-Assad dell’Esercito siriano libero (Esl) confermano la ritirata «tattica» e «parziale» giurando di controllare ancora alcuni quartieri orientali della città (anch’essi bombardati), il ministro dell’Interno al Shaar ribadisce la determinazione di Damasco a battere i «terroristi». Un muro contro muro che nel mese di luglio (il più cruento dal marzo 2011) ha causato oltre 3500 vittime, un milione e mezzo di sfollati interni e, secondo l’Onu, un rischio reale di esodo verso la Turchia e la Giordania (ieri, per la seconda volta in pochi giorni, 160 siriani sono sbarcati sulle coste calabresi).

«L’Esl abbandonerà Aleppo entro la fine della settimana, ma poi tornerà, perché la tecnica del mordi e fuggi è l’unica efficace contro i tank», osserva l’ex generale libanese Hisam Jaber. Una lezione valida sul campo quanto in politica, dove il presidente Assad ha risposto alla sfida delle reali e delle fantasiose defezioni, tra cui quella vera del premier Hijab, con la nomina del nuovo capo del governo Wael al Halki, baathista di ferro originario di Deraa nonché ex ministro della Sanità noto per aver ordinato agli ospedali di non curare i ribelli.

La ribalta è occupata dai morti dei due schieramenti (almeno 20 mila dall’inizio della rivolta, di cui 120 solo ieri), ma il dietro le quinte è affollatissimo. Se dentro la Siria è in corso infatti una guerra di trincea, fuori se ne combatte una di posizione. Da una parte gli alleati di Assad, a cominciare da quell’Iran che ha ospitato una conferenza internazionale sulla crisi paventando uno scenario modello Afghanistan nel caso d’«interferenze straniere» e candidandosi al ruolo controverso di mediatore (25 Paesi ospiti, tra cui Cina e Russia, ma presente solo con l’ambasciatore). Dall’altra le monarchie del Golfo, accusate da Damasco di sponsorizzare i ribelli, e l’Occidente capitanato dagli Stati Uniti, che ieri, per la prima volta, hanno ammesso di non escludere la possibilità di una no-fly zone modello Libia.

In mezzo, non nel senso di neutrali ma di direttamente investiti dagli echi del conflitto, ci sono i Paesi confinanti. La Turchia, in primo luogo, che ospita già oltre 50 mila profughi siriani nonché le basi dell’Esl. Da tempo schierata con l’opposizione, Ankara teme adesso la rappresaglia di Assad che, secondo il ministro degli Esteri Davutoglu, starebbe armando i separatisti curdi del Pkk tornati a colpire negli ultimi tempi (ieri a Smirne). L’Iraq sciita, uscito scettico dal summit di Teheran. E infine il Libano, storicamente il meno immune al contagio, dove ieri è stato arrestato il filosiriano ex ministro dell’Informazione Michel Samaha con l’accusa di aver partecipato a un complotto terrorista per destabilizzare il governo di Beirut.

Come in ogni guerra, la verità s’intreccia alla propaganda. Difficile capire la vera tenuta del regime nella ridda di defezioni annunciate e smentite. I Fratelli musulmani siriani rivelano che il vicepresidente Shara sarebbe agli arresti domiciliari perché intenzionato a disertare, ma ieri l’iperpubblicizzata fuga del capo del protocollo di Assad Muhi al-Din Maslamani, s’è rivelata una bufala. Damasco, dal canto suo, mescola notizie di presunte perdite inflitte agli oppositori alla versione pirandelliana di un’Aleppo in festa per l’arrivo dei lealisti, dimenticando i coraggiosi giornalisti che rischiano la vita per verificare.

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